1984 ottobre 5 Venezia, come gestire il 2000
5 ottobre 1984 – “Venezia, come gestire il 2000”
Ora si tratterà di spendere bene 600 miliardi in un’operazione che nei prossimi anni investirà su
Venezia qualcosa come duemila miliardi in totale. È a questo punto che s’innesta una questione
importante, che interessa tutti, nessuno escluso, e cioè il rigore della gestione. Venezia spende denaro
pubblico avendo addosso gli occhi del mondo; non può ignorare il valore straordinariamente civile di
questa sua responsabilità. Nell’accordare a trattativa privata la concessione di lavori alle imprese o
nell’assegnare contributi ai privati o nell’avallare progetti comunali, l’esigenza del rigore è preliminare;
anzi deve camminare assieme a ogni passo della Legge. Del resto la stessa Legge prevede il
«controllo» di un comitato su tutti gli interventi. Ma non basta certo la garanzia formale di un articolo
legislativo se chi amministrerà tanto denaro per tanti anni privilegerà il clientelismo di partito sulla
trasparenza imprenditoriale di una colossale impresa. Il rischio delle speculazioni è sempre in agguato e
non sempre – come erroneamente si crede – le peggiori passano attraverso affaristi d’assalto; spesso la
speculazione è il parassita del capitale pubblico usato per finanziare interessi di parte non la collettività.
Con una Legge che rende fattibile il progettuale, Venezia affronta l’appuntamento più importante,
quello con il 2000. Dopo tanti studi, tante discussioni, tante tempeste in un bicchiere non può sbagliare
anche perché, se questa Legge ha un segno particolare, è di aver eliminato tutta una serie di lacci, carte
bollate, ostacoli, le famose scatole cinesi che sembravano essere state create apposta per consigliare
l’inerzia anche ai più volonterosi tra i cittadini. Venezia si è data una Legge più agile e funzionale, che
obbliga finalmente a mettersi al lavoro. La gestione sarà il suo banco di prova, senza appello.
Ventiquattro articoli, il primo dei quali dice: «È autorizzata, nel triennio 19841986 la spesa di lire 600
miliardi, per l’attuazione di interventi finalizzati alla salvaguardia di Venezia ed al suo ricupero
architettonico, urbanistico, ambientale ed economico». La Legge per Venezia, approvata all’unanimità
dalla Camera, attende ora lo scontato sì del Senato: «essere Venezia» non è più un magico sentimento
esistenziale; da oggi è anche un progetto di lunga vita speso sulla Città più originale del mondo. Le
forze politiche hanno avuto, sia pure in extremis, un merito che va riconosciuto, di aver intuito che i
veneziani non ne volevano più sapere di litigiosi dibattiti dove ognuno tirava la marea al proprio
mulino penalizzando ogni iniziativa. Se è vero che il verbo «salvare» possiede una sua istituzionale
urgenza, salvare Venezia non poteva permettere ulteriori rinvii. Il «partito del fare presto» non è mai
stato una concessione al qualunquismo, piuttosto una politica che non intendeva perdere i miliardi già
stanziati dallo Stato e che, soprattutto, puntava ad accordarsi su alcune priorità dopo un decennio di
dispute. Questa Legge ratifica una mediazione di fondo. In essa si riconosce benissimo la pressione
pragmatica della Dc, del Psi e del Psdi. Contiene istanze dei comunisti e dei repubblicani. Ha assorbito
lacerazioni tra apparati romani e periferici di più di un partito. L’unanimità finale è un risultato
raggiunto con fatica su un problema complesso, ma l’opinione pubblica aveva bisogno di capire che era
in gioco il destino di Venezia, non un appuntamento elettorale.
5 ottobre 1984