1999 Giugno 21 Gli anni di Bossi
1999 Giugno 21 – Gli anni di Bossi
Madre d’ogni Lega, la Liga fu un’invenzione dei veneti, Rocchetta in testa. La Padania, come
intuizione politica, appartiene fin dagli anni ’60 al professor Miglio. La Lega Nord, che le usò
entrambe anche se in tempi diversi, è una creatura totalmente di Umberto Bossi, a sua immagine e
somiglianza. Se si dimettesse sul serio, è come se Bossi sciogliesse la Lega. Non esiste un altro
segretario di questa Lega; ci fosse, con il successore nascerebbe in realtà un’altra cosa, un’altra Lega,
tutt’altra storia. Chi non ci sta, si autoespelle: come Comencini.
Per un partito tradizionale, dimettersi significa tante cose: azzerare davvero (Manconi), dissimulare
(Marini), esibire (Fini), come non detto (Casini), girarsi dalla parte opposta (Veltroni). Per Bossi
vorrebbe dire una cosa soltanto, e cioè chiudere la porta e buttar via la chiave. Gott mit uns, dio con
noi e nessuno dopo di noi. Bossi ha sempre lavorato sodo per non darsi alternative, non una
controfigura ma nemmeno un sosia, tantomeno un alterego. Quelli che nella sua Lega vengono
definiti “colonnelli”, hanno sempre avuto il peso di caporal maggiori, per di più a rotazione. Un giorno
a Padova, ai suoi parlamentari ammutoliti, chiarì che erano dei “nessuno”, lui li aveva creati lui li
poteva cancellare con un gesto. Il bello è che diceva il vero.
Bossi ha dimostrato grande coerenza, ma con i suoi errori. Una volta proclamava la Padania a
domicilio, non si può fare l’autocrate dentro e il federalista fuori. Con il primo, optò per la sua crisi.
Il federalismo impone alcune regole, la Padania nessuna. Marciare sul Po è un incanto, riformare
l’Italia una scomodità: Bossi ha scelto il comfort del “capo”, a costo di ritrovarsi oggi con il suo
“popolo” al minimo storico, sotto il 5% proposto dalla stessa Lego come sbarramento per entrare in
Parlamento!
Dei suoi ritorni alla politica, “riparto da Roma”, non si è mai accorto nessuno, nemmeno quando
l’elezione del Capo dello Stato gli offrì la grande occasione che s’attendeva dal secondo scrutinio in
poi. LO fecero secco al primo.
L’Euro lo ha privato del suo pezzo forte, la doppia moneta. Il voto europeo ha misurato la Padania
piccola piccola. Il Kosovo lo ha reso patetico.
Sconfitto tre volte, ha capito e cambia, ma per non dare troppo a vedere che il vero sconfitto è proprio
lui, prende a scudisciate colonnelli, sindaci, pasdaran, sulla spianata di Pontida che è il suo campo dei
merli. Attacca ma cambia, tardi. Torna la “questione mitteleuropa” che, strappata senza riguardo alle
suggestioni multiculturali del mondo danubiano, farà sobbalzare il professor Claudio Magris a
Trieste, suppongo. E’ anche l’ora della “Padania sempre”. Nel porre qualche anno luce tra il “subito”
e il “sempre”, a me ricorda certe stelle talmente lontane che continuano a far giungere la luce anche
se sono già spente.
Il tutto, beninteso, nel nome dell’”identità”. Soltanto pochi mesi fa, Bossi lanciò una campagna
terrificante con la quale intimava a Berlusconi: “Sei mafioso? Rispondi”. Ora è possibile, forse,
allearsi, qua e là, caso per caso, o magari no, si vedrà, mentre Berlusconi attende “a braccia aperte”,
come ha promesso giorni fa a Padova.
Con due milioni di voti messi all’incanto e andati al miglior offerente, tutto è diventato più difficile
per la Lega e per Bossi. In Veneto, tengono duro gli amministratori leghisti, nella media capaci, un
buon ceto sbucato dal nulla, che da anni vanno sostenendo quel che Bossi ammette oggi: federalismo
sempre e dal basso, amministrazione, territorio, euroservizi, euroanima, euroitalia.
Li ha sommersi il Po, che ha rotto gli argini della realtà. Il Po di Bossi, non il Po di Giann Brera e di
G.A, Cibotto.