1999 ottobre Autolesionisti al Governo
1999 ottobre ? – Autolesionisti al governo
Sarà perché la sinistra governa per la prima volta nella vita, ma a volte fa addirittura tenerezza, intenta
com’è a farsi male con le sue stesse mani. Purtroppo, ha ragione da vendere Cossiga quando li chiama
paternamente «i ragazzi di Palazzo Chigi». Sarebbe interessante sapere chi consiglia per ultimo il
presidente del Consiglio. D’Alema annuncia che non ci sono «liste» di nomi, ma subito un suo ministro
esclude che tra i presunti spioni del Kgb ci siano membri del governo mentre la Procura di Roma precisa
che mancano dai dossier anche i magistrati. Come dire che i nomi ci sono, eccome, tanto da potersi
chiamar fuori dall’elenco. Solo «i ragazzi» lo ignorano. D’Alema spiega anche che sarebbe «reato»
rendere pubblico il malloppo senza il placet della magistratura, ma lo smentiscono nel giro di un quarto
d’ora una schiera di costituzionalisti, giuristi e persone di buon senso. Non soltanto non è reato, è invece
opportuno oltre che urgente mandare tutto in Parlamento: cosa che il governo finalmente fa, ma anche
qui in ritardo, sempre in affanno, bruciato sullo scatto persino dalla Procura di Roma che, in genere, non
gode di una tradizione di celerità. Sono cose dell’altro mondo, con un unico alibi: i servizi segreti.
Durante il governo Prodi, dell’affare Kgb parlarono «tra molti argomenti», così, giusto per farne un
cenno; quanto al governo D’Alema, pare che non ravvisassero «alcunché di rilevante» in tutta quella
roba proveniente, via Londra, da Mosca. Soltanto il sostituto procuratore Felice Casson ha sempre saputo
con lucidità che cosa si sarebbe dovuto fare in Italia con i nostri servizi segreti: eliminarli di sana pianta.
Un’idea eccellente visto che, oltretutto, avremmo registrato nel passato qualche strage in meno e svelato
oggi qualche mistero in più. Non si sa se piangere o ridere. L’Italia è l’unico Paese al mondo dotato di
una Commissione parlamentare stragi incaricata per l’appunto di scoprire perché non si riesca a scoprire
gli autori delle stragi. In compenso, siamo oggi prodighi di notizie che dovremmo tacere per eleganza e
diplomazia, vedi lo zampino dei nostri 007 in un golpe in Tunisia, a vantaggio di un capo dello Stato
oggi in carica! Ma si può? Il bello è che «i ragazzi di Palazzo Chigi» avevano tra le mani un’occasione
storica per fare un figurone politico. Se avessero capito per tempo cosa avevano tra le mani; se lo avessero
analizzato, valutato, anche ordinato per capitoli; se, nel nome del garantismo, avessero contribuito a
illustrare le enormi differenze tra situazioni personali; se insomma avessero governato come si deve, con
efficienza e con prontezza, un caso delicato ma tutt’altro che ingovernabile, a trarne vantaggio sarebbe
stata proprio la sinistra. La storia è più forte dei segreti, tanto vale toglierli dagli archivi prima di essere
processati dai documenti. Andreotti li avrebbe o resi pubblici in anticipo o bruciati per sempre. Il post-
comunista D’Alema non aveva in mano un cerino acceso; al contrario, uno strumento di grande immagine
per accreditarsi come leader «liberal-riformista» (definizione del «Sole 24 ore» confindustriale) tanto
solido da non temere né i fantasmi del «sovietico» Cossutta né la contabilità dei finanziamenti in rubli
né la penosa sudditanza di un Pci finito con e sotto il Muro di Berlino. Era nella condizione di dimostrare
a Berlusconi di non soffrire di conflitto d’interessi nemmeno con una storia pesante come la storia del
comunismo reale, e che la fine del comunismo era già cominciata prima della caduta del Muro, con gli
«strappi» di Berlinguer. La realtà tragicomica è questa: il dossier Kgb sta da tempo nella disponibilità
dei governi di centrosinistra ma il «caso» esplode per l’uscita di un… libro in Inghilterra e diventa il
cavallo di battaglia dell’opposizione, a scatola chiusa. C’è qualcosa che non funziona nel marketing
politico di D’Alema. Quanto ai nomi del listone sovietico, se il mio ex direttore Alberto Cavallari era in
odore di spionaggio per il Cremlino, allora vuol dire che non c’è limite al ridicolo, a cominciare proprio
dalle Olimpiadi di Mosca nel 1980, che erano le Olimpiadi dell’Afghanistan, dunque del boicottaggio
occidentale, di Breznev, di un’Urss vicina alla bancarotta, già indebitata con l’Ovest per sette miliardi e
200 milioni di dollari. All’hotel Rossia, un quadrilatero di seimila camere sullo sfondo di San Basilio,
due sole cose apparivano alla luce del sole: il contrabbando di caviale a chili e gli agenti del Kgb travestiti
da giornalisti. Una sera, tra vodka e sigari havana, a uno dei tanti bar del Rossia, uno pseudo giornalista
dell’agenzia ufficiale di stampa sovietica Novosti ci raccontò: «A noi non manca il grano per fare il pane,
ma quello per allevare il bestiame. Quando Carter ha messo l’embargo all’invio di grano americano in
Urss, i nostri contadini sono andati nei boschi a tagliare il fieno come non facevano più da tempo. Ora
non abbiamo più bisogno del grano americano, anche perché ce lo sta vendendo il Canada. L’Olimpiade
è come il grano, ha provocato in noi l’idea nazionale che dobbiamo fare ancora da soli». Io mi sentivo
imbarazzato perché Cavallari gli rideva in faccia ripetendogli «propaganda». Se fosse vivo, sono sicuro
che rivedrei quella stessa risata e lo stesso whisky di compatimento. Questo Kgb sembra il nostro Sismi…,
un ente inutile.
ottobre 1999