1999 giugno 30 Nordest normale. Non è l’Ulster, baby
1999 giugno 30 – Nordest normale. Non è l’Ulster, baby
Sissignori, il Veneto sta cambiando sotto i nostri occhi spesso distratti: lo fa alla chetichella e però con
chiarezza. Per come vota e per quanto vota, suona di colpo un’altra musica, fino all’altro ieri metallica,
oggi sincopata. Ritorna alla politica il Veneto, un po’ per resa un po’ per scelta, di contraggenio forse ma
per realismo. Di questo in poche parole si tratta: un fatto, non un giudizio. Il tappo del «voto bianco»
saltò nel 1989; dieci anni dopo si conclude l’eruzione. Non facciamoci distrarre da un risultato o da una
percentuale, da 500 voti che fanno la differenza o da una provincia che cambia sfumatura: conta anche
questo, beninteso, ma conta di più constatare che una fase si chiude. 1989-1999, il giro dell’oca è
concluso. A tratti sembrava l’Ulster più che il Veneto, una santabarbara di rivendicazioni e di autonomia,
al confine dell’irredentismo. Per anni, il Veneto ha dato alla politica la forma dell’economia e a questa
la rabbia della politica: una doppia trasfusione che faceva del Veneto un «caso». Per capire cosa accadeva
in Italia, gli inviati dei grandi quotidiani internazionali venivano in Veneto, Nordest, Italy. C’era
materiale in abbondanza, basta citare per schede, senza approfondire, anche perché il dossier soltanto ora
si sta alla svelta raffreddando. La Liga, la Lega, il Life, Vancimuglio, gli imprenditori d’assalto, i vescovi
federalisti, l’autonomismo diffuso, i Serenissimi, i movimenti, i sindaci, il volontariato riformista, i
giornali, le tv, i referendum. Soprattutto, il Veneto come pietra di paragone dello Stato da rifare. Per anni
è stata una processione qui, alla ricerca del tempo perduto: una regione che funzionava da Bicamerale
permanente, a cielo aperto, di massa. È falso che non ci fosse ceto politico. C’era e c’è, con connotati
molto marcati, probabilmente troppo marcati, dunque il più delle volte incompatibili. Basti pensare al
rambismo istituzionale di Galan, al forcing federalista di Cacciari, al venetismo di Comencini, alle
presenze fortemente simboliche dei Tognana e dei Carraro, dei Marzotto e dei Benetton. Sono tutti su
piazza, non è questo il punto, ma è cambiata l’aura, il territorio non sembra più lo stesso, il potere e il
consenso si stanno ristrutturando mentre le parole d’ordine mutano temperatura, senso, direzione. Il
Veneto, laboratorio, il Veneto focolaio, il Veneto degli ultimatum, è adesso meno speciale, meno
originale, meno diverso; assomiglia di più al resto del Paese, ha la stessa febbre non il febbrone.
Nemmeno il tipo di protesta è più lo stesso. Usava il voto, oggi il non-voto. Tollerava persino Bossi, oggi
opta per Emma Bonino. C’era stata una fase in cui il Veneto suggeriva soluzioni, magari alla garibaldina,
ma purtuttavia soluzioni nazionali. Poi ha cominciato ad arretrare, immaginando di portare a casa qualche
risultato locale. L ‘Euro lo ha consigliato, alla fine, a fare i conti: la durezza della competizione lo guariva
di tante illusioni. Si lecca le ferite il Veneto, anche se il suo ruolo è stato tutt’altro che fatuo. Le riforme
sono minime, pigre e spesso retoriche, ma il comune sentire riformista ha fatto nonostante tutto grandi
passi avanti. E parla per lo più l’accento veneto, a cominciare dalle bandiere dell’impresa, della fiscalità,
della burocrazia, dei servizi: insomma, il bambino non è stato buttato via con l’acqua sporca. Questa fase
passa in archivio, stop. Il benessere creò malessere, il malessere produsse protesta, la protesta si sfrangiò
tra rifiuto e proposta, e fu subito stallo. Non era il Veneto gigante economico e nano politico: solo che il
Veneto o puntava sul tavolo sbagliato (Bossi) o non disponeva di un tavolo comune. Era schizofrenico,
visto che rivendicava «autonomia» ma la esercitava, nel porla, con tutti contro tutti. Dopo le ideologie,
qui è morta anche l’ideologia della protesta. Senza dare nell’occhio, il Veneto torna sui suoi passi. Non
ritorna al passato, ma riprende le fila della politica e dell’amministrazione mettendo al centro la partita
dei moderati, dalla Dc al leghismo a Forza Italia, alla Bonino, ai Democratici, fino ai Ds. Berlusconi è
più bravo nel selezionare donne, giovani, imprenditori, indipendenti, liste civiche. Fa bene ciò che fino
all’altro ieri aveva fatto meglio l’Ulivo, e si presenta in pole position per le Regionali del 2000. Alle
europee e ai ballottaggi si è scherzato, al confronto. Ora che il Veneto rifà i suoi conti politici, dopo anni
di evasione nel para-politico, la questione moderata prende il posto della questione settentrionale. Al
federalismo possibile, incredibile ma vero, provvederà Ciampi, un tecnico per fortuna prestato alla
politica. Il Capo dello Stato è il solo che, di questi tempi, insiste. Il Veneto gli dovrebbe la cittadinanza
onoraria.
30 giugno 1999