1999 Polverone sui medici del Veneto

1999 – Polverone sui medici del Veneto

Sputtana, sputtana, qualcosa resterà. A turno non si scappa dalle neo-purghe di massa, un po’
inquisitorie un po’ mediatiche. Interi corpi sociali, categorie economiche, professioni, finiscono di
volta in volta all’ammasso, nel mucchio dei grandi numeri e del generalismo. Si salvi chi può, la
colpa è una nozione media e mai verificabile alla fine, quando il polverone si deposita. La parte per
il tutto diventa legge, ciascuno annega nella corporazione di riferimento: a turno, siamo “tutti”
qualcosa che non prevede distinguo.
Ora tocca ai medici.
Quando poi di Veneto si tratta, la goduria nazionale è massima. Di concedere alla Regione uno
straccio di statuto speciale, neanche parlarne, ma se si tratta di farci apparire “speciali”, nessuno
pratica lo sconto: ecco i razzisti, gli evasori, gli egoisti, i puttanieri, gli ignoranti, i truffatori, i
familisti, gli spericolati, i lifisti, i vancimuglisti, i razziatori d’impresa, e alé.
Metto le mani avanti. Poiché sullo scandalo del giorno prevedo già barzellette etniche in arrivo,
offro un indegno contributo. Questo: lo sai perché l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico) ha recentemente classificato la sanità del Veneto al quarto posto tra tutte le
regioni d’Europa?
Sfido io, perché ha risuscitato 15 mila morti.
Battute a parte, è più serio tentare di capire. Il presunto scandalo delle migliaia di trapassati che
tuttavia risulterebbero a carico della sanità pubblica e a beneficio di 454 medici di base di Padova,
Venezia e Rovigo, vale in ipotesi un miliardo e 50 milioni, ottenuto moltiplicando la inusitata lista
di 15 mila duri a morire per le 70 mila lire di quota pro-capite, forfettaria e stabilita per decreto. Un
esempio terra terra: se un medico di famiglia con 1500 pazienti, massimo consentito dopo la riforma
del ’78, si prendesse abusivamente la quota capitaria di cento finti vivi, incasserebbe senza titolo 7
milioni in un anno.
Si potrebbe osservare che, in tema di denaro pubblico buttato in tasche private, un miliardo fa
persino tenerezza, visto che il caro estinto più dispendioso del Veneto è senza ombra di dubbio
l’idrovia Padova-Venezia, morta e ufficialmente sepolta ma come se fosse viva per via dei 200
(duecento) miliardi sulle spalle dei contribuenti. Si potrebbe anche ricordare, come ha fatto G.A.
Stella nello “Spreco”, che nel 1995 in Sardegna erano registrate a carico della sanità della Regione
50.097 persone in più rispetto agli abitanti dell’isola! E che, l’anno scorso a Catanzaro, la Corte dei
Conti individuò 17.318 morti regolarmente a carico come vivi. Si potrebbe, ma sarebbe
semplicemente vergognosa la pratica del mal comune mezzo gaudio.
Meglio fare chiarezza. In questi anni, è cambiato tutto: si muore soprattutto nelle strutture
ospedaliere ed è dunque dal loro interno che parte quasi sempre l’iter della cancellazione,
dall’ospedale allo stato civile, all’anagrafe, da qui all’Usl, in particolare agli uffici dell’ex- Saub per
la revoca dell’assistito da comunicare infine al rispettivo medico. Il che accade una volta al mese,
per le semplici variazioni, e ogni sei mesi per l’aggiornamento dell’intero tabulato, medico per
medico. Se la macchina burocratica di Comuni e Usl funziona; se i medici evitano la sciatteria di
trattare gli aggiornamenti come un estratto conto bancario, che si può verificare o buttare, non esiste
problema. Una questione di mera organizzazione ed efficienza, garantite del 100% in tanto Veneto,
da Comuni, Usl, medici ospedalieri e di famiglia.
Ciò che non si deve chiedere ai medici è di ridursi a burocrati di se stessi, prigionieri delle scartoffie
a tutto scapito della salute pubblica. Ciò che si deve chiedere una buona volta ai burocratici è di
rispondere fino in fondo, evitando che l’irresponsabilità della peggiore burocrazia trascini con sé
anche quanti, e sono tantissimi, fanno più che il loro dovere nei Comuni, nelle Usl, negli apparati.
Ma se ci fossero medici che hanno fatto ricette o visite ai morti, sbatteteli in galera. E se
risulteranno medici negligenti, noncuranti, o paternalisticamente pasticcioni, dovrebbero bastare le
regole deontologiche applicate agli Ordini, compresa la restituzione degli incauti o colpevoli
guadagni.
Nessuno può dimenticare però che i medici veneti chiedono da anni alla Regione la totale

informatizzazione dei dati, proprio per evitare alla radice il problema. Né che calcoli attendibili
indicano d’altra parte in 80 mila circa i cittadini assistiti dai medici senza risultare, per tante ragioni,
iscritti negli elenchi. Né va trascurato il fatto che, dallo scorso 15 febbraio, i medici ospedalieri
hanno messo in atto lo sciopero bianco delle 38 ore contro la Regione che non paga loro due milioni
di ore di lavoro straordinario nel ’97 e altrettanti nel ’98 oltre ad altri arretrati.
Ad occhio e croce proprio quello “straordinario” costituisce il surplus che permette al Veneto di
piazzarsi quarto in qualità tra i Paesi dell’Ocse. Ma si potrà dirlo mentre infuria lo “scandalo”?
Chissà se, alla fine, sapremo chi e come ha fatto sopravvivere loro malgrado i poveri defunti.