1966 agosto E l’Inghilterra ride
1966 agosto (special Supersport)
E l’Inghilterra ride
Ha riso Sunderland. Quando ci sono occorsi ottantotto minuti di conati e di tremori per
piegare con certezza la resistenza delle mummie cilene. Ha riso Sunderland quando la spina
dorsale azzurra si è curvata come un giunco sotto il tallone sovietico. Ha riso Durham, delle
quotidiane, tapine conferenze di Edmondo. Delle ansie infantili, delle paure da educande. Ha
riso Middlesbrough. Si è sbellicata in una risata agghiacciante come un latrato, quando undici
soldati gialli, iniettati di rinunce, di castità e di fanatismo hanno umiliato l’élite presuntuosa di
un’Italia presuntuosa. Tutta l’Inghilterra ha riso. Ride ancora. Continuerà a riedere. Quanti
anni di silenzio riusciranno a restituirci la reputazione perduta nel bluff balbettato da Fabbri
Edmondo? E’ l’unico interrogativo di una storia senza eroi. Una pochade.
II cuore della « coppa azzurra » è Durham. La scelta è stata fatta, qualche mese prima, su
segnalazione-inchiesta di Tito Bardigotta, l’addetto stampa italiano. Durham è attraversata dal
fiume Teesdale. Ha una stupenda cattedrale normanna e l’Università è uno dei maggiori centri della
cultura britannica. Durham, logisticamente, è perfetta. Infatti, anche i russi si sono accampati nei
suoi silenziosi colleges. I campi dove si gioca sono il Roker Park a Sunderland e l’Ayresome Park a
Middlesbrough: Durham è piazzata a metà strada tra le due città. Era stata scelta per la… Scozia di
Law e di Baxter, eppure, anni fa, un poeta anonimo, la definì « mezza chiesa di Dio, mezzo castello
contro lo scozzese ». Invece di Law è arrivato Rivera. Ma la gente non ha fatto drammi. Anzi, è
incuriosita, cortese, ospitale. L’Houghall College, dedicato alle facoltà agrarie, è circondato dal
verde, dalle rose, dai ragazzini. Sempre gli stessi, in blue jeans e capelli lunghissimi, chiedono
centinaia di autografi per commerciarli. Gli azzurri firmano. Qualcuno, scocciatissimo, rilascia
segni indecifrabili, firme false. Ho letto un « Mussolini », un « Mastroianni », uno « Stalin » e un
« Saragat », ma non faccio i nomi dei firmatari. Pascutti è il più intollerante di tutti. Ma non ha
torto. Continuano tutto il giorno, petulanti come cicale. A Fabbri nessuno chiede l’autografo. Anche
perchè lo si vede poco in circolazione. Nonostante le cicale comunque, questo ritiro assomiglia
molto al paradiso. I giocatori sono soddisfatti: le pubbliche relazioni salve. La cucina è italiana, il
cuoco un italiano reclutato a Londra. La dispensa è ricolma di spaghetti portati dall’Italia: tanti da
poter sopravvivere fino alla finale! La distribuzione delle camere deve essere stata fatta per non
lasciar filtrare nessun segreto, nessuna illazione sulle formazioni. Sul lato-Est del college dorme
Fabbri. I più vicini a lui sono Fogli e Pascutti, poi Rivera e Mazzola, Barison e Bulgarelli. I più
lontani Anzolin e Landini, Pizzaballa e Riva! Sono gli ultimi di quelli sistemati sul lato-Ovest.
L’ultimissimo è Riva, l’uomo dell’assurdo. Appena dentro l’ingresso del college, a sinistra nel
corridoio, c’è un’aula sistemata per i giornalisti: il « capo » parla ex cathedra. Per gli stranieri
traduce Bardigotta. Alle spalle di Fabbri, in una vetrinetta accostata al muro, è rinchiusa una volpe
imbalsamata: occhi fissi, vitrei, diretti in faccia ai giornalisti. Più di una volta osservo che le
espressioni della volpe e di Fabbri sono stranamente identiche. La prima conferenza dedicata a
Pascutti. Il problema numero-uno ereditato a Copenaghen, qualche giorno prima. Un problema con
un’incognita: la caviglia.
II bombardamento dì Pascutti
E’ domenica dieci luglio. Oggi pomeriggio, a Wembley, ci sarà l’inaugurazione della World Cup
‘66. Quassù sembra lontanissima. Comincia a piovere. Non smetterà mai nè la pioggia, nè il freddo.
