2000 Giorgione. Consegnare le chiavi certifica un fallimento
2000 – Consegnare le chiavi certifica un fallimento
Non facciamo drammi
È il calcio che meritiamo
Non sono la persona adatta per parlare del Giorgione. Perché so troppo del vecchio
Giorgione e troppo poco del nuovo: mi fa velo il ricordo di uno stadio dove ho visto il
crepuscolo degli Scudeler e degli Zilio, poi la crescita dei Fabbian e dei Guidolin. Che
c’entro io con l’oggi? In fondo, sono fermo a Bepi Ostani, che lo fondò con un gruppo
di amici nel 1911. Una volta si disperò per la furbata del San benedetto del Tronto che
gli pagò un giocatore con una cambiale firmata dal custode del campo. Un’altra
mancò il suo colpo grosso al mercato perché, all’ultimo, la mamma di un portiere più
che promettente impedì il suo trasferimento al Bologna. Tempi epici, direbbe Toni
Guarise, pedagogo del vivaio. Sono stato anche consigliere, pensa te, con la
presidenza di Renato Zardini. Allora, si poteva essere consiglieri anche senza una lira,
portando in dote soltanto la passione, come Elio Modino, il barbiere, o Armando
Perizzolo, che vendeva scarpe ma amava soprattutto discutere di calcio da Pertile o da
Zatti, tra porchette, biliardi e amicizia. Altri tempi: facevamo con Toni Pivetta un
giornaletto che sembrava un bollettino di guerra: “Processo a Perli!”, titolammo un
giorno, nel bel mezzo di una furente polemica sull’allenatore rosso di pelo e di
carattere.
Via via è cambiato tutto, perché è cambiato il mondo. Vudafieri, Guolo, Zecchin, non
so quanti, non ricordo proprio; però, bene o male, un certo radicamento c’è sempre
stato. Alti e bassi, momenti bui o luminosi, follie e/o buonsenso, però con i piedi nel
territorio, se così posso dire, Castelfranco e dintorni.
Adesso, a occhio e croce, sento parlare del Giorgione come di una società distante, un
po’ apolide, senza radici. Potrebbe essere texana o valdostana o pugliese, farebbe lo
stesso; s’intende poco con la città. È il contrario del Cittadella che, dai suoi 18.666
abitanti, ha tirato fuori un’azienda, uno sponsor e sette consiglieri tutti locali
riuscendo a creare un caso nazionale.
Non conosco i signori Auriemma e ignoro perché, a suo tempo, si siano affezionati al
Giorgione. Non ho l’abitudine di giudicare senza prima provare a capire, però se il
calcio si fa ineluttabilmente misurare in base ai risultati, il bilancio finale mi esime dal
commento. Quando si portano le chiavi della società in comune, di solito si certifica
un fallimento. Sportivo, anche quando non economico. Però non ne farei un dramma.
I “Dilettanti” non sono un’infamia e le tradizioni, come questa del 1911, mostrano la
vera biografia quando sanno ricominciare tutto daccapo. Il calcio assomiglia come
una goccia d’acqua alla vita, per questo lo si ama tanto.
E se a Castelfranco nessuno vorrà più prendersi cura del Giorgione, vorrà molto
banalmente dire che Castelfranco ha il calcio che si merita. Gli amori non si possono
inventare a tavolino, come le marchette degli sponsor.
Una curiosità mi rimane, sottovoce: il Giorgione retrocesso laggiù e portato dal
sindaco, quanto può valere? Secondo me, sarebbe gradevole conoscerne il prezzo,
pubblicamente, da affiggere nella bacheca del Comune. Assieme alle chiavi.
La bandiera con la stella, quella non la porta via nessuno, nemmeno se si salta il
campionato. Parola di Bepi Ostani, da lassù.