2000 gennaio 16 Il Veneto, il Carroccio e il “mafioso di Arcore”
2000 gennaio 16 – Il Veneto, il Carroccio e il «mafioso di Arcore»
I quotidiani danno da giorni per fatto l’accordo tra Bossi e Berlusconi, ma «La Padania» fa dire a
Roberto Maroni: «Non mi risulta», a nove colonne. Non risulta nemmeno a Formigoni, il Galan della
Lombardia. A tre mesi esatti dal voto regionale, l’organo ufficiale di Bossi tace esattamente come
Bossi. Una ragione ci deve essere. La ragione, forse, si chiama Fini. L’altra sera in tv, di fronte a due-
tre milioni di italiani, Fini ha dettato a Bossi e Berlusconi le quattro condizioni per starci: 1) accordi
scritti, 2) intese locali, 3) rinuncia al «parlamento del Nord», 4) abiura dell’«indipendenza della
Padania». Come postilla, Fini ha aggiunto: «Di Bossi non mi fido». Per essere un accordo, comincia
bene, proprio come nel 1994. Se accetta tutto, Bossi dovrà avvertire per primo proprio il suo giornale,
che nella gerenza si qualifica come «Organo ufficiale della Lega Nord per l’indipendenza della
Padania». Ma per Bossi non è un problema; l’ex leader celodurista diventa malleabile quando si mette
male. Non vorrei trovarmi nei suoi panni. Se va con Berlusconi, non tutto quel che resta della Lega lo
seguirà, per almeno due ragioni tutt’altro che campate in aria. La prima. Sono troppo fresche, e ancora
al sangue, le vecchie sue parole d’ordine, sul «mafioso di Arcore» e sul «Polo-Roma uguale Ulivo-
Roma». La seconda. Nel nome del «popolo delle partite iva» caro a Tremonti come a Pagliarini, è
chiaro che pesce grosso (Forza Italia) alla lunga mangerà pesce piccolo (Lega Nord). È curioso e
strano: ai tempi di Rocchetta, Carlo Bernini considerava i lighisti veneti voti in libera uscita dalla dc,
prima o poi destinati a tornare alla casa madre; oggi è Berlusconi a guardare al voto leghista come a un
voto in realtà suo, moderato, da non «sprecare». I tempi di Bossi sono in controtendenza. Scelse la
solitudine elettorale quando era forte e avrebbe potuto porre condizioni, scadenze, alleanze. Cerca
invece accordi quando è debole e avrebbe semmai bisogno di ridarsi identità politica e di misurare il
consenso per quello che effettivamente risulta sul campo, in solitudine. Vallo a capire. Se, dopo
Comencini, Comino e Gnutti, anche Bossi va con Berlusconi, il cavaliere avrà fatto l’en plein, di
«traditori della Padania» e di «padani». Un piccolo capolavoro, la Lega che si riunifica, ma ad Arcore.
Galan ha almeno il pregio di aver sempre lavorato sodo per questo sbocco. Nel nome del «comune
sentire», come lo chiama il presidente uscente del Veneto, sono quattro anni che insegue il grande
cartello elettorale dei «moderati» di destra. Tutto si potrà dire, ma non che stia arraffando intese
dell’ultimissima ora. Il caso Veneto resta atipico, oggi come ieri, perché è la sola Regione del Nord
davvero tripolare. Ieri, un terzo al Polo, un terzo all’Ulivo, un terzo alla Lega; oggi, quel terzo della
Lega è fatto di tre cose: una Lega più magra, il partito dell’astensione più grasso, ed Emma Bonino. È
ridicolo fare ragionamenti senza sapere se Bossi davvero si allea (come lascia immaginare) e se la
Bonino davvero non si allea con nessuno (come ha dichiarato). Il match tra Galan e Cacciari parte dallo
0-0 ma, per quanto sconcerto possa seminare tra i suoi, è evidente che un Bossi che candida Galan
lascerebbe Cacciari nelle condizioni di rimontare un 2-0 a tavolino. Pronti e via, sarà una gran bella
campagna elettorale, ci scommetto. Galan non è più il ragazzo di belle speranze liberali e di bella
carriera Fininvest di cinque anni fa; si è fatto le ossa, non si lascia intimidire, è un polemista abile.
Liquidarlo come «incapace» equivale a trattare Cacciari come «comunista»: sono bugie della
propaganda incrociata. La candidatura di Cacciari rappresenta in sé una rivoluzione. Mai, da quando
esiste la Regione, cioè dagli anni settanta in poi, la sinistra veneta era riuscita a mostrarsi competitiva e
a esprimere un leader che viene dalla sinistra ma che da vent’anni almeno macella tutti i tabù della
sinistra. È cambiato il Veneto, ed è pronto all’elezione diretta. Chi vede soltanto sfascio, vuole lo
sfascio, vuole che l’economia cancelli dalla faccia della terra la politica: anche in Veneto si respira
questa malagrazia del potere. Per questo sarebbe molto interessante che qui si candidasse,
personalmente, Emma Bonino. Non i radicali, voglio dire, ma proprio lei, nell’area dello scontento e
della delusione dei giovani. Il Veneto giocherà una partita nazionale. E ha gente in forma: almeno
questa è la mia sensazione.
16 gennaio 2000