« Vorrei che piovesse! — aveva detto Fabbri il giorno prima. — Il terreno è troppo duro, potrebbe
legare i muscoli durante gli allenamenti ». Quindi, tutto secondo i programmi. La caviglia di Ezio
Pascutti migliora. Da tre giorni si sta sottoponendo a bombardamenti di ultrasuoni presso il centro
medico del Roker Park a Sunderland. « Sono già abbastanza suonato! — sorride Pascutti. — Mi
mancavano gli ultrasuoni! ». Anche oggi, mentre tutti gli altri ascoltano la messa-lampo celebrata
da un sacerdote scozzese, sale sulla macchina di Franchi e se ne va. Fabbri vorrebbe evitare queste
trasferte. Chiede che l’apparecchio per il bombardamento venga acquistato. Franchi non fa una
piega e compera. In pochi giorni la federazione deve aver speso almeno due milioni per mettere a
disposizione del C.U. « l’ultimo grido » in fatto di apparecchiature mediche. Infatti, qualche giorno
prima che gli azzurri fossero giunti a Durham, era già arrivato per via aerea il celebre
« Panthermal » ideato dall’ingegnere Giuseppe Bear. Una specie di polmone d’acciaio per
vaporizzazioni balsamiche, riattivanti, anti-fatica, che è in funzione da un anno all’Inter, ad
Appiano Gentile, e che proprio in questi giorni Bear ha consegnato al Real Madrid. Il primo a
entrare nel « Panthermal » è stato Fabbri. Seguito da Bertoldi. Qualcuno ha osservato: « Per
eliminare la fatica… bisogna che la fatica esista! ». Tra ultrasuoni e applicazioni balsamiche,
l’ematoma di Pascutti si riassorbe. « Con la Russia, — diagnostica Fini — ci sarà di sicuro! ». Ma
la Russia è ancora lontana. E’ per l’ora del Cile che sta per scoccare. Ho parlato con Luis Alamos, il
direttore tecnico cileno, ma fa l’evasivo. Gli piace invece parlare di Herrera: « In Cile dicono che è
‘loco’, pazzo, io dico che è intelligente! ». Fabbri Edmondo invece, questo lo dico io, è nervoso.
Sento che l’ansia sta crescendo in lui. Non è ancora una certezza matematica, ma mi sembra di
scoprire un Fabbri che cede, scricchiola, frana. Anche fisicamente, mi sembra contratto. Ha il viso
tirato, è pallido, gli occhi più che guardare spiano con sospetto. Tutti e sempre. Cominciano a
scoppiare i primi incidenti. Incidenti di una banalità estrema, creati dal nulla, ma fortemente
significativi. Il « Corriere d’Informazione » ha scritto in Italia che i ras della squadra vogliono
Leoncini e che Fabbri non potrà che subire. Il C.U. detta le immediate rappresaglie. I giornali
italiani devono scomparire dal ritiro. Chi sarà sorpreso nella lettura proibita, sarà punito. I contatti
con la stampa d’ora in poi saranno concentrati in un’ora prestabilita: dalle undici del mattino a
mezzogiorno. Un policeman setaccia alla porta. Tuona Fabbri: « Nel college regna la tranquillità
assoluta! Chi pensa il contrario è in errore! ». Sarà quindi in errore anche Artemio Franchi, il vice-
Pasquale, dal momento che, tre ore prima di rientrare in Italia dopo la disfatta con la Corea,
dichiarerà pubblicamente a Sunderland: « Avevo lasciato la squadra il primo luglio a Coverciano!
L’ho ritrovata il dieci luglio a Durham: mi sembrò allora di essere piombato in un altro mondo!
C’era una tensione spaventosa e la tensione nasceva da Fabbri ». Proibì i giornali, cacciò gli
operatori di « Sprint », definendoli « la peste nei tacchini ». Proibì le interviste. « Qui si viene a
sapere tutto, — mi dice Mazzola — come la faccenda di Leoncini, ma non si può dire niente! ».
Comunque Mazzola se ne frega e decide di fare l’intervista. Sta aspettando una telefonata dalla
moglie che è a Chiavari, e allora mi fa passare negli appartamenti top-secret. Fabbri vede la
macchina targata… Supersport (un incubo!), ma non vede me e Mazzola. Dalla finestra, mentre
parlo con Mazzola, lo vedo girare come un pazzo per il college, seguito da Valcareggi. Finalmente
mi becca. Risparmia Mazzola, per ora, e si scaglia sul sottoscritto.
La creatura di Pasquale
Per quale reato?! Si parlava di Russia, di Inter e di Vinicio. E’ una bomba innescata Fabbri
Edmondo. Quando esploderà? Non lo so, penso (purtroppo) che andrà per esaurimento. Intanto
raccolgo sintomi preoccupanti. Uno: « Se è nervoso lui, come facciamo a rimaner calmi noi? ». Lo
dice Mazzola. Due: Paolo Barison, alla sola idea di dover sostituire Pascutti, impallidisce. C’è un
pauroso vuoto di personalità. Assenza di guida. Penso con nostalgia angosciosa ad Helenio Herrera.
Chi è quel disgraziato che ha permesso al Mago di andarsene a Londra come… giornalista?! Mah…
bisogna aver fede. Per ora speriamo in Fabbri. Edmondo dà a tutti il numero telefonico del college:
61351. « Se avete bisogno di saper qualcosa, chiamate, non disturberete ». Chiamare per che cosa?
