1984 novembre 17 La sfida alla morte
1984 novembre 11 – La sfida alla morte
Il cardiochirurgo americano cominciò a dedicarsi ai casi disperati come quello di Baby Fae da quando
fu spettatore impotente, accanto ai genitori, dell’ineluttabile spegnersi di un bambino colpito da
malformazione congenita. Prima che una tecnica, il trapianto è una sfida alla morte certa, l’ultimo Sos
che la vita lancia alla scienza.
In quegli avamposti della sopravvivenza che sono certe cliniche statunitensi si afferma che la chirurgia
può essere «globale» soltanto a patto che paziente e chirurgo riescano ad essere «soci» nell’impresa.
Baby Fae, figlia di una povera disperata ragazza-madre, non poteva essere «socio» di alcuno, nemmeno
della speranza più elementare, il vivere: era un piccolo fragilissimo essere, da reggere sul palmo della
mano, da aiutare senza saper bene dove cominci il bisturi e dove la tenerezza.
C’è chi opta per le protesi, chi per il trapianto umano, chi allunga la sfida fino a integrare organi
animali suscitando interrogativi che meritano in ogni caso meditazione e rispetto. Ma noi, nei 19 giorni
strappati al destino di Baby Fae, avvertiamo che la nobiltà di una scienza che aiuta a vivere e non a
morire, il fascino del progresso che cammina per l’uomo, l’orizzonte di una tecnica che sperimenta,
cade, ricomincia e mai si arrende nel tentativo di rispondere al primo istinto, quello della
sopravvivenza, e di abbassare la soglia del male.
In un tempo in cui il dubbio culturale è l’unica medicina contro tabù e fanatismi, il volto prima
sofferente, poi felice, infine perduto di Baby Fae ha attraversato orizzontalmente tutta la gamma dei
nostri pensieri, senza ucciderne alcuno. La sua morte ha sperimentato la nostra coscienza e la nostra
voglia di vivere.
novembre 1984