1967 aprile La camera del mago
1967, aprile
La camera del mago
azzurro si faceva buio.
1) Edmondo Fabbri aveva dichiarato la non-coesistenza di Corso e Rivera.
2) Dichiarata la non-coesistenza, Fabbri aveva fatto la sua scelta: Rivera. Per Corso, l’orizzonte
3) Come conseguenza di questa frattura si creava una frattura, sempre violenta e sempre
polemica, nella stessa opinione pubblica.
4) Corso e Rivera, antagonisti forzati in un clima di guerra fredda, gelarono i rapporti personali.
5) Corso, il grande, limitatissimo escluso dalla Fabbritalia non partì per Londra. Rivera, il
simbolo dalla Fabbritalia, ne ritornò umiliatissimo e sconfitto.
A questo punto spettava al successore di Fabbri Edmondo ricucire ciò che era stato stracciato,
unire ciò che era stato separato. Non solo sul piano tecnico, ma, e soprattutto, sul piano umano.
Helenio Herrera, con una sensibilità, una prontezza e un tatto che non tutti gli avrebbero concesso a
priori, ha affrontato e risolto il problema dalle radici.
1) Ha fatto convocare Rivera, ma non l’ho fatto giocare.
2) Ha convocato Rivera e lo ha fatto giocare assieme a Corso, sia a Cipro che contro il
Portogallo.
3) Ha negato la non-coesistenza fatale dei due.
4) Ha elogiato pubblicamente Rivera e lo ha difeso dalle critiche.
5) Nel ritiro romano, prima di incontrare la Nazionale di Eusebio, ha disposto che Corso e
Rivera dividessero la stessa camera.
Ecco, questo è il particolare che basta da solo a fare il punto sulla nuova situazione, sul nuovo
equilibrio di forze che si è venuto a creare fra le due mezzali-genio dell’ultima scuola italiana. È
normale che giocatori, nei ritiri di Nazionale o di Club, riposino in camere doppie. Spesso le
combinazioni sono spontanee, spesso sono controllate dall’allenatore. Quando l’allenatore si
chiama Herrera, tutte le combinazioni sono controllate e condizionate ad un’« intenzione » segreta
del Mago. La camera di Herrera, la camera che Herrera ha affidato in condominio a Corso e Rivera,
segna un metodo: personalità, fantasia, sensibilità e superiorità. Non piccineria, grettezza,
provincialismo. Segna un metodo e un’ « intenzione ». Quale? Eliminare antipatie epidermiche,
allergie personali alimentate dalla stampa, amicizie, deformazioni polemiche. E ancora, stabilire fra
i due un rapporto di equivalenza. Quando l’era-Fabbri era ancora aperta, questo rapporto di
equivalenza era andato perduto. Rivera, a poco a poco, era diventato il simbolo, l’incarnazione della
Fabbritalia. Era additato come il braccio destro di Fabbri. Corso, a poco a poco, era stato escluso
dal grande giro: i suoi frequenti atti di ribellione, fino alla rottura definitiva, non erano altro che
desiderio di uscire da un clima di sudditanza indiretta, ma palese e ingiustificata, nei confronti di
Rivera. La camera di Herrera, affidata a entrambi ha cancellato il retaggio di un’era ed ha gettato le
premesse per scelte, convivenze o alternative sempre di carattere tecnico. Sul piano umano, quello
sul quale si creano fratture insanabili, il rapporto ha finito di arrugginire.
Ristabilito rapporto umano, Helenio Herrera, dalla panchina dell’Olimpico, ha potuto contare senza
riserve di sorta su questi due elementi:
1) la grande generosità di Corso.
2) la grande disciplina di Rivera.
Se Portogallo (e Cipro) fossero serviti a questo, soltanto a questo, non sarebbero stati inutili.
Chi ha partecipato alla trasferta a Cipro; chi ha assistito alla partita di Roma; in milioni di
telespettatori hanno notato subito il « fatto tecnico » nuovo. La collaborazione fra Corso Rivera: in
squadra insieme per giocare insieme. L’impegno era ambivalente ma si vedeva senza fatica che la
coscienza di Corso era la più solleticata. Sia a Cipro che contro Eusebio, Corso ha « cercato »
Rivera con insistenza, con grinta, con bravura. Gli ha dato alcune palle-gol per il gol che « sarebbe
stato di Rivera ». Ma si vedeva che Corso « voleva » quei passaggi e avrebbe voluto i gol. I gol di
Rivera. Dopo anni di logorrea campanilistica, fatti come quelli che milioni di telespettatori hanno
testimoniato danno la misura di un’atmosfera che è cambiata e che può ancora cambiare per
migliorare. Dicevo della generosità di Corso: quasi una fissazione. E un altro fatto altrettanto
positivo e significativo: la disciplina di Rivera. Disciplina tattica prima di tutto, con l’impegno a
battersi in una maglia che gli sta (sempre) stretta in una posizione che gli sta (sempre) larga.
Disciplina tattica quindi, indiscussa, e disciplina di « atteggiamento ». Quando Herrera, a Roma, ha
ordinato a Rivera di uscire per lasciare il posto a Domenghini, Rivera lo ha fatto nella miglior forma
possibile. Dicono: non avrebbe potuto fare altrimenti. Ma, dal momento che l’imposizione non era
sicuramente gradita, ha dato sensazione, anche visiva, di maturità. Si è lavato è cambiato in fretta. È
rientrato ai bordi, si è seduto vicino a Herrera. Ha seguito la partita normalmente. Non ha dato
dichiarazioni « dopo ». E aveva in faccia una espressione da uomo, non da bambino. Anche la
generosità di Corso, era scelta di uomo. Eusebio è servito anche a questo. Gol a parte.