Tanto, non dice mai nulla. Sulle prime si pensa che voglia fare pretattica su tutti i fronti, tanto per
mettersi à la page con Morozov, Alamos e Re, ma alla fine si scoprirà che non ha niente da dir
perchè non ha nulla in testa. E’ letteralmente esaurito, roso da un’esperienza che lo schiaccia.
Povero Edmondo, la Coppa non è ancora cominciata e già fai intuire che non reggi al calore bianco
di un’impresa per grossi personaggi. Un giornalista scozzese che scrive per il « Daily Mail », Alex
Cameron, gli chiede: « Chi vincerà i mondiali? ». « L’Inghilterra! », risponde. « Ma vuol
scherzare?! — ribatte Cameron — Lei allena l’Italia e dice che vincerà l’Inghilterra?! E’
inconcepibile! ». « Io non scherzo mai! » risponde secco il Commissario Unico. Bardigotta si vede
costretto ad ammorbidire la risposta, tanto più che Cameron ha sottolineato un concetto, tanto per
dire pane al pane…: « Io sono scozzese, quindi avrei piacere che l’Inghilterra non vincesse e che
l’Italia facesse grandi cose! Sarebbe l’unica maniera di giustificare la nostra débâcle di Napoli! ».
Fabbri però non parla inglese e insiste. Gli chiedono la formazione per il Cile: « Gli altri non la
danno, perchè dovrei essere io l’unico fesso dei mondiali? ». In compenso annuncia che martedì
sera, alle ore 21,30, ci sarà un ricevimento al Roker Hotel di Sunderland. Dovrebbe esserci anche il
Grande Capo Giuseppe Pasquale: il cuore ci scoppia dalla commozione. E’ venuto fin quassù
pensate, in quest’area depressa d’Inghilterra, per seguire la « sua » creatura. Non la Nazionale
s’intende! No, Fabbri Edmondo l’unico allenatore accreditato alla World Cup che abbia già in tasca
il contratto per il Messico!!! Per ora i sorrisi si sprecano nello stato maggiore italiano. Per ora.
Prima di… Caporetto, gli italiani vincono sempre le battaglie. E’ martedì dodici, oramai. Il tempo
vola. L’ematoma di Pascutti è scomparso, ma, a ventiquattrore dalla partita, non se ne parla
nemmeno: giocherà Barison. Fabbri comunque non lo dice. A Middlesbrough si gioca URSS-Corea.
Gli azzurri chiedono di vedere la partita alla televisione. Concesso. Fabbri va a Middlesbrough.
Annota qualcosa di interessante. Che i coreani giocano in casa, perchè il pubblico inglese tifa per il
debole, per di più sconosciuto. Che la Russia ha il libero, il doppio centravanti e la coppia Jashin-
Voronin in tribuna. Che la Corea corre molto e corre di più nel secondo tempo. Ritorna al college
tra l’indifferenza generale. Rivera non ha notato i coreani. E Bulgarelli, attraversando la sala da
pranzo, ha scoperto per terra una dentiera da donna! « Non c’è pericolo in questo ritiro! La più
giovane sembra Bette Davis! ». Si viene a sapere che arriveranno prestissimo dall’Italia le pellicole
di alcuni film « tranquilli »: i giocatori non sanno come passare il tempo. L’unica distrazione è
quella di osservare gli allenamenti dei russi: basta sedersi sulla staccionata che costeggia la strada: il
campo sovietico è proprio di fronte, al « Malden Castle Sports Hall and Playing Fields ». Senza
barriere. Poi c’è l’altra distrazione concessa: la gita al centro di Durham. Fabbri (fa il furbino
Edmondo e crede di aver scoperto l’America) carica i ventidue nel pullman alle undici esatte, nel
preciso istante in cui i giornalisti sono ammessi nel college, e li spedisce al « sicuro ». La pubblica
opinione italiana può sapere tutto dei cileni, dei russi, ma non dovrebbe saper nulla degli azzurri e
dei… coreani. Per sapere qualcosa di « vero », gli umori, bisogna quindi cominciare a pedinare il
pullman e a disertare le conferenze-stampa, inutili e tediose. Tanto per rendere l’idea, il tono più
clamoroso è questo. Cronista: « Perchè ha concesso ai coreani di assistere agli allenamenti
dell’Italia? ». « La sportività è una cosa bella! ». « Lei andrà a vedere quelli dei coreani? ». « Mi
interessano le partite, non gli allenamenti! ». E sbagli, Edmondo.
