1999 gennaio Ulisse 2000 Bolzano
1999 gennaio
Ulisse 2000
Bolzano – Una porta sul futuro
A nord di Bolzano c’è soltanto il Nord. Nell’Italia delle Cento Città, Bolzano le guarda tutte
dall’alto in basso. L’hanno chiamato in tanti modi ma sempre con lo stesso risultato, città di
frontiera, città di transito, città cerniera, città ponte, all’alba della sua antica vocazione mercantile
l’Adige le permetteva di farsi raggiungere anche in zattera. Un grande scrittore come Guido
Piovene trovò che la sua “meraviglia” consiste nel mercato della frutta.
È l’”ultima” città italiana, o la “prima”?, mi chiedo. Bolzano sta proprio nel suo doppio, l’ultima da
uno sguardo italiano, la prima da uno sguardo tedesco. Benvenuti, Willkommen.
Incontra e mescola mondi, li tiene allo stesso tempo separati e integrati, un grumo di storia tirolese,
bavarese, asburgica, tedesca, italiana, anche ladina, terzo cippo linguistico. Il centro di Bolzano si
illumina con le facciate dei palazzi gotici, barocchi, rococò, neoromanici, eppure la città vecchia è
più che mai impegnata a far nascere la “città nuova”, nuova di una specialissima architettura
romana ed europea che riguarda l’anima di Bolzano non la sua topografia. È la faticosa quanto
ineluttabile architettura della tolleranza, della diversità vissuta per la prima volta come scommessa
sul futuro. Una differenza abissale rispetto anche al passato più recente: oggi le speranze superano
di gran lunga le paure.
È una metafora, Bolzano. I confini non indicano più dove finiscono i popoli, le storie, gli Stati, ma
esattamente dove cominciano, dove si aprono. La vecchia idea di frontiera va in pensione proprio
nel punto in cui mondo latino e tedesco si incontrano. Prima per fronteggiarsi adesso per spiegarsi.
Andare a Bolzano è anche respirare dal vivo questa rivoluzione culturale. Un bel libro di Pinuccia
Di Gesaro la indica come una delle rarissime città dove, tra le 80 zone multietniche e mistilingue
presenti in Europa, i muri si trasformano ora in porte.
Dalmata di Zara, trapiantato a Bolzano, dunque uomo di ogni tormentato confine d’Italia, il sindaco
Giovanni Salghetti Drioli, eletto da italiani come da tirolesi, sente che sta accadendo qualcosa di
inedito, a lungo atteso: “Abbiamo attraversato di tutto – ammette – diffidenze, insicurezza, attentati,
blocchi, ma ora l’Europa, aprendo i confini fisici, spero spinga noi tutti ad aprire anche quelli
mentali” .
Come dire, via per sempre dagli incubi della Italianizzazione forzata come dal dover optare
drammaticamente tra la germanizzazione di Hitler e la colonizzazione di Mussolini. Via anche dal
mito nazionalista di “Ein Tirol”. Via, soprattutto, dal reducismo dei ricordi, tutti collassati sulla
questione etnica.
Nella città maestra nel fare i pane, di ogni tipo di ogni profumo, prova a diventare pane quotidiano
di dialogo. Transfrontaliero, come si dice con un aggettivo finalmente di relazione: pane fresco.
Nessuno, né da nord nè da sud, ha più in testa migrazioni che mirino a violentare le percentuali
etniche di una città al 72 per cento italiana in un Alto Adige al 65 per cento tirolese di lingua
tedesca. Così, Bolzano si è entusiasmata nell’accogliere un solo inaspettato ospite, sbucato fuori
all’improvviso dal “paese dei monti” – come si chiamava in origine il Tirolo – quasi a voler
riaccendere un millenario gusto per il mistero, la leggenda, la favola, l’incantesimo di streghe,
folletti e nani.
Lo chiamano familiarmente “Otzi” questo cittadino onorario – conosciuto anche come l’”Uomo di
Similaun” – scoperto lassù, tra i ghiacciai e gli alpeggi dell’Otzal, dove Val Venosta e Val Senales
testimoniano da millenni transiti e transumanze. Bolzano lo ha fortemente voluto per sé e lo mostra,
con rigore scientifico e con orgoglio, a mille visitatori in media al giorno, ogni giorno dallo scorso
marzo.
L’”Uomo venuto dal ghiaccio” “Der Mann aus dem Eis”, ha trovato casa perfetta al Museo
Archeologico, situato appena alla fine della sfilza di Portici che per Bolzano furono il primo luogo
di accoglienza, di affari e di commerci, e che ricordano certe prospettive di un’altra città di Portici
come Padova. Lì si può ammirare la mummia recuperata poco distante da rifugiarsi Similaun, e a 92
metri dal confine austriaco!
“Otzi” vieni dritto dall’età del rame, ha cinquemila anni, è una scoperta unica, fa ringraziare in
ginocchio Dio per quell’estate caldissima del 1991 che fece sciogliere il ghiaccio e apparire, dalla
cintola in su, avrebbe descritto Dante, questo miracolo della conservazione in natura. Lui non sa
nulla di noi, noi tutto di lui.
