1999 Novembre 25 Gli alpini
1999 Novembre 25 – Gli alpini
Un disabile può sopravvivere o vivere. Per vivere, servono assistenza, educatori, strutture, spazi,
riabilitazione, palestre, servizi, fisioterapia, volontari, occupazioni come ad esempio la pittura,
l’animazione, il computer, il modellaggio. Senza famiglia, è emergenza ma lo è anche quando la
famiglia ha un problema supplementare, una malattia. A volte, non c’è tregua.
A Oderzo c’era uno stabile, da ristrutturare a fondo. Per i disabili dell’intera area sarebbe stata la
soluzione.
A chi tocca? Ci si chiese tre anni fa. Nemmeno con tutta la buona volontà, l’Usl numero 9 non ha
due miliardi da tirar fuori sull’unghia. Stando alle carte, al Comune non toccherebbe e dunque lo
stabile resterebbe lì, al vento, ipotetico come una buona intenzione.
Che si fa? Piccolo imprenditore, 50 anni, tre figli e una moglie che gli manda avanti l’impresa
mentre lui fa il sindaco, Giuseppe Covre è un alpino. E pensa alpino, che è un modo di pensare
generoso.
E’figlio di contadini, Covre. Ricorda da bambino i geloni alle mani per il freddo bestiale e ricorda
anche la maestra delle elementari che agli scolari faceva portare nella cartella, la “sacheta”, legna
per la stufa dell’aula. Non è uno che si perda d’animo. A chi gli domanda cosa farà dopo il secondo
mandato di sindaco e di deputato, risponde: “Volontariato”.
E’il volontario di 515 alpini della sinistra Piave che ha costruito i Centro comunità disabili,
attrezzati di tutto punto. Dice Caprioli, medico e mitico leader della loro associazione: “Ci sono
matti da legare e matti da abbracciare: gli alpini”.
Trentamila ore lavorate a Oderzo, che da sole valgono più di un miliardo, ma il cui plusvalore non
conosce cifra. Hanno lavorato a turni, per gruppi, i sabato e le domeniche. Mai si sono chiesti a chi
sarebbe toccato il compito di realizzare l’opera: l’hanno fatto e basta. 25 posti per il diurno, 6 per la
Comunità alloggio, 4 per la pronta accoglienza.
Bisogna raccontare queste cose perché gli alpini non ci tengono a raccontarle.
Conosco un formidabile alpino di Montebelluna, Anselmo, che nel gennaio de ’43 sopravvisse al
gelo russo e a una marcia di centinaia di chilometri in ritirata dal Don. Se racconta quei giorni,
rivede accanto quelli che non tornarono. E furono 84830.
Hanno pudore anche dei ricordi, gli alpini. Sono fatti così.