L’odio di Herrera
In Messico se puoi, vai a vedere allenamenti, come si preparano gli altri: magari imparerai a far
stare in piedi i giocatori per duecentosettanta minuti (in tre partite), senza esser costretto a farli
riposare (leggi… Rosato, Salvadore!). Per la prima partita, per novanta minuti, lo sappiamo, ce la fai
anche tu. E infatti, con il Cile, vinci. E’ mercoledì. Il Roker Park di Sunderland non è esaurito. Ma
ci sono più di mille italiani e moltissime bandiere tricolori. E’ questo che conta per i « vendicatori di
Santiago ». Ci sono quattro « ex » in campo, quattro superstiti della storica carneficina arbitrata nel
‘62 dall’inglese Aston. Sono: Leonel Sanchez, anni trenta; Albert Fouilloux, anni ventisei; Luis
Eyzaguirre, anni ventisei. Per l’Italia, Sandro Salvadore. Finirà con Sanchez e Salvadore che si
stringono la mano e quasi si abbracciano. Strappati dalle influenze casalinghe e chimiche, i cileni
appaiono pecorelle remissive incapaci di far male. L’arbitro Dienst si allena facile per la…
finalissima di Wembley. Gli azzurri segnano subito (è il decimo) con Sandro Mazzola che infila in
spaccata un Barison-cross, ma perdono subito il controllo della situazione. Il centrocampista Prieto,
l’erede di Jorge Toro, comincia a ingranare, anche se, in difesa, il Cile sbanda paurosamente.
Figueroa, lo stopper, compirà vent’anni in ottobre: si vede che gli manca esperienza. In porta non
c’è più Escuti, il portiere del ‘62, ma non c’è neppure Godoy, il titolare di ora. In allenamento si è
incrinata una mano. Lo sostituisce Olivares che sfarfalla spesso e volentieri. Nonostante ciò, i
cileni, con un paio di salvataggi sulla linea (su azioni di Barison), reggono. Gli azzurri soffrono
l’incubo del pareggio. Sprecano troppe energie. Eccetto, beninteso, Rivera Gianni, che tocca al
massimo quattro palloni utili. Dalla tribuna qualcuno gli grida: « Mascalzone! ». Ma la colpa non è
di Rivera. E’ colpa sua forse se non si regge in piedi? Se è stato portato via per « simpatia »? Se la
« coerenza » di Fabbri giunge fino al masochismo autolesionista? Non è colpa sua. Infatti.., il
giorno successivo il C.U. dichiarerà: « La coerenza non significa cocciutaggine! ». Chiaro preludio
al siluramento di Rivera per la partita con la Russia. Comunque Alamos dà tutta la colpa della
sconfitta alla pioggia. E noi, dopo il respiro-Barison a due minuti dalla fine, tiriamo un bilancio a
macchie. Tarciso Burgnich è senza dubbio il più forte terzino in circolazione nel mondo. Giacinto
Facchetti, costretto a fare il difensore puro in odio alla tattica-Herrera bazzica già ai confini della
mediocrità. Rivera ci sguazza fino all’esile collo. Bulgarelli invece sfiora limiti d’eccellenza, ma
per lui è l’inizio della fine. Una distorsione al ginocchio sinistro getta (sapremo più tardi il nome del
responsabile unico…) un’ipoteca tremenda su tutto il girone azzurro. Con il Cile non soffriamo
l’infortunio, perchè il centravanti Tobar si è strappato quasi subito i legamenti del ginocchio destro
sparendo dalla circolazione. Ed anche perchè, fortunatamente, Alamos non scambia i terzini e
continua a tenere il micro-Eyzaguirre sul macro-Barison e il macro-Villanueva sul micro-Perani.
« Ci avevo pensato! — confesserà dopo. — Ma non ho avuto il coraggio di farlo ». Chi invece ha il
coraggio… di mettere subito le mani avanti è Fabbri: « Se giocheremo sempre così, non andremo
molto lontano! ».
I missili azzurri
Il « lontano » potrebbe essere proprio-sabato sedici, ancora al Roker Park, contro la Russia, questa
volta la Russia di Lev Jashin e di Valery Voronin. Il Cile, per arrivare in Inghilterra, era dovuto
andare allo spareggio di Lima con l’Ecuador (2-1)! La Russia, in una lunghissima tournée
sudamericana aveva fatto sperare perfino i cileni (Alamos: « L’abbiamo vista giocare tutti: con la
Russia non ci sono problemi. Si qualificheranno Italia e Cile! »). Non dovrebbe essere impossibile il
pareggio, anche se Voronin mi dice: « Contro l’Italia ci saremo tutti e vinceremo! Fabbri ha lasciato
a casa l’uomo migliore: Corso! ». Per inciso, la pubblicazione ufficiale della World Cup
Organisation, un opuscolo in carta patinata rossa, porta in copertina la foto del Grande Escluso
veronese in azione: come simbolo dell’Italia. Evidentemente, la World Cup Organisation non sa che
l’Italia non coincide con la Fabbritalia. Mario Corso a parte, cioè a Lignano Sabbiadoro, i giorni
pre-Russia sono costellati di nevrosi e di ombre tattiche. E’ arrivato, già prima del Cile, il Ministro
dello Sport, Corona. Adesso, è tra noi anche Giuseppe Pasquale. Il giovedì post-Cile è in « visita di
cortesia » al college di Durham. C’è anche Italo che parla cinque minuti con Pascutti, cinque minuti
con Riva. Il fotografo di Supersport, Lamberto Londi, sta per scattare una foto di Pasquale che
osserva da vicino il volto tumefatto di Bulgarelli (casuale residuo cileno): piomba Edmondo alle
spalle e inveisce contro l’incauto (non Bulgarelli nè… Pasquale). Il fotografo replica pesantemente.
