1999 Aprile 28 Viva l’impresa

1999 Aprile 28 – Viva l’impresa

E’ un gran bel numero Leonardo Del Vecchio, il “re degli occhiali” che adesso si è infilato anche i
mitici “Ray-ban” di Audrey Hepburn e di Marlon Brando. Cresciuto a Milano, nell’orfanotrofio dei
“Martinitt”, deve aver capito fin da piccolo che la vita gli chiedeva molto, fatica, tenacia, lavoro,
voglia di vincerla anche.

E’ un tipo schivo, il meno intervistato, il meno televisivo del mondo anche se i giornali specializzati
europei lo considerano da anni il più “stimato” tra gli imprenditori italiani. Schivo e simpatico, come
precisa Teo Sanson, il “re del gelato”, che gli è amico da 30 anni e lo ha socio nella sua azienda: “Per
Del Vecchio – mi spiegò Sanson – la ricchezza non è tutto. A me non chiede mai un conto di nulla,
mai, è un uomo che dà fiducia”.

Ha 63 anni, 38 anni fa lasciò Milano e si trasferì ad Agordo: partì da zero, ora guida un gruppo da
tremila miliardi di fatturato. Alla fine del ’98 era valutato in Borsa 4500 miliardi, quarto capitalista
italiano dopo Berlusconi, Benetton e la famiglia Bertarelli.

Non si immischia con i partiti; alla politica chiede buoni servizi, buona amministrazione, o magari di
impedire in tempo che tutto l’agordino resti isolato per mesi da una frana. Quando gli offrirono di
fare il presidente dell’Inter, rispose che non era il caso finchè i suoi operai prendevano un milione e
mezzo al mese.

Ha una stima immensa per gli operai italiani, che giudica i migliori al mondo, migliori dei giapponesi,
degli americani, di tutti. Ha detto in proposito: “MI interessa il loro cervello, al resto provvedono le
macchine”. Ragion per cui non gli passa nemmeno per la testa di delocalizzare la produzione: non
potrebbe dato che il suo successo è tutto legato alla qualità, alla tecnologia, all’intelligenza, ai
materiali, ai modelli.

Lui, nato artigiano a Milano, ha rivoluzionato ad Agordo la tradizione artigiana dell’occhiale: oggi
Del Vecchio è un marchio del territorio e, insieme, senza territorio. Glocalista, si direbbe, altro che
fughe all’estero. Conquistando “Ray-ban”, si è assicurato sette anni di sviluppo: parola sua.

E’ quotato a Wall Street quasi da dieci anni, avendo dribblato il “parco buoi” di Milano. Ha acquistato
tutto quello che gli serviva a diventare il Numero Uno nel settore, seguendo la pista battuta fin dalla
metà degli anni ottanta da Pietro Marzotto e Luciano Benetton.

Sono davvero i campioni del Nordest senza frontiere, con la vocazione dell’export e del primato. Non
a caso, l’Università di Cà Foscari, con rettore il prof. Paolo Costa, laureò Del Vecchio e Benetton
honoris causa insieme, lo stesso giorno. Perché soci in tante cose, amici, ma anche paradigmi di un
certo modo di creare dal nulla imperi aziendali e, soprattutto, innovazione a lunghissimo respiro.
L’etica del capitalismo è anche senso del futuro.

Faccio notare, se qualcuno non l’ha già fatto, che nell’acquisire per 1.166 miliardi la “Ray-ban” dei
sogni, la Luxottica di Del Vecchio ha battuto la Safilo dei fratelli Tabacchi, di Padova, oltre che la
Polaroid. Insomma, un match quasi tutto veneto, che insegna tante cose, che smonta tanti luoghi
comuni e che suggerisce di non generalizzare, né mitizzando né deprecando. E’dura, ma qui si tiene
botta, senza favori.

Il capitalismo genera solidarietà con gli investimenti, i profitti, la ricchezza distribuita. L’ottica buona,
questa, anzi luxottica…