1999 Maggio 4 Venezia (Usa)

1999 Maggio 4 – Venezia (Usa)

“Una città demenziale”, è Las Vegas per Stefano Del re, di casa negli States. Lo stesso impatto di
Cesare Fiumi (“La strada è di tutti”, Feltrinelli) quando ri- attraversando l’anno scorso gli Stati Uniti
sulle vecchie piste di Jack Keruac, arriva nel Nevada: “Lo sapevo bene, era il posto più pazzo
d’America. Strano museo il Nevada, discarica di sogni finiti nel deserto”.

Ricordo un titolo di qualche anno fa: “Las Vegas, un sogno o un incubo”? Ha più neon per metro
quadrato di qualsiasi altra città del pianeta. E’la capitale mondiale del gioco, dell’azzardo senza limiti,
delle puntate fino al “cielo”, delle macchinette sputa-e-mangia soldi: 3500 slot-machine in un solo
albergo usabili con un cent come con 500 dollari al colpo.

Una guida tascabile consigliava ai ragazzi di andare a dormire fuori città con il sacco a pelo, per
godersi le stelle del deserto, ma subito li avvertiva di stare molto attenti ai serpenti a sonagli. Fondata
dai Mormoni che aspettano il ritorno di Cristo, usata come rifornimento d’acqua sulla strada della
California, Las Vegas è un’esagerazione fatta città. Più che vivere di turismo, coincide con esso, ed
è talmente organizzata per far spendere ogni nichelino ai tavoli verdi che ai suoi ospiti fa invece pagar
poco il vitto e l’alloggio: in proporzione, è una città poco cara dalla quale si può tornare nullatenenti.
Un luogo iperbolico.

Non poteva nascere che a Las Vegas l’idea di rifare “Com’era dov’era” Venezia, San Marco, il
campanile, palazzo Ducale, il ponte di Rialto, usando anche vetri di Murano, marmi di Verona,
pavimenti di Vicenza, e ricorrendo anche a ottimi artigiani veneziani. La copia più costosa della
storia: due miliardi e mezzo di dollari è costato trasferire gondole e colombi a due passi dal deserto.
Roba da matti.

“Kitsch”, è stata la stroncatura di Massimo Cacciari, sindaco della Venezia vera, “cattivo gusto
stellare” ha detto. Ma secondo me sbaglia; ha sbagliato a tenere alla larga il miliardario che ha
finanziato il progetto, a non patrocinare un bel po’ di dollari anche a vantaggio del Comune e,
soprattutto, a non prendere questo eccesso d’America per il verso giusto, con il sorriso sulle labbra.
Come pur sa, quando gli gira.

Chi è senza “kitsch” scagli la prima pietra. Nel Veneto abbiamo fatto macelli dell’architettura e
dell’habitat urbano. Venezia non si fidò di Le Corbusier r di Wright, ma avvallò brutture da guinness
dei primati. Ancor oggi l’architetto Vittorio Gregotti invita Venezia a darsi finalmente una nozione
praticabile di “moderno”. Nell’attesa, qualcuno la copia.

E’ un sondaggio realizzato da Legambiente proprio in questi giorni a informarci che il sette per cento
degli italiani ritiene che Giotto sia una marca di matite mentre due italiani su dieci pensano che la
Galleria degli Uffizi si trovi a Venezia. Questo per dire che le vie del “Kitsch” culturale sono infinite,
tanto da farmi guardare con tenerezza al kitschione americano, almeno sincero e plateale.

In fondo, se Disneyland trasforma il sogno in realtà, Las Vegas ha trasformato la realtà in sogno.
Tutto qua.

Las Vegas poteva anche fare a meno delle 6585 camere dell’hotel “Venetian” in costruzione, visto
che ne ha già uno da record mondiale: l’MGM Grand Hotel con 5009 camere, su quattro torri di trenta
piani, in un’area di 450 mila metri quadrati. C’è dell’altro, scommetto, probabilmente un cocktail di
affari, americanata e amore a prima vista. Anche i magnati hanno un cuore, e Venezia appare in tutti

i sensi “troppo”, troppo bella e troppo unica, perché non scateni la tentazione della replica per
frammenti.

In America non a caso le tante “Venezie” non si contano più, ma anche l’Europa – a cominciare da
Bruges – non scherza con le sue improbabili “Venezie del nord”. Bastano un po’ di canali ed è fatta.
Umberto Eco ha diviso le città in sicure di sé e insicure. Tra le sicure del proprio mito, senza
complessi, non elenca Venezia ma Parigi, New York, Roma Londra Milano, Amsterdam.
Aggiungerei Las Vegas, al top nello spararle sempre grosse e nel sopraddire le sue cose. E’ stato
scritto: “Maledetto chi sputa sulla Beat Generation, il vento restituirà lo sputo”. Farebbe lo stesso il
vento del Nevada, a parlargli male della sua Las Vegas. Ma poi l’America va sempre misurata con il
metro americano, in piedi non in metri. All’inizio degli anni ’50, la rivista “Playboy” uscì con il suo
primo numero in edicola ospitando una novella di Boccaccio sull’adulterio, ma si dovette attendere
la fine degli anni ’50 per trovare in libreria “L’amante di Lady Chatterley”, da sempre sotto censura
puritana. Sono fatti così, tutto e il contrario, prendere o lasciare, ma, secondo me, prendere
nonostante. Sulla celebre andatura di John Wayne, è stato scritto che la sua anca “rifà il David di
Michelangelo”: non so se mi spiego. Però Cacciari lo vedrei benissimo a Las Vegas. Tre anni fa il
fotografo di “Eva Tremila” dedicò quattro paginate al sindaco, allegro come i suoi twist e shake. Il
servizio del settimanale titolava così: “Il filosofo Cacciari, oltre che sindaco, è lo scapolo più
corteggiato di Venezia. Al sabato sera gli viene la febbre e scende in discoteca per scatenarsi in balli
sfrenati. Con sguardi magnetici alla partner, si muove in pista come un leopardo.” Sic.

Aro Massimo, dai retta a un amico: fai un salto a Las Vegas e ricupera più dollari che puoi da mister
Adelson, che ha clonato Venezia come la pecora Dolly. Non fare il difficile. Sarà anche “kitsch”, ma
non è poi detto che la Venezia finta ti diverta meno della Venezia autentica. Ti attendono, al posto di
“Eva tremila”, il “Los Angeles Times e, al “Venetian”, una suite di cinquemila piedi quadrati: tanti,
se soltanto per dormire.