Franchi fa il « velo » e Fabbri, livido in volto, gira l’angolo. Deve avere il sistema nervoso quasi
distrutto. Ogni fatterello è pretesto per complicazioni infantili. I giocatori accusano questa
situazione. Fabbri non è più preoccupato della squadra. E’ quasi « fissato » su se stesso, sull’’ansia
che gli cresce. Guarda ai mondiali come ad un orizzonte troppo vasto per i suoi occhietti. Nessuno è
in grado di interpretare le sue decisioni, influenzate come sono da stati d’animo più che da
ragionamento. I giocatori non sanno più nulla. Passeggio per un’ora con Meroni e Pascutti per le
strade di Durham. Non li riconosco. Non mi sembrano più loro. Incredibile. Gigi Meroni,
personaggio nato, dal baffo giù fino al calzettone arrotolato, non ha più una battuta, una parola, una
frase. « Cosa vuoi che dica?! », mi fa irritato. E’ la prima volta che non lo vedo disteso, beat. E’
immusonito, logoro. Pascutti è ancora più teso. Mi fa una promessa. « Dopo la partita farò
un’intervista su tutto quello che vorrai! ». Ma ora non vuol nemmeno fiatare. Rifiuta perfino la
macchina fotografica. Si schernisce: « Lo sai che Fabbri non vuole che facciamo fotografie! ».
« Anche le fotografie?! Ma cosa siete? Missili?! ». « Pensa quello che ti pare, ma lui ci ha ordinato
di non farle! ». La distensione, il clima di famiglia, il « club Italia », sono ormai a brandelli. Chiedo
se giocheranno. « Non so », a Non so », « Non si sa niente ». Hanno i nervi a vista d’occhio. Tesi,
nell’incertezza. Sanno che Fabbri non parla perchè non ha le idee chiare. Almeno Paolo Mazza, in
Cile, aspettava che Giovanni Ferrari andasse in città a fare le spese per… riunire i giocatori e
preparare la tattica! Fabbri è solo, ma non sa decidere. Si intuisce che giocherà Pascutti, perchè è il
medico, Fini, che in pratica « decide ». « Tra giocatori — mi confida Pascutti — nessuno mai dice
nulla: sembra quasi che non ci si fidi! Comunque è lui che decide… ». Ma chi deciderà se mettere in
campo Giacomo Bulgarelli, nonostante
la freschissima distorsione, nonostante lo scarso
allenamento (misteriosissimo oltretutto, svoltosi un’ora dopo quello degli altri), nonostante la
soprattutto paura di forzare, nonostante soprattutto la disponibilità di un Juliano caricatissimo e in
forma. « Spero di giocare! — sospira Juliano. — Questa deve essere la volta buona! ». Ma quale
volta buona Fabbri oramai sbanda per la tangente e rimetterlo in strada è impresa proibitiva.
L’inconscio si scioglie al Roker Park. Riva, in tribuna, mi fa notare che con la Russia si può anche
perdere senza fare drammi. Tanto, c’è la Corea, che il giorno prima è riuscita a strappare un punto
al Cile, ma per miracolo, a sessanta secondi dalla fine. Riva è « nauseato » (parole sue) del viaggio-
premio federale, ma, distaccato com’è, ragiona freddamente. Non sa che quel punto giallo è il
nuovo incubo di Fabbri, la nuova frontiera ossessiva: dal Cile alla Corea. Sono le ore quindici di
sabato sedici. Lev Jashin è già in campo, bombardato da alcuni tiri-prova. Malafeev e Voronin sono
i più precisi. Sbuca dal sottopassaggio del Roker « l’Italia numero due ». Gioca Pascutti, via
Barison. Gioca Meroni, via Perani. Gioca Bulgarelli, non Juliano: la responsabilità di Fabbri assume
proporzioni gigantesche. Perché rischiare? In fondo, la partita decisiva è quella con la Corea. E’ con
la Corea che dovremmo mettere in campo la formazione più potente, fresca e « sana ». No, gioca
Bulgarelli. Lodetti sostituisce Rivera.