Centinaia di esami d’ogni sorta, analisi, alambicchi e tac, laser e carbonio 14, il meglio della ricerca
mondiale, hanno svelato e spiegato che “Otzi” aveva 45 anni, era alto un metro e sessanta scarso,
pesava 50 chili, cacciava e morì di freddo in una tarda primavera.
Forse è un segno del destino che l’uomo venuto dal ghiaccio, e dal Nord di roccia, abbia trovato
l’ultima residenza Bolzano, la città che esce dal ghiaccio con una gran voglia di scoperta, di teatri,
di auditorium, di fiere, di hotel, di superstrada, aeroporto, di università, tutte ma proprio tutte opere
pronte a decollare o appena avviate. Con 100 mila abitanti scarsi e 50 mila pendolari a giornata,
Bolzano vede esplodere la domanda di turismo. Cioè di curiosità, e si tratta soltanto dell’inizio.
E anche un piccolo Rinascimento culturale per Bolzano. Il nuovo Teatro, progettato da Marco
Zanuso, lo stesso architetto del “Piccolo” di Milano, sarà inaugurato prestissimo, due teatri in uno,
di 800 e 300 posti, il tutto costruito in soli quattro anni.
(quanti, ahinoi, per la fenice di Venezia?)
Nessuna città italiana ha altrettanta musica per metro quadrato e per abitante: credo un record di
Bolzano. Musica alta e popolare, scolastica ed elitaria, di gruppo e da solisti. Qui ha lasciato traccia
Benedetti Michelangeli. Qui come a Parigi e Vienna, Abbado canta con la sua “Orchestra Gustav
Mahler”il talento dei giovani europei. Qui il concorso pianistico Busoni fa selezione mondiale. Qui
si perfezionano le migliori leve dei conservatori d’Europa. Qui l’Orchestra Haydn tiene stabilmente
insieme gusto tedesco e italiano. Qui, in una terra con la vocazione di massa alla musica, si coltiva
la cultura strumentale di migliaia di ragazzini e si esibiscono qualcosa come 100 cori e 150 band! Il
canto come veicolo di indennità del Sudtirolo/Alto Adige.
È una città-territorio, Bolzano, più che una città-città. Per capirla e gustarla fino in fondo, va tenuta
ben stretta e tutto ciò che la circonda visto che, infinitamente più che altrove, la città è anche e
molto il suo habitat extra urbano, i dintorni, il paesaggio aggregato. Splendido.
Bolzano annette per così dire, le Dolomiti che Le Corbusier definiva “la più bella architettura del
mondo”. Si offre traverso la civiltà delle osterie, delle trattorie, delle taverne, dei frutteti e dei
vigneti pettinati da una mano invisibile. Il vino che oramai teme soltanto la concorrenza della
Sicilia; la cucina che è tanta tradizione poco invenzione: se gusti i “canederli”, sappi che la loro
ricetta risale al 1200.
Soprattutto la cultura tirolese non fa salti, con li fa molto lentamente, e molto gelosamente, tentando
di resistere alla modernità come fast-food. Il Museo Civico assomiglia in fondo a un recapito molto
prossimo, non a un distaccato archivio; più che un museo, come svuotare una cassapanca familiare
che conserva in naftalina una vita molto ravvicinata. Costumi e solenni loden, che potresti ritrovare
ancora oggi alle feste; collari per capre e sgabelli per mungere decorati come gioielli della
persistente cultura contadina. E il legno come linguaggio infinito, stube gotiche, pannelli dipinti,
portali, tavolette, statue, Cristo sull’asina e vescovi, madonne, maschere, anche scherzosi bastoni
per rubare dolci durante i banchetti nuziali. Un mondo soltanto a metà sommerso, un po’ museo un
po’ tradizione, tuttora difeso con i denti nella patria dei 61 castelli e dei 16 mila “masi chiusi”.
Bolzano difende a spada tratta le botteghe del centro cittadino, non ama i supermarket nelle sue
piazze. Ed è il “maso chiuso” il bastione storico della piccola proprietà contadina, che si tramanda
di maschio in maschio, per primogenitura, anche se presto, forse in memoria di Maria Teresa
d’Austria, alla successione saranno amesse anche le eredi femmine. Importante è conservarlo unito,
“geschlossen”, “chiuso” per salvarlo
I masi che circondano Bolzano non rappresentano soltanto una forma di organizzazione agricola o
proprietaria: svelano un mondo, una visione della vita, anche un’idea di ospitalità, che affonda
radici in tutta una cultura: l’isolamento rende sacro il “forestiero ”. Mi racconta Hartmann
Gallmetzer , giornalista di un maso di 50 ettari e undici fratelli che per tutti giorni dell’anno
riservava una camera al possibile ospite. Un sacrificio vissuto come un dovere.