1998 gennaio 11 Un Nordest alla catalana
1998 gennaio 11 – Un Nordest alla catalana
Venezia. Federalisti di tutto il Nordest unitevi! Questa l’idea-guida del manifesto, per ora soltanto una
bozza di sette cartelle, che Massimo Cacciari, cinquantaquattro anni, ordinario di estetica a Ca’ Foscari,
sindaco di Venezia dal 1993, metterà a punto domani a Mestre in un incontro ristretto con i padri
fondatori del «movimento del Nordest», sviluppatosi negli ultimi tre anni. Prima come movimento di
opinione, quindi come soggetto trasversale di sindaci, poi tenuto a battesimo dall’imprenditore Mario
Carraro, infine approdato alla sua fase politica: con Cacciari, appunto, che per spiegarsi meglio ha
usato la metafora «catalana». Non c’entra niente la Catalogna. Né la sua lingua romanza, né la sua
storia. E, meno che meno, c’è traccia di éthnos. Semmai di ethos, se è vero che il manifesto in via di
elaborazione poggia su uno strenuo cemento culturale. Il federalismo che parte dal basso, dalla
«persona», «uomini in grado – mi precisa Cacciari – di autogovernarsi». Un movimento che meno
isolazionista non si pu , anche qui a sostegno della metafora catalana. «Anzi, l’esatto contrario –
avverte – perché vuol essere assolutamente protagonista della riforma del Paese». Non solo. È così
poco Narciso il Nordest immaginato da Cacciari che il suo appello si rivolgerà anche a tutti gli altri
partiti e movimenti autonomisti d’Italia: «Dovremo federarci immediatamente – pensa il sindaco – con
sardi, valdostani, anche con la Südtiroler Volkspartei. E altri». Il progetto di Cacciari viene da una
lunga incubazione, in pratica dal 1990, con l’esperienza di consigliere comunale. È lì che il federalismo
dello studioso sbatte il muso sulla realtà dell’amministrazione. Quasi uno choc e la scoperta, giorno per
giorno, che sulle ceneri dell’ideologia sarà il buongoverno del territorio a qualificare la politica con la P
maiuscola. Come dire un rovesciamento di gerarchie, che rifiuta alla radice la decrepita idea di
«centro», ri-centrandola sulla cosiddetta periferia, esattamente dove il cittadino incontra la pubblica
amministrazione. Ma è da sindaco tra sindaci che il suo federalismo diventa «radicale». Né Bossi né
Roma, né lo smembramento né la conservazione, né l’avventura né i piccoli impercettibili passi. Forse
lo conforta lo storico sindaco di Barcellona, Maragall, che un giorno gli sintetizz anche la sua
esperienza nella Spagna postfranchista: «Contro il vecchio Stato sì, due Stati mai». Questo il primo
comandamento nella visione di Cacciari. «Senza
la riforma dello Stato – scommette –
l’amministrazione italiana non potrà mai essere europea, mai competitiva. L’Italia pu anche mettere a
posto i suoi conti, mai la sua anima». Attenzione, qui non siamo al facile «Roma ladrona», piuttosto a
una contestazione più di sistema. «Questo» Stato è disgregatore motu proprio; l’autodisgregazione si
evita soltanto mettendogli mano in profondità, in fretta, partendo da un’area cui nessuno – nemmeno il
più malintenzionato – nega il ruolo di «laboratorio». Laboratorio per cambiare. Non c’è tempo da
perdere, e Cacciari ha una convinzione: questo è il momento del Nordest. Se il Nordest, come lo
definisce il professor Ilvo Diamanti, è più che mai «un crocevia», sarebbe molto rischioso non cogliere
la crescente disaffezione, il crescente astensionismo, le tensioni di una società veloce, l’ictus padano,
domanda di ceto e di ruolo, da sinistra a destra. Trasversalmente, come trasversale è la proposta di
Cacciari che mai nella vita ha pensato a un «Ulivo del Nordest» e che, al contrario, guarda in maniera
palese a quel sessanta per cento di elettorato che tuttora vota centrodestra e Lega. Prospettiva, questa,
posta da Carraro come aut aut, da sempre. Cacciari, non lo dice, forse nemmeno lo pensa, ma azzardo
un’ipotesi. Se il suo rivoluzionario progetto funzionerà, il Veneto ora tripolare (un terzo Lega, un terzo
Polo, un terzo Ulivo, grossomodo) potrebbe ritrovarsi bipolare, o quasi, tra Lega e «movimento
federalista del Nordest». Forse, non a caso, intervistato ieri dal «Mattino» di Padova, il senatore
D’Onofrio, ccd, relatore in Bicamerale per le riforme federali, ha definito l’iniziativa di Cacciari «di
grande innovazione e intelligenza, capace di mettere in crisi nel Veneto sia l’Ulivo che il Polo». Sic.
Un rischio che non deve essere sfuggito al presidente della Regione Veneto, Galan, di Forza Italia,
impegnato in un vero e proprio forcing per portare a referendum popolare una proposta di «statuto
speciale», recuperando la spinta unanime della pubblica opinione. Anche questo un indizio che
Cacciari cita a sostegno dell’urgenza del suo manifesto politico: «Tutto in quest’area, da Venezia e
Trieste a Bolzano, – puntualizza – si muove nella direzione dell’autonomia. Eppure, mentre approda in
Parlamento, il dibattito sul testo della Bicamerale continua vistosamente, con gravi rischi, a
sottovalutare il tema del federalismo a vantaggio del presidenzialismo e della giustizia. Il bene del
Paese vorrebbe il contrario». Geneticamente riformista, uomo di transizione e di processo, Cacciari
invent qualche anno fa a Venezia la lista «Il ponte». Nel suo ultimo libro, l’idea di «ponte» gli appare
come «il più arrischiato e necessario dei sentieri tracciati dall’uomo». Massimo Cacciari prova ad
attraversarlo. Chi con lui?
11 gennaio 1998