1999 Maggio 7 L’etnia Dc
1999 Maggio 7 – L’etnia dc
E poi parlano di Costituzione! Quando si stabilì nella Carta che il presidente della Repubblica sarebbe
rimasto in carica sette anni, mentre le Camere cinque, il relatore on. Tosato spiegò che in questa
maniera ne usciva rafforzata l’”indipendenza”’ del capo della Stato rispetto al Parlamento che lo
aveva eletto. Per candore, i padri costituenti si preoccuparono dell’indipendenza dal parlamento, ma
non altrettanto di quella dai partiti, entrambe sparite nella notte delle buone intenzioni.
Si capisce perché gli italiani vorrebbero a questo punto scegliere da soli, votando il presidente
direttamente, come si fa con il sindaco. Mancando uomini tagliati per le Istituzioni come, ad esempio,
i De Nicola e gli Einaudi, soltanto il voto di 40 milioni di italiani legittimerebbe la patente “super
partes”, che non vuol dire politicamente asessuata, ma garante di un ruolo imparziale. Ne fu capace
anche Pertini.
Falliti il federalismo e, simmetricamente, il presidenzialismo, siamo in braghe di tela, tanto che il
nuovo presidente nasce già vecchio, non-riformato, frutto di un fallimento non dello strombazzato
aggiornamento delle regole. Verso il futuro in retromarcia.
Mi chiedo anche in base a quale dogma, dopo i sette pii anni di Oscar Luigi Scalfaro, come presidente
“super partes” debba tramandarsi per saecula saeculorum un democristiano di primo vagito, vedi il
sen. Mancino e l’on. Jervolino. Qualcuno se lo spiega, che non sia per via soprannaturale?
La Bonino ha la colpa di essere autocefala in un Paese di confraternite; Ciampi di essere un tecnico
fra i tanti retori. Peccati entrambi mortali, pare. C’è un personaggio dei Promessi sposi, Don Ferrante,
che, prigioniero dell’erudizione e del teatrino diremmo oggi, nega l’esistenza della peste anche se ne
vede i morti. Temo questa normalità al Quirinale, anche se spero che l’irrazionalità dell’aula scombini
la razionalità dei tanti pipiini di turno. I post-dc non sono un partito né una diaspora, ma un’etnia.