2000 luglio È mancato solo il sigillo di Del Piero
2000 – È mancato solo il sigillo di Del Piero / È mancato solo il sigillo del
Pinturicchio
Questi sono i campioni del mondo e d’Europa del fondoschiena. La grandeur è
un’altra cosa, parlava italiano fino a una quarantina di secondi dalla fine, e l’abbiamo
dilapidata con le nostre mani. Anzi, ad essere più precisi, con i piedi più preziosi e
remunerati del nostro vivaio, quelli di Del Piero, purtroppo.
“Chapeau!” direbbe Adriano De Zan all’indirizzo dei neo-campioni. No, non me la
sento. La Francia è una grande squadra, ma a Rotterdam non ha meritato il titolo. Mai
è sembrata tale; era impaurita, contratta, ad un certo punto non sapeva più che pesci
pigliare. A tratti ha preso lezione, mai l’ha impartita.
Era anche sgradevole a volte. Zidane ha fatto entrate non degne della sua classe ad è
stato imitato da altri. Desailly ha tirato una gomitata assassina; Henry ha simulato in
area. Pur con veemenza, siamo stati più signori noi.
No, questo è un titolo europeo arraffato alla buona. D’altra parte il football ha una sua
logica aristotelica: quando sprechi ripetutamente il 2-0 fatto, il gioco tende sempre a
punirti con la perseveranza di un destino. Quando seguivo lo sport da inviato, non so
quante volte ho assistito a questo meccanismo ferreo, che non dà scampo nemmeno
quando sembra fatto e sei già pronto a rotolare per terra per la gioia.
Non abbiamo nulla da imparare da nessuno in difesa, abbiamo qualcosa da imparare
in attacco. Il fatto è che Del Piero, da un annetto a questa parte, conserva il pedigree
del grande giocatore ma ha come dimenticato l’arte del gol.
L’1-0 dell’Italia di Dino Zoff resta il nostro biglietto da visita, calcio da manuale,
tacco, cross, palla dentro di piatto sinistro. Ha vinto la Francia, ma non ha battuto
l’Italia: spero che se ne siano accorti anche i menagrami. Chapeau, un corno!
Se l’Italia aveva avuto un’oncia di buona sorte con l’Olanda, l’ha semmai pagata tutta
alla Francia, e con gli interessi. Il tempo lavorava per i francesi, non per gli azzurri,
come sapevamo fin dall’inizio. Un giorno di relax in meno pesa, e pesa il doppio alla
fine di un torneo, quando l’acido lattico o ti imbastisce il passo o ti dà addirittura i
crampi.
Dino Zoff non ha sbagliato nulla, né formazione né sostituzioni, con un unico neo. A
quell’ora, con il titolo a un mignolo di distanza, non avrei mandato in campo
Montella, un pesce fuori dall’acqua in una squadra che a quel punto aveva fin troppi
attaccanti. Sarei stato più prudente, più cinico, più catenacciaro, più anti-calcio e avrei
sgnaccato in campo un Di Livio o uno stopper, per un quarto d’ora alla viva il parroco
e buonanotte.
Però, me ne rendo benissimo conto, ragionare avendo davanti un televisore e un bel
bicchiere di tokaj fresco è una cosa, cogliere l’attimo fuggente di una partita già in
pugno è assai più complicato.
A metà degli Anni Settanta, a Stoccarda, chiesi a Zoff cosa significasse per lui essere
titolare a un Mondiale. Ricordo benissimo che mi rispose: “Non so, è come se tu con
sette articoli diventassi direttore del Times”.
Non oso nemmeno immaginare che cosa avrà provato ieri sera. Ma gli stringo la mano
per avere perduto in piedi, scegliendo da solo come usava Enzo Bearzot.
Di un mese di Europeo, a Dino Zoff sono mancati all’appello 45 secondi in tutto.
Porca puttana.