1965 gennaio 18 Il Mago non parla
1965 gennaio 18
Il Mago non parla
TORINO – Il Mago non parla più, almeno negli spogliatoi. Lo ha giurato in lingua spagnola (con
traduzione italiana a fronte), dopo aver staccato, con rabbia, un assegno di trecentomila lire intestato
alla Lega. Parlerà soltanto durante la settimana, a colpo sicuro, con il freno diplomatico pigiato fino
in fondo. C’è però un giudizio suo, prima della partita, che vale come sintesi dell’incontro: « Il
Torino ha la forza e la debolezza dei giovani ». Che il Mago avesse ragione da vendere a giudicare
la squadra di Rocco, lo ha dimostrato ampiamente la partita. Il Torino è forte, dà una sensazione
gagliarda di potenza, di giovinezza. Respira a pieni polmoni, imprime all’azione una tensione
assillante, brucia energie nella caldaia bollente del suo gioco, ma la sua pressione procura quasi
sempre… vapore! Ci sono stati larghi tratti di assalti massicci portati avanti dagli uomini di paron
Nereo: si sganciava in avanti anche lo stopper Puia, spesso scendeva a cercare i lanci pure Poletti,
fatalmente sulle orme dell’arretrante e sornione Corso, ma in area di rigore, alla fine del fittissimo
discorso, la trama si scioglieva con puntualità. Solo Meroni, sgusciante e tenuto a fatica da un
Facchetti meno autoritario del consueto, ha soffiato a volte per sciogliere la cortina di fumo e
tradurre la velleità in realtà, ma la tecnica (persino ridicola) di Hitchens e il piede fragile di Simoni,
incatenato alla caviglia ferrea di Burgnich, hanno finito ancora una volta per affogare la genialità
del beatle e le limpide aperture di Moschino, nel mare della sterilità agonistica. L’ala vera di
Helenio Herrera, rimessa in piedi all’ottanta per cento, dalla « mano santa » di Wanono, si è
immolata, per la seconda volta in questo campionato, sull’altare dell’angina follicolare. Senza
preavviso, qualche ora soltanto prima dell’incontro. Herrera, impossibilitato sin da settembre, a
schierare per due domeniche consecutive la identica formazione (regolarmente sabotata da una
teoria interminabile di assenza forzate) si è trovato con un trio di attacco che non legava
assolutamente. Domenghini partiva sempre da lontano, preferibilmente lungo la fascia laterale,
trascinando così la solitudine di Mazzola, che poteva contare, ma fino a un certo punto, sul giovane
Gori.
Mancava in definitiva la « freccia nera », indispensabile per scompaginare il bunker frontalmente
« verboten » di Cella. Era inevitabile che, dopo una mezz’ora estremamente brillante e positiva,
anche Mazzola, l’altra punta di diamante, si lasciasse andare alla deriva del pareggio garantito e
salomonico, un pareggio del resto importante anche se il Milan — di Fortunato —ha aumentato la
« dotazione » di punti, chiudendo il girone d’andata con un ultimo scatto di reni. A Torino l’Inter
infatti a ritrovato una significativa robustezza difensiva. Con il rinato Guarneri, abitudinario e
inflessibile controllore dell’inglese (che ha fatto bestemmiare Rocco in due lingue), con la zona
franca guardata a vista da un Malatrasi acrobatico e inesorabile, con un Tagnin che ha ridotto il
« volume » di Ferrini con ostinata continuità, l’Inter ha « chiuso » quasi perfettamente. La difesa ha
sostenuto così il maggior peso della partita consentendo un risultato che, se non irrobustisce la
tabella anti-Milan del Mago, purtuttavia non la fa precipitare.
Un esordiente sereno e una riconferma dopo il battesimo di Firenze. Il numero 1, lanciato
dall’indisponibilità di Sarti e dal ripudio di Bugatti (troppo anziano secondo Herrera per il giovane
Torino) si è imposto con una prestazione calma decisa pronta. Il primo intervento, la prima stretta di
pallone, avevano dato la esatta sensazione che Di Vincenzo per lo meno non avrebbe accusato
l’emozione. Dopo un primo tempo di tutto riposo ha effettuato al 55′, un doppio intervento che ne
ha sottolineato il colpo d’occhio, la tempestività, il coraggio: una uscita alta di pugno sui colli
allungati di due torinesi e un rientro portentoso fra i pali a bloccare in tuffo il tiro al volo di
Moschino sulla precedente respinta di pugno. Ci sembra di poterlo accreditare di una sola
valutazione negativa: sui tiri effettuati da fuori area da avversari avanzanti palla al piede, esce
troppo dai pali per chiudere lo specchio della porta, con il rischio rivelatosi un paio di volte
evidenziale di porsi nelle condizioni di soccombere a un eventuale pallonetto alla Sivori.
Quanto al giovane Gori, riconfermato dopo Bucarest e Firenze, si può dire che ha dimostrato di
possedere sicure doti tecniche. Quando ha la palla fra i piedi sa cosa farne, vede il compagno, sente
l’occasione. Preferisce lo scontro frontale allo sfondamento vero e proprio, la manovra articolata
che lo porta in tandem in zona gol ma gli difetta ancora qualcosa nel fiuto, nello smarcamento,
nell’intuizione del lancio, che oggi per la verità Suarez e Corso gli hanno lesinato, troppo
preoccupati com’erano di non cedere la zona nevralgica all’estremo del bastione; ma il ragazzo si
sensibilizzerà sicuramente con l’indispensabile interpretazione del linguaggio dei compagni, un
linguaggio che non si può conquistare con tre sole partite « importanti ».
Quando arbitra Sua Maestà Concetto Lo Bello l’Inter non vince. Da Roma, contro la Lazio,
Herrera riportò a Milano un punto. Nel derby con Gipo Viani morse la polvere tre volte. Dalla
« cantina » di paron Nereo è uscito sobrio come se non ci fosse entrato, ma non è riuscito nemmeno
lui a imporre al triestino la sua « tequila ». Con Lo Bello dunque l’Inter non vince. Per aiutare
l’arbitro, Pianelli aveva minacciato ai suoi giocatori multe personali (oltre a quelle « legali ») in
caso di scorrettezze inutili o proteste ingiustificate, ma la cavalleresca mano tesa dal presidente del
Torino servirà… con un altro arbitro. Lo Bello ha dato lezione… di punizioni! Affibbiandone a
ripetizione, su entrambi i fronti, ha « gelato » sul nascere ogni contatto proibito, pagando i
necessario pedaggio delle frequenti interruzioni di gioco pur di conservare al tiratissimo tenore e
agonistico una fisionomia accettabile e corretta. Equilibrato e demeritato… soltanto autoritario, ha
demeritato… soltanto
freddo)
sull’impugnatura dell’incertissima bandierina.
in un segnalinee, anchilosato completamene
(forse per