1970 agosto 27 Il processo a Mexico ‘70
1970 agosto 27 (Il Gazzettino)
Il processo a Mexico ‘70
Assolti col dubbio
Non è stata una sentenza unanime – Gli « ultras » e gli ultimi sei minuti di Italia-Brasile –
Brera, Mandelli e Valcareggi hanno presentato « appello » – Rivera « contumacia »
DAL NOSTRO INVIATO
Cesenatico, 26 agosto
Quattro ore di « processo »; alle venti la sentenza letta da Franco Evangelisti, deputato, ex
presidente della Roma, cervello della Federbox: « Gli imputati Brera, Rivera, Mandelli e Valcareggi
sono assolti per insufficienza di prove ». Contro la formula dubitativa hanno presentato ricorso tutti.
L’appello domani. I giurati erano: Barassi, Pasquale, Baglini, Marras, Zenesini, Barbè, Evangelisti,
Carosio, Pesaola, Mazza, Allodi, Dino Viola. Sentenza a grande maggioranza, ma non
all’unanimità.
Il pubblico (almeno trecento persone in una sala troppo stretta) è uscito soddisfatto. Solo un
gruppuscolo di « ultras » si è dichiarato non convinto sui celeberrimi ultimi sei minuti di Brasile-
Italia. Ma questo differenziato campione di opinione pubblica, messa a contatto diretto con
Mandelli e Valcareggi, senza paratie federali e ieraticità da processo vero, ha dimostrato che il filtro
critico ha lentamente purificato il tifo. Le scorie della demagogia più infantile, del linciaggio facile
sono state eliminate quasi al cento per cento. Il più lungo, istintivo e patetico applauso è toccato a
Nicolò Carosio, umanissima « voce » del calcio italiano: ed è stato un applauso per la sola presenza,
sottolineata da Nando Martellini che ha chiamato Nick « maestro ». Ma la gente, giovani, ragazze,
signori di mezza età, ha applaudito a lungo Valcareggi e Mandelli, gli uomini che a Fiumicino,
quell’assurdo giorno del ritorno da Città del Messico, furono costretti alla panca metallica del
cellulare per sfuggire a bastoni e pietre.
Il presidente del Tribunale Speciale, Enzo Tortora, aveva premesso: « Tutti hanno il diritto di
sapere ». Gli imputati hanno funzionato da strumenti docili per dissotterrare i giorni ancora caldi di
Messico ’70.
Dei quattro, l’unico assente è Gianni Rivera. Non dribbling alla satira, al sarcasmo o al confronto
precario di un processo dove il timbro semiserio garantisce una libertà di linguaggio assolutamente
vietata nella routine. No: Rivera assente giustificato per la trasferta a Cadice del Milan.
Giovanni Amino e Antonio Ghirelli hanno difeso Brera (anti-riverismo viscerale, interferenze
nella Nazionale, eccetera) aprendo valutazioni di costume, valide su un piano extra-personale, di
stile giornalistico. Brera, in bocca ai difensori, è diventato una specie di patrimonio nazionale.
Arpino ha definito un rapporto di « scienza e amore » quello tra Brera e il calcio, mentre Ghirelli gli
ha attribuito il merito di avere creato « la sintassi del football, e di avere inserito nel calcio
l’intelligenza ».
Brera, dialogando nell’unica lingua che conosce, il paradosso, ha chiarito il suo mandellismo con
il riconoscimento di una « politica che aveva preparato un grande mondiale ». Ha aggiunto, tra
perplessità raccapriccianti, che « la finale con il Brasile non è stata giocata, perchè l’unica cosa che
mancava all’Italia era una squadra di football ». Rivera gli è invece servito per una distinzione di
sapore ciceroniano. Il « vir », l’uomo vero dei romani, è scomparso. E’ rimasto « l’homo »
inadeguato. E’ rimasto in sostanza, nel calcio, l’abatino, cioè Rivera. Un giocatore da amichevoli
meravigliose; dallo stile esemplare, ma non dotato di energie da « vir ».
Walter Mandelli, qui a Cesenatico, ha ricevuto i primi applausi della sua vita. E’ stato paragonato
a Giolitti per il volontario ritiro. Il Pubblico ministero gli ha dato semplicemente del « vigliacco »
per presunto dribbling di responsabilità.
Mandelli ha taciuto e ascoltato. Ha confermalo di non c’entrare per nulla nei famigerati « sei
minuti di Rivera ». Poi, con amabilità sorniona, ha dichiarato: « Lo spirito di questo dibattito sta tra
il comico e il drammatico: quindici anni di vita nel calcio sono stati per me tutti positivi proprio
perchè mi hanno insegnato a saper vivere. E’ questo saper vivere che conta: i risultati no. Potevamo
vincere la Coppa Rimet e potevamo anche uscire agli ottavi. Pasquale lavorò molto, molto
seriamente e per lui fu Corea… Il nostro torto, l’unico, è forse stato di non pensare all’ aspetto faceto,
umano delle cose: da tecnici puri si è creduto di poter razionalizzare tutto… ma il calcio è anche
irrazionalità ». Il processo è rimasto come choccato: la forza con cui venivano offerte le parole, una
ad una, ha smorzato il sapore di weekend.
La difesa di Valcareggi, rifiutata a priori dagli « ultras », è stata condotta da Aldo Bardelli: « Tra
qualificazioni e Messico – ha detto – la Nazionale ha giocato quindici ore e mezza. Solo sei minuti
discutibili, non diciamo sbagliati, hanno portato al cellulare di Fiumicino. Da Pozzo a Valcareggi
sono transitati sessanta allenatori della Nazionale, senza alcun risultato (nel 1950, in Brasile, lo
stesso Bardelli faceva parte dello staff azzurro, n.d.r.). Valcareggi ha fatto grandi risultati: se
misuriamo Helenio, Pesaola e tutti gli altri proprio per i risultati, non c’è dubbio alcuno che un
processo vero ai mondiali un paese civile non lo avrebbe mai imbastito, né a livello giornalistico, né
di pubblica opinione ».
Il tono di Bardelli, livornese, è stato il più duro e meno disponibile al carattere sorridente del
convegno. Quando c’è di mezzo la Nazionale, si riesce a sorridere al massimo con una guancia sola.
L’altra guancia è proprietà privata dell’insulto, sia pure patriottico.