1999 Luglio 26 Formula Uno

1999 Luglio 26 – La formula uno

Quasi dieci milioni di telespettatori hanno guardato la formula uno. Una volta, ricordava Dino
Coltro in una raccolta di canti popolari del Veneto, i ragazzini si addormentavano con l’orzion in
boca, oggi con le ultimissime novità di “ Autosprint” sulle labbra. Il pateravegloria a dieci cilindri.
Se piace tanto a tanti, qualche ragione speciale ci sarà. A chi ha per esempio idee generiche sulla
tecnologia, la formula uno dimostra che la forma ha un traguardo, la tecnologia no, mai. Si può
vincere o perdere per un soffio di vento bene o male accompagnato lungo le fiancate dagli
ingegneri. Vedere la tecnologia del limite è già anticipare la sua applicazione.
E’ il progresso che corre sulla monoposto, sua rischiosa metafora. Qui il millesimo di secondo ha la
stessa dignità dell’ora.
Quando guida al volante elettronico, a tastiera di pulsanti, il pilota fa il pianista a trecento all’ora.
Si allena tutto l’anno perché il colpo d’occhio e le dita siano simultanei, il massimo dell’efficienza
direbbero in Confindustria.
Ino Baggio, personaggio d’altri tempi che a Castelfranco si mangiò qualche eredità e qualche lusso
per lo sfizio di correre tra i bolidi del dopoguerra, mi raccontava che sfrecciare a trecento all’ora
sotto l’enorme arco a mezzo copertone della Dunlop, sul circuito francese, era come infilarsi nel
foro di un topolino nel pavimento. La velocità stritolava ogni prospettiva.
La formula uno è anche pedagogia del quotidiano, sarebbe forse servita alle pagine di De Amicis,
“da Maranello alle Ande”.
La vita, a guardar bene, è piena di numeri 1 (alla Schumacher) che perdono la testa nel vedersi
superati da un numero due (alla Irvine) o di numeri due (alla Coulthard) che rovinano tutto per
non saper accettare di buon grado i numeri 1 ( alla Hakkinen). Capita tutti i giorni.
Nel gioco delle ambizioni, la formula uno realizza poi il vangelo globale dell’economia. Le imprese
debbono “competere”, i prodotti essere” competitivi”, i politici garantire la “competiitività” dei
servizi e del sistema.
Crediamo di ammirare le McLaren e le Ferrari, le “maledette Rosse” come le chiamava un grande
costruttore inglese, in realtà guardiamo allo specchio di noi stessi. In fondo, siamo tutti l’un l’altro
concorrenti, con addosso un invisibile numero di gara, perciò stiamo a milioni davanti alla tv. Chi ci
ferma è perduto.