1999 La sconfitta del Carroccio. Il problema si chiama Bossi
1999 giugno? – La sconfitta del Carroccio. Il problema si chiama Bossi
Ha perso di brutto l’ on. Bossi, non la Lega Nord. Bossi è la Lega ma da tempo il problema della
Lega è diventato Bossi. Lui la moltiplicò, lui la dimezza: per come la guida da tre anni a questa
parte, a me sembra addirittura un miracolo che la Lega tenga botta in provincia e che non scompaia
del tutto.
Le elezioni europee sono state gestite al 100% da Bossi. Sua l’impostazione, sue le parole d’ordine,
sue le apparizioni in tv, sua l’immagine. Il voto se l’è giocato da solo, con una strategia tanto
grottesca da sembrare suggerita da un avversario: al popolo dell’autonomia, delle partite Iva, del
capitalismo diffuso, della post – ideologia, ha proposto per due mesi l’ anti – Nato, l’anti-Stati Uniti,
l’anti-Europa, il neutralismo para- serbo, le comiche missioni a Belgrado, le divagazioni da
“settimana enigmistica” su petrolio, globalizzazione, Bundesbank, e via veleggiando fuori tema,
fuori contesto, lontano dal suo elettorato, estraneo al suo stesso blocco sociale. Incredibile.
La stangata della Lega alle Europee gli va addebitata per intero, anche se arriva lentamente ma
ineluttabilmente da lontano.
Con un gioco di parole, si può dire che la vera forza della Lega era rappresentata dai non – leghisti:
non lo zoccolo duro, non le camicie verdi, non i militanti di Pontida, ma il largo raggio di società
che vedeva nella Lega Nord il miglior maglio a disposizione per battere burocrazia, mezzemaniche
di Stato, portaborsismo politico, ladronerie fatte sistema, servizi e infrastrutture da ultimi della
classe in Europa. Cambiamento, in parole povere.
Per convertire questo leghismo occasionale in consenso stabile, occorreva una lunga, tenace, dura,
mobilitazione sul federalismo, unica idea genialmente utilizzata dal primo Bossi. Per questo salto di
qualità e di massa, la Lega aveva bisogno di darsi un ceto dirigente, di governare interessi, di tenere
ben saldi i piedi sul territorio, di specializzarsi in riforme: la sua missione, in parlamento e fuori, di
detonatore di riforme.
Era scritto tutto, prevedibile come il sole all’alba. A un elettorato abituato al mercato, all’export,
all’Europa, che chiede la modernizzazione ma non il salto nel buio, Bossi ha via via proposto la
secessione, la Padania a tavolino, gli scioperi fiscali e televisivi, il mito dei celti, cioè un Nord
sempre più irreale, un’Italia sempre più virtuale, un’ Europa in salsa lumbard, una Lega asseragliata
nel suo piccolo “ mein Kampf”.
Al leghismo concreto e pragmatico dei ceti produttivi ha intimato due monete alla Pagliarini, un
“parlamento del Nord” e una “costituzione” da paese dei campanelli, un “governo della Padania” di
cui si è perso l’indirizzo, senza contare le “marce sul Po” e gli ultimatum lanciati allo Stato: “ O
trattate l’indipendenza o l’anno prossimo ce ne andiamo”. Testuale, 1997.
Ma ci rendiamo conto che questa è stata cronaca dell’altro ieri, non fantapolitica? In queste
condizioni, ripeto, trovo miracoloso che la Lega tenga ancora in provincia, in una parte della
Lombardia, in un pezzo di Veneto, in una costola del Friuli-Venezia Giulia. La ragione però c’è e si
vede.
Se Bossi ha progressivamente impoverito il suo ceto dirigente, fino a condannare i veneti alla
scissione per stanchezza, il solo ceto che resiste nasce dal basso, nei piccoli e medi comuni,
dall’esperienza amministrativa dei leghisti sul loro peculiare territorio. Il contrario del bossismo, un
giorno rivoluzionario, un giorno a patti, ma sempre sganciato da una linea e da una bussola.
Curiosamente, ora Bossi accusa i suoi di non aver parlato abbastanza di Padania e dunque, di aver
smarrito l’identità. Non si rende nemmeno oggi conto che proprio la sua Padania senza capo né coda
ha privato la Lega Nord di una forte identità politica e istituzionale.
La verità é che Bossi non ha mai voluto “questa” Lega riformista e di governo, ma un movimento
fondato sulla fedeltà ( al capo) e sul tradimento (del capo).
Non è la prima volta che un leader si lascia scippare un brevetto. E’ toccato a Bossi con Emma
Bonino e con i Democratici di Prodi, che non a caso hanno ottenuto ottimi risultati a Nordest: in
un’area delusa ma non ancora rinunciataria, il federalismo liberale è a 360 gradi ( Bonino) come
l’esperienza del movimento dei sindaci (Prodi) sono sembrati gli ultimi prodotti dell’innovazione
politica.
Ma l’on. Bossi aspetta l’indipendenza. Di Cassano Magnago, forse.
giugno 1999