1967 febbraio 14-19 Al Cagliari mancano 6 punti

1967 febbraio 14-19 (Supersport)

Al Cagliari mancano 6 punti!

« Al Cagliari — sostiene Manlio Scopigno — mancano sei punti! ». Ventisei più sei: trentadue! I
punti dell’Inter. Quella di Scoplgno è una battuta, mezza paradossale e mezza seria, ma in caso non
priva di verità. Quali sono i sei punti che mancherebbero al Cagliari?

II bilancio del filosofo

1 ) Cagliari-Milan: rigore sbagliato da Riva.
2) Napoli-Cagliari: dopo aver controllato e dominato la partita senza difficoltà, Cagliari perde

con un colpo di testa di Vescovi appoggiato disgraziatamente sul piede di Orlando.

3) Mantova-Cagliari: è la partita che mette più in difficoltà lo splendido Mantova di questo
campionato. Il Cagliari controlla come vuole la partita, ma a Riva, marcatissimo da un pivello,
saltano i nervi e, dopo aver sbagliato un gol clamoroso, si fa espellere.

4) Inter-Cagliari: l’Inter segna due gol e colpisce anche uno spettacolare palo con Bicicli, ma

l’infortunio allo stopper Vescovi è determinante.

5) Milan-Cagliari: un punto al Milan ed uno ad Angonese!
6) Bologna-Cagliarli: dopo venticinque minuti di quasi-melina del Cagliari, pareggia Bulgarelli

all’ottantacinquesimo.

Per ognuna di queste sei partite, c’è un punto che il Cagliari, senza difficoltà avrebbe potuto
conquistare. Questa è l’opinione « statistica » di Manlio Scopigno. Ma l’analisi di queste sei
occasioni perdute, serve anche a cogliere un qualcosa che mancava al profilo della squadra più
interessante e discussa del Campionato. Fatta eccezione per la partita del rigore sbagliato da Riva a
Cagliari contro il Milan, si tratta sempre di incontri che la squadra di Scopigno ha giocato contro le
« grandi » e in trasferta. Il dato è molto sintomatico. Se tutte le situazioni di fortuito o perlomeno
fatale disagio si sono avute in queste circostanze, ciò significa che sono state queste le circostanze
che hanno messo in difficoltà più o meno evidenti il Cagliari. « In casa — mi diceva proprio a
Bologna il centravanti Boninsegna — siamo irresistibili: costruiamo contro chiunque almeno una
palla-gol ogni dieci minuti. In trasferta invece, siamo meno sciolti, meno sicuri: le occasioni per
segnare diminuiscono e tutto il gioco in fondo è più rattrappito: non è una questione tattica; io credo
si tratti di mentalità, di un qualcosa di psicologico ». E’ il tasto esatto, a mio avviso. Quella che, in
altre circostanze, è ancora mancata al Cagliari, è l’abitudine al successo. Un certo disagio a sentirsi
osservato, spiato, ammirato e temuto. Una certa insicurezza nel recitare la parte del protagonista.
Anche a Bologna, il pur stupendo colpo di testa di Giacomo Bulgarelli, quello del pareggio a cinque
minuti dalla fine, con tutta probabilità non ci sarebbe stato, se il Cagliari non avesse avuto troppo
presto e troppo forte la « paura di vincere ».

La delusione di Rocca-Arrica

La mancata vittoria del Cagliari a Bologna, è vero, ha pure una ragione tattica: se Greatti avesse
curato Bulgarelli con la stessa assidua concentrazione con la quale Tiberi marcò Fogli e Cera
(prima) e Longoni (poi) marcarono Haller, l’acrobatico e irripetibile gol di Riva sarebbe bastato a
Scopigno per battere Carniglia. Ma, pur tenendo conto di questa precisa circostanza (fu su

Bulgarelli anche il facile salvataggio sulla linea effettuato da Martiradonna), il problema di fondo
rimane. La ragnatela esasperante di passaggi a centrocampo per strappare tempo agli avversari, la
rischiosissima rinuncia a spezzare di forza certe azioni, il continuo informarsi (leggi Cera per
esempio) sul numero dei minuti mancanti alla fine della partita, sono tutti sintomi di un certo
disagio, di una certa ansia, controllata forzatamente. La delusione finale di Rocca e Arrica si
spiegava proprio con questo: la sproporzione tra quello che il Cagliari aveva costruito e l’ingenuo,
eccessivo, rallentamento con il quale aveva creduto di poter conservare il vantaggio.

Questo è mancato al Cagliari per vincere a Bologna dove aveva già vinto, ancor prima del palo
strepitoso di Riva, con una partita che Scopigno ha stranamente definito « peggiore di quella
giocata contro il Milan a San Siro » ma che in ogni caso ha lasciato scoprire il volto intatto della
squadra-rivelazione. Con un Longoni che, oggi come oggi, è di gran lunga il miglior terzino sinistro
in circolazione in Italia; con un Cera sempre più controllato e disciplinato; con un Nené intelligente
e più di ogni altro tatticamente « sensibile »; con un Boninsegna e un implacabile Riva che sanno
nobilitare da soli tutto uno stile contropiedistico, il Cagliari non accusa logorio. Se il programma
numero 1 di Scopigno: « Tre punti fra Milan e Bologna! », è fallito a San Siro, il programma
numero 2: « Quattro punti con Foggia e Roma! » è dato per scontato. Il Cagliari è ancora, più che
mai, tra le « grandi ».