La profezia di Mao-Tse-Tung
E il mediano? Non aveva visto Fabbri che la Russia è impostata sul doppio centravanti Banishevski-
Malafeev? Si pensa ad un doppio stopper: Rosato-Guarneri, ma entra in campo Leoncini. La partita
è povera di storia azzurra. L’Italia langue. Bulgarelli è punta (!) con la fascia bianca che gli spunta
sotto il ginocchio: rendimento al trenta per cento. Lodetti naufraga nel mare-Voronin. Leoncini
deve fare lo stopper. « Dovevo mettere Guarneri! », dirà il C.U., dopo. Meroni è isolato e non serve
(come Perani) al centrocampo. Il Ministro Corona abbandona Sunderland disgustato. Pasquale
fugge: annusa odore di esequie? Forse. Nessuno meglio di lui conosce Fabbri, il suo delfino. Se lo
abbandona ora, vuol dire che lo giudica perduto o quasi. Dichiara che lo aspettano « impegni
ufficiali » in Italia, ma che impegni possono essere dal momento che la World Cup si svolge in
…Inghilterra?! Forse una battuta di caccia con gli amici?! E’ arrivato per il « matrimonio » (vittoria
con il Cile), sussurra Artemio Franchi, e lascia « me per il funerale » (…la Corea!). Mentre il « Club
Italia » si prepara nel caos totale alla battaglia sul… 38° parallelo, Valery Voronin festeggia il suo
ventisettesimo compleanno, al Grey College. Il Ministro Nikonov gli concede un bicchierino di
Vodka. Gli parlo un secondo: « L’Italia è molto più debole di tre anni fa, quando giocammo in
Coppa Europa! E’ fiacca ed ha i nervi a fior di pelle. Mi diceva Jashin che non ha mai visto gente
tanto pallida in campo! ». Andiamo bene! Ma non è una novità. Il pallore è spuntato subito, alle
prime battute, sulla faccia di Fabbri. Ed è passato, giorno dietro giorno, sulle guance di tutti.
L’italiano si sa, non è tedesco nè inglese nè russo: più di ogni altro ha bisogno, per rendere, di
subire iniezioni di temperamento, di carattere, di decisione. Iniezioni di… Herrera, tanto per non far
nomi. Fabbri dà… conferenze-stampa. Ma le dà anche il capo della delegazione coreana, trenta ore
prima dell’appuntamento a Middlesbrough. Si, perchè questa volta si giocherà all’Ayresome Park,
in un’aria piena di gas e di vapori industriali. Choi Dong Ho, sorretto da un’infrangibile logica
« alla Mao Tse-tung » dichiara: « Batteremo l’Italia! Non c’è il minimo dubbio: siamo in netto
miglioramento: sconfitta con la Russia, pareggio con il Cile! ». Gli azzurri invece sono in netto
peggioramento. Su piano statistico. E su quello psico-tattico. Ci basta un pareggio per andare ai
« quarti », in base al gol-average. Ma tutto appare problematico. E’ come camminare su due metri di
neve soffice. Tanto per cominciare, la distorsione « russa » di Tarcisio Burgnich è « grave »,
inguaribile in tempo utile. Giocherà sicuramente Landini. Dovrebbe essere l’unica variante della
difesa. Si aspettano modifiche sul centrocampo-regia. Lodetti è stanco, Rivera floscio. Rizzo e
Juliano mangerebbero sassi pur di giocare. Questo è buon senso. Ma Fabbri Edmondo non esiste più
oramai. E’ lontano, assente, scaricato, distrutto. Subisce influenze incontrollate. Un noto giornalista
gli fa pervenire una formazione. Fabbri reagisce, non confessa. Rimane l’anonimato. La stampa
inglese quasi diserta le conferenze. C’è atmosfera di « rubbies », di rifiuti. La gente ha voltato le
spalle agli azzurri. Oramai aspettano tutti di esplodere in una corale, tremenda, risata. Il tifo-Corea
si gonfia. Si va a Middlesbrough come ad una sagra. Le ultime ore al college devono respirare aria
di inarrestabile tragedia. Dirà Franchi: « Avevano una paura terribile. Non sapevamo più cosa dire
ai giocatori: fino ad allora la tattica era stata di ingigantire la forza dell’avversario; con la Corea
rovesciammo tutto: ‘Sono dei brocchi i coreani! Se state tranquilli si vince facile!’ ». Franchi parlò
al plurale, avete notato. Oramai la gestione era « collegiale ». Fabbri, una frana: gli altri gli davano
una mano, almeno sul piano psicologico. Immaginate un Herrera, un Viani, un Pugliese ridotti in
queste condizioni a poche ore dalla sentenza capitale? Come entra in campo a Middlesbrough
Edmondo Fabbri nega se stesso, il suo passato, quattro anni di lavoro. « La Nazionale è fatta! —
aveva detto un mese prima. — Ci possono essere solo due varianti: mediano d’attacco e l’interno di
punta! ». Contro la Corea, per i novanta minuti che valgono un « mondiale », Fabbri distrugge la
« sua » squadra, la sua formazione. Rimette il fantasma di Rivera, riconfermando la sua
« cocciutaggine ». E sconvolge la difesa. Fa « riposare » (testuale) Rosato e Salvadore per i quarti.
