1984 luglio 15 Dall’est niente di nuovo: il mondo (e il dissenso) possono attendere
1984 luglio 15 – Dall’Est niente di nuovo: il mondo (e il dissenso) possono attendere
Afferma la figlia adottiva di Andrej Sacharov: «Stanno uccidendo un uomo senza togliergli la vita».
«In Urss mi consideravano semplicemente una non-persona» ha dichiarato Andrej Tarkovskij.
E i sindacalisti marxisti del Kor hanno detto ai giudici di Varsavia: «Vogliamo il processo per provare
la nostra innocenza, rifiutiamo gli accordi moralmente ambigui tra il boia e la vittima».
Uno scienziato premio Nobel, un grande artista del cinema, esponenti del dissenso operaio non hanno
scampo con l’orso perennemente ibernato del comunismo reale: o il confino o l’esilio o le manette. Il
metodo della ricerca scientifica, dell’arte, della stessa dialettica sociale non può che essere la verità. ma
la verità è sempre sovversiva, è l’unico rischio che nessuna nomenklatura può correre. Nel reprimere il
dissenso, l’Urss e i suoi partners sono di una esemplare coerenza; la repressione non è che una
deviazione del Sistema, soltanto il suo elemento di identità.
Passano primavere e disgeli, cambiano i leaders sulla Piazza Rossa, non muta né marginalmente né
strumentalmente il plumbeo, ottuso niet del Cremlino alle voci del suo immenso serbatoio umano,
nemmeno alle più prudenti della disperata utopia di un socialismo affidato alla gestione leninista.
L’Urss è immobile quindi si allontana, perché il modello occidentale si dimostra invece sempre più
progressivo, capace di amministrare in termini di libertà anche le contraddizioni. Lo stato burocratico,
in apparenza più omogeneo, ha paura; lo Stato democratico, a prima vista più centrifugo, ha fiducia.
Anche in termini di immagine e di simboli, la divaricazione si accentua. Dopo il reverendo negro in
corsa tra gli anti-Reagan, è ora la volta di una donna candidata dai democratici alla vicepresidenza
degli Stati Uniti. Sulla candidatura di Geraldine Ferraro, «La scelta di una donna rompe un tabù di
discriminazione, esprime una grande novità, è un’operazione audace». È la più recente testimonianza di
un Paese in eccezionale evoluzione dove anche la lentezza dei movimenti storici non perde
l’appuntamento con le urgenze sociali. Un Paese che ha l’orologio regolato sulla vita più che
sull’ideologia, anche a costo di fare della verifica popolare la costante di ogni potere.
Il denaro non ha odore, Est e Ovest fanno assieme giganteschi affari, alimentano forme d’integrazione
economica molto più massiccia di quanto lascino supporre i Jumbo abbattuti, il no alle Olimpiadi, le
trattative congelate o la stessa confrontation a base di testate. Su questo scenario ambiguo e allarmante,
un solo dato fa eccezione per la sua stabilità extratemporale, quasi allergica alle leggi del progresso: e
cioè il silenzio delle voci, un lager della coscienza prima che della libertà cui debbono piegarsi lo
scienziato, l’artista, il sindacalista dentro le frontiere dell’impero sovietico.
È il paradosso del nostro tempo. Il mondo sta vivendo la rivoluzione dell’informatica, sublima la
circolazione delle notizie, produce sulle informazioni, ha più che mai bisogno di integrare l’opinione
pubblica nelle decisioni, è industrializzato anche perché ha raggiunto al suo interno una mobilità senza
precedenti. È un mondo che tende a superare per pragmatismo l’istinto al muro e che, se un ideale ce
l’ha, è quello di integrare agli apparati le domande della gente. Gli ennesimi segni che giungono
dall’Est ratificano l’esatto contrario, e cioè la frustrazione di un sistema che pare realizzarsi nell’anti-
storia, nel rifiuto di ogni circolazione di idee e di informazioni.
Un’impermeabilità questa che pone i partiti comunisti dei Paesi occidentali di fronte a disagi, non
soltanto tattici, che strappi e strappetti non bastano a esorcizzare. I Sacharov, i Tarkovskij e i
sindacalisti marxisti di Varsavia sono una lacerazione del mondo, non uno strappo di partito.
agosto 1984