2000 settembre 8 Il partito dei sindaci ha cessato di esistere
2000 settembre 8 – Il partito dei sindaci ha cessato di esistere
Ma esistono ancora «i sindaci»? Li metto tra virgolette perché non sono impazzito: so benissimo che
esistono, eccome. Anzi, in un Paese di ottomila Comuni, il sindaco dà volto al meglio delle istituzioni.
Carlo Cattaneo diceva che il Comune è «una società di vicini», al contrario di tanta politica che noi
oggi sentiamo così «lontana». Non di questo si tratta, beninteso. Se dubito dei sindaci in quanto tali,
intendo riferirmi evidentemente al ruolo da loro assunto negli ultimi cinque anni, a partire dal Nordest,
quando si proposero come «movimento dei sindaci», ben presto travisato in «partito dei sindaci». In un
caso come nell’altro, il loro ruolo era molto visibile e il linguaggio molto comprensibile presso
l’opinione pubblica, tanto da procurare nei partiti curiosità, ed era questo il massimo della benevolenza,
ma il più delle volte fastidio. Le Centocittà dei Cacciari, Bianco, Rutelli, Martinazzoli, Dellai, Illy,
Bassolino, diventarono «centopadelle» nell’ironia di Amato: mentre D’Alema, in vena sudamericana,
paragonò i sindaci del giro mediatico ai cacicchi, per dire di gente matta per il potere. Quanto a Bossi,
li considerava dei fantocci manovrati da Roma contro il suo allucinato Reich lumbard. Velleitari,
diceva il Polo. I sindaci infastidivano trasversalmente perché rappresentavano una novità o, meglio, una
rivoluzione del linguaggio. Fabbricavano ceto politico con il voto diretto, a dispetto delle tessere.
Dimenticavano finalmente il centro, a vantaggio del territorio. Nel nome dell’amministrazione,
staccavano la spina al «politicume» di fanfaniana memoria. Fra teatrino e programmi, rovesciavano la
gerarchia nel nome dei secondi: i sindaci sanno benissimo che, nella vita di un paese o di una città, la
raccolta bene o male organizzata dei rifiuti può valere da sola il consenso o la bocciatura. Il loro
movimento batteva il ferro della responsabilità e della concretezza, contro le muffe di «destra» e
«sinistra». Non solo. Facevano proposte, entravano nel merito: contro il federalismo degli esibizionisti,
lavoravano sul federalismo dal basso come anticamera e grimaldello riformisti della Costituzione
blindata. Nel mettere a fuoco i parametri di autonomia, i sindaci di Bolzano e Trento erano i più
attrezzati; da Trieste, Illy metteva in guardia dal neocentralismo delle Regioni. Facevano un lavoro
«costituente». A centrosinistra, forme di guazzalochismo nascevano prima dello stesso Guazzaloca del
Polo, attraverso la personalizzazione delle liste e il presidio dell’area moderata. Da Dellai a Cacciari, i
sindaci furono laboratorio nel laboratorio del Nordest e contribuirono a fare del «male del Nord» una
questione seria, non un tumulto dei ciompi in versione padana. Veniamo all’oggi: questo movimento ha
chiuso, non c’è più, è pura finzione. Ha fatto la sua parte, dal 1995 al 2000, ma adesso non risulta più
attivo. Ha lasciato il segno, ha portato aria nuova, ha reso i sindaci «soggetto» fondante della
sussidiarietà: il potere parte dal Comune e sale fino allo Stato, non più viceversa, giù giù trasferendo
elemosine di potere. Questo patrimonio è entrato nella cultura politica più vecchia d’Europa, la nostra,
ma il movimento che lo ha espresso si è dissolto per autocombustione. Arrivederci e grazie. Quando
l’autocandidato premier del centrosinistra, Rutelli, va a Venezia per incontrare i «sindaci del Nordest»,
in realtà non trova niente e nessuno, né legittimazione né movimento, né parole d’ordine. Incontra
qualche buon collega del Nordest, qualche simpatico amico, sui quali costruire una colazione, un po’ di
tv, qualche sorridente foto sui giornali e un pugno di titoli sulla (presunta) «benedizione del Nordest» al
sindaco di Roma nella sua (presunta) sfida all’onorevole Berlusconi. Ma è puro vapore mediatico che,
in reali termini politici, non ha molto più peso del pernacchio di Mastella. L’urlo della foresta degli
schieramenti ha riportato i sindaci fatalmente a cuccia, come tanti Lassie del centrosinistra. Reduci da
un’esperienza irripetibile, gli ex cosiddetti «sindaci del Nordest» hanno posato a Venezia con e per
Rutelli, ma avrebbero fatto la stessissima cosa con Amato o Fazio. Non sono più un movimento, al
massimo un marchio doc, rilasciato honoris causa, su indicazione di giornata. Dopo il grande riflusso, i
sindaci restano un serbatoio di ottimo ceto politico. Non è poca cosa, s’intende, ma questa è tutta
un’altra storia. L’ultimo lampo di potere esercitato dal Nordest si è materializzato attraverso l’elezione
di Antonio D’Amato a presidente della Confindustria. Ma quello dei Benetton e dei Tognana, degli
Zobele, è il «partito delle imprese», non più dei sindaci. Altri tempi. In fondo, il potere politico è assai
più complicato del potere economico, soprattutto in Italia. A un personaggio di Altan che chiede: «E
allora, quando ci impadroniremo di queste famose istituzioni?», l’altro personaggio risponde: «Sarà
dura: non si riesce a capire a chi appartengano». Anche tanti sindaci se ne devono essere accorti. E
hanno dato forfait, anche se Rutelli ha fatto finta di niente.
8 settembre 2000