Manda in campo (c’è già Landini…) Janich, Guarneri, Fogli! Mai vista in una partita di
preparazione una formazione del genere! Davanti alla panchina azzurra, le cicche di Edmondo si
ammucchiano con un ritmo impressionante. Dopo mezz’ora, la gamba (sinistra!!!) di Bulgarelli si
torce ancora!!! E Pak Doo Ik umilia Albertosi. Va in gol, segna. La squadra di Gianni Rivera
affonda in un oceano di sfottò, di sberleffi, di urla ghignanti. I coreani sembrano tutti Pelé gialli: mi
viene perfino un dubbio: forse nell’intervallo si sono cambiati tutti. Quelli del secondo tempo sono
altri giocatori, freschi riposati. Sono tutti uguali, chi può accorgersi della « truffa »?! Nessuno!
Tanto, la « truffa azzurra » è gigantesca, indescrivibile. Gli inglesi ci guardano e sorridono. I tifosi
italiani muoiono. Due si gettano contro la panchina di Fabbri, scagliando le trombe in campo.
Vengono arrestati. Le bandierine tricolori finiscono nel sacco della spazzatura. Si sparge la voce
che la formazione è stata fatta da Rivera! E subito dopo che Fabbri è stato costretto a quelle scelte
perchè alcuni giocatori si sono rifiutati di scendere in campo: « Non ce la sentiamo! », avrebbero
detto. Quest’ultima rivelazione è degna di fede: la fonte è seria e controllata. Bulgarelli ha assistito
in tuta, dalla panchina, alla indecorosa ritirata azzurra. Nessuno dei nostri piange. Sono come
intontiti, groggy, imbambolati. La droga-paura li possiede. Enrico Crespi, de la « Notte », va alla
porta dello spogliatoio per raccogliere le dichiarazioni di Fabbri. Il C.U. non si fa vedere. Manda a
dire che « la squadra si è battuta e che ritiene determinante l’infortunio a Bulgarelli ». Non
partecipa neppure alla consueta intervista a circuito televisivo chiuso. Il ridicolo è insostenibile. Ma
questa sconfitta, per Fabbri Edmondo e per i suoi opportunistici reggitori, è la somma di tutta una
serie di sconfitte concentriche:
a) Sconfitta della preparazione atletica: sufficiente con le lumache cilene, inconsistente con i
russi, assente con i coreani. Due giorni prima del via ai mondiali si era detto in Italia: « La
preparazione atletica della squadra è perfetta ». In base a quali test?
b) Sconfitta della preparazione psicologica: su questo punto è inutile ripetersi. Il quadro
neurologico è fin troppo completo. Nessuno al mondo, capace di intendere e volere, potrà mai
sostenere che la Nazionale italiana abbia avuto una « guida », una personalità influente…, un
« forgiatore di destini », come direbbe Mario Appelius.
c) Sconfitta dell’« impostazione-Rivera »: per quattro, interminabili anni, il C.U. ha avuto in
testa soltanto un nome, Gianni Rivera. Per lui ha fatto e disfatto formazioni ed esperimenti; per lui
ha trattato Mario Corso come un cane, peggio di un cane, a calci nel sedere; per lui ha ignorato le
soluzioni di ricambio che il campionato imponeva (Rizzo); per lui ha coniato dogmi che sarebbero
dovuti apparire intelligenti soltanto perchè avevano il pregio della coerenza, …nell’errore (« Corso e
Rivera non giocheranno mai assieme! »; « Il gioco di Corso non serve alla Nazionale », e via di
questo passo). Che cosa gli ha restituito il golden boy alla fine, in Inghilterra? Novanta minuti di
pena contro il Cile; novanta minuti di… assenza coatta con la Russia, novanta minuti di fallimento-
bis con la Corea. Non è male, per un ragazzo tutto d’oro.
d) Sconfitta della fluidificazione: ma c’è poi stata la celeberrima fluidificazione creata in
dispetto al catenaccio-herreriano! Di dispetti si muore, alla lunga. E nessuno è riuscito a vederla. La
fluidificazione di Fabbri è stata veramente una nota comica, esilarante, di tutta la World Cup. Con
Facchetti « consegnato » in zona, con Rosato incollato al centravanti, Sandro Salvadore, presunto
campione dell’« anti-Picchi » (il « vecchio » e « anacronistico » libero fisso dell’Inter) non ha mai
avuto il tempo, in tre partite, non dico di farla, ma nemmeno di pensarla la fluidificazione.
e) Sconfitta del calendario federale pre-mondiale: « Forse abbiamo sbagliato anche noi a far
giocare la nazionale sempre in casa! Ci siamo abituati a vincere le partite facili, non abbiamo fatto
esperienze vere e ci siamo illusi! ». Parole di Franchi.
