1970 gennaio 27 Il Veneto resta in A

1970 gennaio 27 (Il Gazzettino)

Secondo il « computer » provinciale
Il Veneto resta in A
Salvezza a quota 25: Lanerossi e Verona dovrebbero raggiungerlo agevolmente

Secondo i calcoli del computer provinciale, la salvezza potrebbe quest’anno valere venticinque
punti in classifica. Il Lanerossi ne ha già diciotto, il Verona sedici: nelle dodici partite che mancano
allo stop del campionato, è molto probabile, anzi probabilissimo, che Puricelli faccia sette punti e
Lucchi nove. Conclusione: il Veneto resterà tutto in Serie A.

C’è stato un momento in cui ci siamo illusi che questo potesse diventare un campionato

« diverso », almeno per il Verona di Garonzi & Di Brino. Il ragionamento era abbastanza
semplicistico, data l’estrema imprevedibilità del football: « Dal momento che Cadè aveva raggiunto
una certa classifica, e dal momento che la campagna-acquisti del Verona aveva convinto tutti, era
logico e naturale che da Lucchi si pretendesse qualcosa di più ».

Questo discorso non è inventato, ma ripete testuale le delusioni patetiche di un ottimo dirigente
che, per carità di patria, ha pregato di non inserire nome e cognome. Le Spa, lo sappiamo, non
amano polemiche sentimentali, valutabili come sono alla fine tutte in denaro…

Adesso, Helenio Herrera ha preso i suoi giocatori per il bavero (Peirò escluso s’intende) e ha
pronunciato un discorso da anni trenta, gli anni dei tragici dittatori: il mago ha promesso infatti
multe professionistiche alla Roma, sostenendo che i suoi « picadores » hanno attaccato il Verona
con la grinta di giovani educande. Ma il calcio veneto d’eccellenza, quello di Serie A, cammina
tranquillo a fronte alta, perchè sa di non aver ricevuto regali. E’ ancora fresco infatti il marchio di
Carminati (super casalingo a Torino contro il Verona) e di Gonella (pro-Cagliari fino alla nausea a
Vicenza).

Helenio può dunque multare chi vuole ma non deve dimenticare, tanto per fare un esempio tout-
court, che al Verona mancava un… brocchetto come Gianni Bui, uno dei più determinanti giocatori
del campionato. Lo affermo senza paraventi provinciali, senza campanilismo: del resto anche
Gianni Brera, inimitabile Hemingway del giornalismo sportivo, lo ha sottolineato più volte.

Alla salvezza del Lanerossi Vicenza mancano in pratica sette punti, per andare via senza
esaurimenti nervosi. Sarebbe rispettato in pieno il programma elettorale di Ettore Puricelli, il quale,
fin dal ritiro pre-campionato di Cavareno, aveva promesso: « L’unico obiettivo nostro è quello di
salvarci senza fare l’infarto, con la serenità che ci è mancata l’anno scorso (l’anno del cambio della
guardia con Berto Menti N.d.R.) ».

Ma peccherei di ipocrisia « veneta », affermando che il pubblico di Vicenza e limitrofi debba
ritenersi completamente appagato della non-retrocessione. Il Lanerossi, uscito dal Gallia hotel fra
gli sguardi impietositi dei mercanti del football, dimostrò infatti che le cessioni di Fontana e Reif
erano degli autentici affari a « quelle » quotazioni (entrambe sui trecento milioni), mentre la
comproprietà di Scala (fissata sugli ottanta milioni), l’acquisto di Pianta (portiere tranquillamente da
grande club) e l’inserimento nel parco giocatori di Damiani (a prezzo di liquidazione!), non solo non
intaccavano, ma addirittura aumentavano il potenziale della squadra. Le illusioni nacquero dopo
quelle inattese « rivelazioni ».

Ma evidentemente, a parte il carattere goliardico della tattica-Puricelli, il più anti-catenacciaro
degli allenatori nati o emigrati in Italia (qualunque sia l’avversario, il Lanerossi può vincere o
perdere senza soggezione provinciale), la squadra non è riuscita a sopportare la « libido » di una

classifica sensazionale: testimonianza numero uno il nervoso di Cinesinho, recidivo sì, ma non fino
al punto da cascare come un pollo di campagna nella ragnatela provocatoria di un qualsiasi
Ragonesi e soprattutto di Brugnera.

Qualcuno sostiene che il Lanerossi cominciasse a dare fastidio al monopolio occulto del
campionato e che perciò sia stato eliminato: non mi sento di escluderlo, ma ne rifiuto le tesi
implicite perchè, accettandole, dovremmo quasi sentirci tutti « complici » di un football ombroso e
perciò non terso. Per Karl Jung infatti il termine « ombra » stava ad indicare le funzioni latenti della
psiche: il calcio, per restare popolare e sano, deve invece ritrovarsi privo di « inconscio ». Tutto, o
quasi, alla luce del sole cioè.