I delitti di Carniglia

Era bastato un gol di Turra al povero, retrocesso Foggia di Bonizzoni, perchè da qualche parte si
gridasse al Bologna ritrovato. Carniglia aveva spiegato la vittoria con il temperamento, con il
carattere degli uomini che aveva portato con sé. E non deve aver avuto tutti i torti dal momento che,
dopo aver visto il Bologna domenica scorsa contro il Cagliari, la sensazione più moderata che uno
possa aver tratto della squadra è questa: la crisi continua a livello generale. Carniglia oramai sta
assumendo contorni patetici, tanto è fatale, scontato, il suo naufragio. Si arrampica agli specchietti
di qualche vittoria, di qualche risultato, ma si vede che ha perduto. Carniglia, in questo momento, è
uno sconfitto, un isolato. Uno che aspetta. Fino a qualche domenica fa, dopo una partita vinta o
pareggiata o persa, si lasciava andare allo show tradizionale: « Avemo vinto… avemo pareggiato…
avemo perso, ma el Bologna gioga el calcio spectaculo, el mejor che è in Italia; el calcio che diverte
il pubblico: perchè questo è importante che il pubblico se diverte ». Ogni domenica pomeriggio,
Luis Carniglia parlava del « spectaculo », de « sfortuna extraordinaria » quando gli andava male,
ma oramai, a Bologna, non gli crede più nessuno. II pubblico non si diverte affatto. Punto dietro
punto, il distacco dall’Inter si fa sempre più forte. Domenica dietro domenica, l’affluenza allo stadio
si fa più rarefatta. In queste condizioni, Carniglia ha smesso di parlare di « spectaculo ». E’ l’unica
cosa saggia che ha saputo fare in questi ultimi tempi. Tempi caratterizzati dalla suprema indecisione
dei dirigenti che (a quanto pare da indiscrezioni degne della massima fede) avrebbero avuto in
mano il contratto di Viani fin dal primo luglio scorso, ma che ora, pur possedendolo in perfette
condizioni psico-fisiche, non vogliono arrischiarlo con carta bianca a tutti i livelli, non solo a
livello-biberon. E così la farsa-Carniglia continua. La farsa di un allenatore che ha trasformato una
squadra di prestigio, una grande squadra come il Bologna, in un feudo personale dove il metro del
merito e del non-merito non sono più valutazioni dettate da interessi di squadra e di società, ma
esercitazioni personali dettate da simpatia o antipatia, da vendette e ripicche. Ricordo che un giorno,
molto tempo fa, chiesero a Helenio Herrera perchè trascurasse completamente un grande giocatore
come Maschio. Rispose che non serviva al suo gioco, al suo ritmo. Gli fu chiesto se per caso, sotto

sotto, non ci fosse anche un pizzico di antipatia. Herrera ribatté: « Se un tecnico, per fatti personali,
indebolisce la squadra, non è un allenatore ». Mah…

Luis Carniglia, comunque, continua tranquillo sulla strada sfogliando la margherita rossoblù: mi
ama (allora gioca), non mi ama (allora non gioca). Sembra incredibile, ma è la verità. I « delitti »
che Carniglia sta commettendo sul corpo del Bologna stanno oramai esasperando il pazientissimo
pubblico bolognese. Di prove ne abbiamo anche troppo, comunque la partita contro il Cagliari è un
super-testimone inconfutabile.

1) E’ arcinoto che il Bologna possiede forse il miglior attacco che ci sia in Italia, ma che ha una
difesa debolissima. E’ proprio in questo settore che Carniglia si sbizzarrisce. Arriva il Cagliari.
Avrebbe una coppia di ottimi terzini: Furlanis e Roversi. Ma schiera Furlanis stopper su Boninsegna
con scarsissimi (la colpa non è di Furlanis) risultati. Perchè? Perchè Carniglia, se non glielo
imporranno dall’alto, non vede Tumburus. Tumburus fu il primo che si ribellò a Carniglia. E quindi
deve pagare. Subire i dispetti, anche se, come ha detto lo stesso Viani: « Tumburus è in una forma
splendida ». A parte Furlanis stopper, c’è un particolare di plateale evidenza: Janich, oggi come
oggi, fa pena. Arranca in una mediocrità impensabile per un giocatore di serie A. Sono in molti a
scoprire in questo calo tremendo, l’assenza di Tumburus al centro della difesa. Ma a Carniglia
queste cose non interessano: Tumburus lo ha offeso. Deve pagare, costi quel che costi.

2) Harald Nielsen è bloccato da uno stiramento alla coscia destra. Un fatto eccezionale: è infatti
la seconda volta che gli capita da quando è in Italia. Proprio per questo ha pure una guarigione
lenta. Ma non è forse strano che gli sia capitato proprio dopo il rientro dalla fuga-vacanza di dieci
giorni in Danimarca? Allenatissimo, dicevano…

3) Il « pendant » di Tumburus all’attacco si chiama Vastola. Contro il Cagliari non c’è Nielsen,
non Pace. Che fa Carniglia? Turra ala destra: penoso e non è colpa sua; Paganini centravanti:
inesperto, bloccatissimo da Vescovi, Vastola è in tribuna che spiega i fatti suoi al presidente del
Cagliari Rocca: non esiste per Carniglia. Ma non ha pagato alla società le 700.000 lire di multa?
Dovrebbe essere riammesso come gli altri, come Haller, Nielsen, Bulgarelli che furono multati.
Vastola no: Carniglia lo ignora per antipatia e il Bologna paga. Tra Paganini e Turra-ala non c’era
proprio spazio per Vastola?

Luis Carniglia continua a sorridere: tra « spectaculo » e ostracismo non distingue più tra le bizze
proprie e gli interessi della squadra. Quando gli strapperanno dalle mani il « giocattolo » rossoblù?
Nemmeno lui lo sa.