Serrata in questa ragnatela errori, di lacune, di insufficienze, l’Italia è affondata nel bicchiere
d’acqua coreano. Sunderland sulle prime non ha capito. Alla fine ha riso. Tutto il North England si
è divertito a ricamare storielle giallo-rosa sul cadaverino azzurro. Soltanto l’ospitalità ci ha
risparmiati dal dileggio. E’ partita in silenzio la Fabbritalia. Alle tre pomeridiane, dalla stazione
ferroviaria di Durham. Nella dispensa del college sono rimasti cumuli di spaghetti intatti. E nella
sala medica, un « bombardiere » ad ultrasuoni ed una macchina anti-fatica!!! Per fortuna gli inglesi
non sanno che esiste.
Il nuovo razzismo
La delegazione italiana aveva chiesto che le venisse risparmiato il raduno degli « eliminati » a
Londra, ma, incontrate delle riserve, accetta a denti stretti. Prima di partire, Fabbri non vorrebbe
parlare, ma Artemio Franchi lo spinge fino a Sunderland. Fabbri è irriconoscibile. Mi ricorda
Ofelia, del dramma shakespeariano. « Riferirò ai miei dirigenti e loro decideranno ». E’ tutto. Il
treno aspetta. Sono muti i giocatori, ma carichi di pacchi. Pullover, camice, dischi, berretti. Solo
Bertini azzarda: «Speriamo che la Corea vinca i mondiali! ». Gli altri sono assorti. Non pensano a
Londra. Pensano all’Italia. Ai pomodori, alle uova marce che li accoglierà a Genova. Alle urla
indimenticabili di « pellegrini! bidoni! traditori! ». Pensano al « club Italia », alla « famiglia
azzurra », ai sogni di Coverciano. Pensano agli esclusi dai « ventidue » con invidia e rabbia.
Salgono uno dietro l’altro. Il treno si muove. Fabbri è con Franchi e Bertoldi. Bardigotta rimane. E’
tutto dell’Italia. I treno scompare dietro l’altissimo cavalcavia. Italy come back! Per gli altri
comincia la World Cup. Dopo lo splendore di Wembley, dopo il trionfo della Nazionale di
Elisabetta, si ritorna tutti a casa. Come passo la frontiera, al Gran San Bernardo, ascolto, leggo,
sento cose folli. Salvadore Sandro: « La rovina è il campionato: due mesi fa avremmo battuto
chiunque! ». Pasquale Giuseppe: « Chi può sostituire Fabbri?! ». Frossi Annibale. « E’ tutta colpa
degli stranieri! ». Il Parlamento freme. Saragat invia un messaggio. Si aprono inchieste. Si scopre
che siamo esseri di razza inferiore. Che la sconfitta ha un nome: ossa esili e muscoletti! Ma come?!
Allora aveva ragione Adolf Hitler? Albertosi, Burgnich, Pacchetti, Salvadore, Rosato, Leoncini,
Barison, Rizzo, Riva, Bulgarelli non sono atleti? Pacchetti è venti centimetri più alto dell’ala
coreana ed ha perso anche nel gioco di testa!!! Bulgarelli è meno atleta di Prieto, di Sabo, di Bobby
Charlton? Perani è più fragile di Khusainov? Rosato non regge Pak Doo Ik?! Ma allora Nereo
Rocco come avrà fatto a mettere in piedi il Padova dei panzer? Per fortuna un esperto, il professor
Margaria, ridicolizza l’alibi: « Roba da ridere la presunta inferiorità razziale! ». I muscoli ci sono, le
ossa anche: è sul temperamento che bisogna lavorare. Sull’abitudine a lottare. Sulla piaga
dell’« imborghesimento », individuata da Herrera anche nella stessa Inter. Questi sono i vuoti. Ma
tant’è. Apro un settimanale d’attualità e leggo: « …Bisogna codificare i sistemi di preparazione ».
Ne apro un altro, settimanale d’opinione, politico: « …Il Comitato Olimpico è in tempo per
rimettere un certo ordine nel mondo del calcio, per rompere le egemonie, stroncare le speculazioni,
eliminare l’inflazione dei prezzi nel mercato dei giocatori, dare una figura giuridica precisa alle
società, garantire un minimo di dignità a chi esercita la professione di giocatore ». E i gol chi li
farà?! Il Comitato Olimpico?! E’ la fine del mondo. Tutto questo perchè un Edmondo qualsiasi si è
squagliato a Durham come un gelato al sole. Ma chi, da Tarvisio a Ragusa, ha scoperto tutte queste
grosse verità « prima »? Durante i trionfi amichevoli? Durante quattro anni di Governo Pasquale-
Fabbri? What news, Willie? Sul fronte azzurro, nessuna. Oggi, come ieri. Come domani? Mah…
dipende da Coverciano. E da Pasquale.