1999 Agosto 19 – Cara vecchia Vespa

Alla nonna la “Vespa” costò centomila lire, per me un regalo da nababbo. Andava meglio di una
libellula, un “siton” dicevo, la esse sibilante e l’accento come uno scoppio. Per eguagliarne le
emozioni oggi dovrei prendermi almeno una Porsche, ma neanche: vuoi mettere con il vento in
faccia e l’aria da adescamento?
Leggere che la Piaggio va ai texani non mi pare una brutta notizia. Il motto del Texas è “amicizia” e
già mi vedo gli spot della Vespa lungo il canyon del Rio Grande o mentre attraversa le praterie di
bisonti. E’ americana la moglie di Giovannino Agnelli. Senza di lui, diventa americana la sua
Piaggio, per destino.
Bisognerà che prima o poi ci mettiamo d’accordo su questa benedetta, o stramaledetta,
globalizzazione. Del Vecchio fa diventare cadorini i “Ray Ban”, che sono il mito dell’occhiale. Tra
Onu e Benetton, non so chi compra più Paesi. Sulla tuta da corsa di Mikka Hakkinen, prodotta in
soli 50 esemplari al mondo, si legge “Hugo Boss”, ma il boss vero del marchio tedesco è Pietro
Marzotto. Aziende che vengono, aziende che vanno, però non siamo preparati a tutto: i capitali
viaggiano a 100 all’ora, le bandiere frenano.
Restiamo un po’ patrioti. Se acquistiamo aziende straniere, si suona l’inno nazionale; se le cediamo,
il silenzio. Ma è un criterio oramai retorico. Dopo aver avuto anche Gheddafi tra i soci d’oro, la
stessa Fiat è sempre meno Italiana. La strategia fa oggi l’azienda.
L’amministratore delegato della Ducati, che i texani li ha già in casa, ha detto: “La nostra è
un’azienda che innamora”. E’ bello questo, riuscire a far “innamorare” gli investitori stranieri,
umanizzando il più possibile dollari, finanza, affari, mercato.
Forse è il modo per far si che, acquistato da un grande fondo d’investimento Usa, un marchio del
made in Italy, porti con sé storia, lavoro, tecnici, operai, stile. I migliori imprenditori considerano
tutto ciò una “responsabilità”.
Buon viaggio cara vecchia Vespa, good bye. La nostalgia non è quotata a Wall Street.