1984 dicembre 24 Il nostro Natale

1984 dicembre 25 – Il nostro Natale – Da Ambrogio alla strage del treno

Il nostro Natale è questo bambino di Cavanella d’Adige adottato da migliaia di lettori che lo hanno
affidato alla tecnologia medica più avanzata del mondo, negli USA. La gente ama Ambrogio e lo
aspetta a casa perché identifica in lui i mille drammi del sommerso, gli anelli deboli del vivere, la
coscienza che resiste alla smemoratezza e alla fretta dei giorni qualunque.
Sere fa alla tivvù mi ha fatto impressione quella ragazza napoletana, così cordiale e di buono sguardo,
che ha confessato: Sì, sto provando a uscire dalla droga e ci riuscirò. Ma a me la roba piacerà sempre.
La roba, l’inferno nel borsellino; la roba, quel senso di possesso e proprietà che il Mastro Don
Gesualdo di Giovanni Verga avvertiva nobile ed egoista, fisico, tattile, notarile, da portare nel sangue.
La roba oggi come libido del nulla.
Il Natale di Ambrogio, per la vita. Il Natale della ragazzina di Napoli, contro la morte.
Abbiamo bisogno di valori e di scienza. Che stupenda persona il premio Nobel per la fisica Rubbia.
Attraverso l’infinitamente piccolo avvicina l’infinitamente grande regalando a chi abita sul pianeta il
piacere della residenza non coatta. La sua è una scienza aperta, senza segreti e bunker, una bibbia di
laboratorio, messa a disposizione dell’uomo.
Non il 1984 del Grande (Oppressore) Fratello di Orvell, ma il fratello che esplora la natura e ti affida le
sue scoperte per farti vivere meglio, assieme, contro il terrore della scienza morta.
Il nostro Natale è lo stesso di Pertini e del Papa, la pace che sfida a mani nude i 30 quintali di tritolo
oggi in arsenale per ciascun abitante sulla Terra. Il Big Bang del primo giorno non deve essere il Big
Bang dell’ultimo.
È nostro anche il Natale in Etiopia, presepe vivente della fame. «Uno spettacolo tragico» ha telefonato
ieri sera dall’Asmara Gianpiero Rizzon e alla fine – con voce turbata – mi ha detto: «Dio perdoni il
Natale dei ricchi, anche di quelli buoni».
Commuoversi non è un dovere, semmai un bisogno. Doveroso è fabbricare giorno dietro giorno una
società più solidale, avere il coraggio di guardare, sfruttare la fortuna di vivere in Occidente come
mobilitazione contro lo scandalo del troppo. Se vogliamo esportare democrazia, dobbiamo importare
sofferenza.
L’ultimo atto pre-natalizio del Parlamento ha aggiunto deumila miliardi di aiuti al mondo. Il nostro
Natale è anche un «fondo perduto», l’investimento della speranza senza la quale il privilegio della
libertà – duramente conquistata e difesa – appassisce nel privato.
Natale è un giorno come un altro, solo che rischia di essere più sincero. Quando non fosse liturgia e
status symbol di un’emozione indotta. A volte gli uomini hanno bisogno di attimi e il perderli e
coglierli muta il destino.
Il miglior Natale è per qualcuno.
Rispondere è il Natale migliore, resistendo all’indifferenza, dentro quattro pareti ben riscaldate.

C’è spazio e tempo per crescere e progredire, con la cultura, la scienza e il senso dell’uomo. Se ogni
uomo è un Natale, il Medio Evo prossimo venturo aspetterà assieme al «the day after» degli incubi
nucleari.
Il nostro Natale non è nemmeno Natale; soltanto un giorno qualsiasi da vivere senza l’alba della paura.
Ieri sera nel buio di una galleria, dentro un treno di gente qualunque, una bomba ha massacrato persino
l’attesa del Natale, l’andare a cercarsi di famiglia in famiglia come per un ancestrale richiamo. Queste
bombe nere e scellerate, queste bombe arrivano da un mondo che né tornerà né vincerà, sono
l’arrendersi di ogni terrore alla democrazia che si sviluppa, sono il trucco degli aspiranti burattinai per
determinare la politica senza il consenso.
Il nostro Natale viaggia dentro quel treno, per urlare che l’Italia è stanca di misteri e che non può più
permettersi il lusso di piangere su un nuovo terrore. La democrazia non soffre di sonnambulismo,
nemmeno nella dolcezza di Natale.

24 dicembre 1984