1964 Rocco muto
1964 (non datato)
Reginato: “Poletti mi ha ucciso”
Rocco muto
VARESE – Rocco urla: « Lasciatemi in pace! ».
Quando abbiamo cercato di forzare il blocco posto all’ingresso degli spogliatoi del Torino, la
mano pesante di una guardia del corpo ci ha respinto indietro rifilandoci un’occhiata di indubbio
significato: Rocco non vuol vedere nessuno, neanche i parenti stretti, figuriamoci i giornalisti!
Tanto dramma per una partita perduta non era del resto sproporzionato. Per due ragioni: la prima di
natura psicologica, la seconda tecnica. Patron Nereo, stranamente euforico dopo la vittoria senza-
significato sull’anemico Mantova, a chi gli chiedeva se gli bastasse un pareggio sul tipo di quello
intascato dall’Inter, rispose: « A Varese andiamo per vincere; un pareggio con la matricola non ci
soddisferebbe ». Il clan granata ha posto con questo ottimismo fuori misura le premesse per il KO
indiscutibile espresso dal campo. Tutti, da capitan Ferrini a Simoni (con la sola eccezione di Meroni
l’unico che ha veramente lottato e giocato) hanno creduto di poter fare un giro d’onore dinanzi alla
tribuna del Commendator Borghi, contro un Varese orfano all’ultimo istante dell’ex-vice-Suarez
Horst Szymaniak. Il fatto è che a questo clima di idilliaca attesa si è aggiunta sul campo una prova
tecnica di livello men che mediocre ed è proprio dinnanzi a questo dato di fatto che è scoppiato
fragorosamente il dramma di Nereo. In un rapido spiraglio apertosi all’entrata dello spogliatoio
abbiamo visto Rocco rosso in volto mentre con tono pacato ma sferzante bombardava i suoi torelli
allineati sulla panca rei confessi e per di più pescati con le mani nel sacco. Accortosi che alle sue
spalle qualcuno registrava il sermone si è voltato di scatto nerissimo e infuriato. « Evviva il Varese!
— ha sogghignato con le braccia aperte — Basta! Non ho altro da dire. Sto parlando coi miei
giocatori e… (pausa) desidero che mi lasciate in pace ». « Vorrei soltanto… ». « Guardi, se vuole che
le parli del Varese posso accontentarla, ma se mi chiede del Torino… non so niente, non ho visto
niente, non dico niente, ‘ndemo lassa perder che sei giovane, no’ sta farme dir cose tristi! ».
La guardia del corpo mi sposta e Rocco è come fosse su Marte. I giocatori escono e salgono in
fretta sul torpedone. Faccio lo sgambetto a Ferrini; mi guarda di brutto e borbotta: « Mi lasci andar
via, cosa vuole, non c’è niente da dire… » e da fare, aggiungo, ma non mi sento. Affronto Reginato,
ma fugge. Allora gli grido in dialetto veneto (il mio ed il suo): « Fammi scrivere dei gol ». « Cosa
vuoi — dice — sul primo bisognava esser proprio là, non c’era niente da fare; sul secondo ho
cercato di fare il mio mestiere: portar via la palla all’avversario, ma Poletti non mi ha lasciato
” lavorare ” e così la frittata è stata completa ». Meroni è l’unico che non piange o bestemmia. Il suo
dovere l’ha fatto, anzi l’attacco del Torino è vissuto soltanto in Meroni, applaudito a scena aperta.
Spiega il beatle: « Siamo andati in campo partendo dal presupposto che loro dovessero attaccare e
che noi dovessimo infilarli in contropiede. Ma quel gol a freddo e fortunato di Andersson ci ha
tagliato le gambe e appannato le idee. Oggi poi la nostra squadra era in giornata disastrosa e idee
non ne aveva ». A noi è sembrato che in un altro ruolo avrebbe reso di più. « Prima di venire a
Torino — aggiunge Meroni — ho giocato ala destra, mezz’ala e centravanti… ma gioco dove vuole
l’allenatore. Il nostro attacco non è quello che ha visto oggi e poi il Varese non è quello che le spie
ci avevano telegrafato ».
Esce Nereo e s’imbarca sotto il diluvio senza aprir bocca. Lasciamo le nebbie del Torino e
andiamo a cercare il sole nello spogliatoio del Varese. Facce felici, ma contenute; entusiasmo
controllato come se entrassimo in una tana di veterani, non del dopopartita dei super-novellini di
serie A. Ettore Puricelli in doppio petto blu sbuca in mezzo a un nugolo di persone pimpante ed
allegro. Giudica così la partita: « A noi — dice —è andato tutto bene e inoltre avevamo di fronte un
Torino che come minimo dovrebbe valere il doppio. La nostra è una squadra da combattimento,
forte, umile ed entusiasta. Noi non possiamo permetterci il lusso di fare la melina, ma rompere le
uova anche nei grossi panieri, questo sì ». Ci è sembrato che sia stata molto abile la disposizione di
Ossola tra le ruote già arrugginite del centrocampo granata. « In effetti il Torino gioca con le mezze
ali a pendolo: quando avanza l’una rimane in copertura l’altra e viceversa. Ho quindi piazzato
Ossola sull’avanzante senza badare al numero e al nome dell’avversario.
Meglio di cosa — conclude Puricelli — non poteva andare: abbiamo conquistato un punto in più
del preventivato. » Il memorandum del Varese sorride sulla bocca di tutti i giocatori, mentre seduto
vicino alla porta il Comm. Borghi, super-soddisfatto e sornione, pronostica: « Con la squadra di
pallacanestro vinceremo la coppa d’Europa… ». « E con il Varese! ». « Le risponderò tra un paio di
domeniche! » Qui Varese: tutto bene. A voi Torino: passo e chiudo.