1999 Dicembre Vicenza e Treviso
1999 Dicembre – Vicenza è la regina delle provinciali ma la “greca” Treviso ha sangue blu
Se è industria , allora ci siamo, il calcio è di casa a Vicenza, la Ruhr del Veneto; se il calcio è
business, benvenuto a Treviso. L’uomo economicus qui fa la ola.
Il pallone ignora il bipolarismo, da sempre rispetta l’anima interclassista, buona per le trattorie
come per gli yacht, pomposa e populista. Nel ‘700 a Venezia, i patrizi giocavano a pallone nelle
corti private, i plebei al campo dei Gesuiti, finchè un decreto non lo vietò.
Una volta, racconta la bella penna di Virgilio Scapin, i contadini di Breganze tenevano “I schei
dentro un gropo di fazzoletto”. Oggi Alessandro Del Piero di San Vendemiano veste Dolce &
Gabbana, s’incravatta Marinella, calza Prada, e prende dalla Juve un salario di 850 milioni netti al
mese, quanto quattrocento metalmezzadri assieme.
Ma i moralisti hanno torto a prendersela con i nuovi “siori”. Da Vicenza a Treviso i derby del
denaro fanno oramai dormire sonni tranquilli a tutti da quando i schei sono diventati protestanti:
Dio non li usa più come tentazione cattolica, ma per misurare il talento provvidenziale; fatte le
“opere di bene”, il resto è tutto talco.
Attraverso l’evangelica cruna nell’ago si può passare anche in Ferrari testa rossa, buttando alle
spalle miserie nè troppo lontane né così vicine, miserie a memoria piuttosto.
Lo storico Ernesto Brunetta ha documentato che nelle campagne del trevigiano il grano serviva a
pagare il padrone, il mais a sfamare il contadino, il vino a raccattare gli spiccioli per il mercato.
Come tutti i giochi che si rispettano, il calcio è diventato un lusso, a vendetta sacrosanta sul panem
et circenses dei poveri.
Finalmente è il sudore dei ricchi, levigato come Telepiù, anche se il prof. Silvio Lanaro lamenta che
questa nuovissima “razza Piave” non è ancora riuscita a inventarsi uno “stile”. Una cultura del
profitto, forse.
Se credi di poter prendere Vicenza per un solo verso, ti sbagli di grosso. E’ stata Dc fino al midollo,
canonica d’Italia, pigramente bigotta,, ma anche eretica, grottesca, tagliente, cosmopolita.Il suo
più scavato cattolico, Fogazzaro, finì all’indice, ma i suoi scrittori più trasgressivi evocano un
humus pari a un destino.
Lo si coglie anche dagli indizi. Piovene scrive “Lettere di una novizia”, Parise “Il prete bello”, Pozza
“Processo per eresia”, Scapin “Il chierico provvisorio”, Meneghello si diverte con “Libera nos a
Malo”, Fernando Bandini poeta in latino riceve il massimo attestato dal Papa.
E’ doppia in tutto Vicenza, un pò labirintica. Le scenografie di Palladio conquistarono l’America,
che oggi a Vicenza ha la base di comando per il Sud Europa. Monte Berico è la sua statua della
Libertà.
“Nobile provinciale” era chiamato il Vicenza di Maltauro, Giacometti, Gemmo, Pisoni. Come il
Padova di Rocco, restaurava giocatori in manutenzione, pagava ingaggi da cassa rurale, era fatto in
casa e curava il “vivaio”. Tra un gol e l’altro, Sergio Campana vi trovò anche il tempo di laurearsi in
giurisprudenza, solo di tutta la serie A.
Una squadra casereccia che giocava come una grande; metafora perfetta del baccalà alla vicentina
secondo il dettame di Guido Piovene. Un’ora di battitura con un martello a legno, trentasei ore
tenuto a bagno; così il più popolare dei piatti diventava degno della cucina francese.
Proprio come il calcio del Vicenza, che più tardi avrei chiamato Real Lanerossi, per amore, per
grandeur alla veneta.
Vicenza eretica non poteva lasciare in pace la sua “nobile provinciale”. Un giorno pagò Paolo Rossi
più della Juve, quasi come un Ronaldo. Più tardi, forse in coerenza con i suoi record nell’export, fu
la prima società di cacio a finire in mani straniere.
Treviso è stata definita “greca”, non ricordo da chi. Brera sosteneva che i trevisani rappresentano
uno dei migliori gruppi etnici d’Europa.
La sento ironica e borghese. Cino Boccazzi fu il primo a farsi beffe degli albergatori che esibivano la
“nuvel quisin”, testuale, sul menù.
E’ leggera la civiltà trevigiana, di Marca. L’architetto Angelo Tramontini citava Paul Valery per dare
alle costruzioni il perduto “soffio di Vita” , e si dichiarava “sconvolto” dalla brutalità dell’edilizia
d’assalto-
Treviso è seduta sul Sile come la casa di Comisso. La trovo elegante, fluida e ti prende. Un friulano
di Casarsa come Nico Naldini l’ha assorbita tutta, vivendoci. Ha scritto un verso “Il buonumore dei
vecchi/ ha impronte leggere”.
Il Dio dei trevigiani è più indulgente che altrove. Giuseppe Toniolo insegnò come i cristiani
dovevano realizzare la giustizia sociale in economia, Per vie misteriose, la risposta è forse arrivata
dal capitalismo che , quasi quasi, fa coincidere tot famiglie con tot imprese, socializzando al
massimo il benessere.
Il calcio a Treviso è più conviviale che altrove. Con Benetton, avrebbe potuto avere i mezzi del
Parma: senza è rimasto più Piazza dei Signori e meno borsa del football. Il suo pubblico va allo
stadio come a un picnic; sopravvive un sapore di scampagnata.
Però è un calcio di tradizione. A Milano negli anni ’60 , si parlava del vivaio di Treviso come fosse
una Oxford del calcio, e forse i lettori più giovano ignorano che l’invenzione del battitore libero è
trevigiana doc come i maglioni senza cucitura di Giuliano Benetton. Fu una trovata di Gipo Viani di
Nervesa, che cercava una tattica per i David del fondoclassifica contro i Golia d’Italia.
Pensa te. Il primo campionato italiano risale ufficialmente al 1898, ma due anni prima a Treviso si
giocò una sorta di scudetto ufficioso tra Udinese, Spal e Istituto Turazza! I derby sono derby, e le
storie bisogna sempre raccontarle tutte. Il Vicenza sarà la regina delle provinciali, ma il Treviso ha
sangue blu.
Io tifo perché il tifo ne sia degno.