1967 La fissazione della Juve

1967

La Fissazione della Juve

TORINO. Orlando, centravanti del Napoli, ha rilasciato, a proposito della Juventus, la più amena
delle dichiarazioni. Ha detto: « Abbiamo perduto perchè avevamo visto la Juve in televisione
mercoledì, contro gli Jugoslavi di Zagabria! La Juve ci era sembrata talmente spompata, fiacca e
inconsistente che noi tutti, compreso Pesaola, eravamo convinti di vincere. Quando invece siamo
scesi in campo, abbiamo capito che la Juve vera non era quella vista in TV: ce ne siamo accorti
quasi subito, ma era oramai troppo tardi per reagire ». Dico che questa è una dichiarazione
perlomeno « amena » dal momento che non è pensabile che dei professionisti credano ancora alle
favole. Non abbiano cioè ancora capito che il campionato non è la Coppa delle Fiere, che il
mercoledì non è la domenica, che lo Zagabria non è il Napoli. Se non si è ancora capito questo,
allora non c’è più niente da fare. La verità è invece un’altra: pur non trascurando le enormi falle che
si sono aperte fin dall’inizio nel Napoli (Bianchi, Micelli, Orlando ecc.), la Juventus ha vinto
soprattutto perchè è partita da una premessa, da un dato di fatto, e vi si è adattata con un
atteggiamento psicologico perfetto. Heriberto Herrera, nonostante la fredda diplomazia delle sue
interviste, aveva lasciato intuire a tutti che si stava preparando con cura straordinaria alla partita.
Non è vero, come si sforzava di dichiarare in pigre conferenze stampa, che per lui « tutte le partite
sono uguali ». Heriberto sapeva benissimo che quella era la partita-ultima. La partita che avrebbe
designato lo sfidante ufficiale all’Inter, nel momento decisivo del campionato. Anche Bruno Pesaola
sapeva questo, ma pensava che bastassero quattro elementi a dare la concentrazione esatta al
Napoli.

1) La presenza straordinaria di Achille Lauro.
2) La promessa di premi eccezionali.
3) La spinta della vittoria sul Bologna.
4) Il rientro di Omar Sivori.

La somma di questi quattro elementi è stata zero. Il Napoli non ha saputo « interpretare » il
momento particolare, delicato e importante; la Juventus, sì. La differenza la si è avuta proprio nello
stile, nel colore che i giocatori hanno dato alle due squadre. La Juve ha sempre imposto la sua
misura. Persino nei falli. Ho sentito gente insultare l’arbitro Francescon per presunta partigianeria a
favore del Napoli: secondo questa tesi polemica l’arbitro avrebbe dato tre falli contro la Juve e uno
soltanto a favore, naturalmente come media. Questo calcolo forse è esatto, ma io credo che il
movente di tale « sperequazione » sia da ricercare nel Napoli piuttosto che in… Francescon. Perchè?
E’ abbastanza semplice: il Napoli ha giocato domenica scorsa una partita tanto tranquilla, tanto
oppiata, tanto morbida, tanto priva di grinta, di aggressività, di mordente, che la misura dei falli,
come dicevo, è stata data dalla Juve. Forse per questo è sembrato a qualche superficiale che
Francescon tifasse Napoli. I falli in realtà erano quasi sempre della Juve, l’unica squadra in campo
che giocasse con spinta atletica proporzionale all’impegno psicologico. Mai vista partita tanto
importante e tanto tranquilla: senza il minimo incidente, senza « morti » in sostanza. Il grosso
merito della Juve è stato appunto di essere protagonista sempre, dal primo all’ultimo minuto. Quello
che il Napoli non è stato mai. La Coppa delle Fiere non c’entra. La Juve, in questo momento del
campionato, soprattutto in questo, ha una sola fissazione: raggiungere l’Inter, magari il 7 maggio,
giorno dell’incontro diretto, per poi tentare l’impresa, fino a ieri considerata disperata, di vincere lo
scudetto. Il tredicesimo della sua serie leggendaria. Questa è la fissazione della Juve. Tutto il resto è

contorno senza importanza. Una quindicina di giorni orsono, incontrai, all’aeroporto di Fiumicino a
Roma, Salvadore e Zigoni. Mi disse Salvadore: « Certe volte noi della Juve ci ritroviamo assieme a
pensare che in fondo siamo soltanto a due punti dall’Inter! Allora ci guardiamo in faccia con
stupore, poco convinti! Sì, perchè ci sembra impossibile: noi siamo convinti che l’Inter sia più forte
di noi, più completa e anche più fortunata: allora due punti ci sembrano pochi ». Quando chiesi a
Sandro Salvadore se questa confessione di inferiorità nei confronti dell’Inter implicasse una specie
di « sottintesa » rinuncia a velleità tricolori, aggiunse: « Heriberto è della stessa opinione, ma noi
siamo più convinti di lui che non bisogna mollare. Anche perchè se, nonostante tutto, siamo sempre
a due Punti, vuoi dire che c’è qualcosa che non va anche nell’Inter ».

Il sogno di Heriberto si basa ovviamente proprio su questo qualcosa che non va. Su certi strani
inceppamenti della squadra di Helenio Herrera. « Noi non facciamo mai i conti sull’Inter! », ha
detto Vittorio Catella. Ma, a questo punto, i conti li fanno un po’ tutti alla Juve. E il conto, sotto
sotto, è sempre lo stesso, immutabile interrogativo: può farcela la Juve? Può raggiungere prima o
poi l’Inter e batterla sul filo dello scudetto? Non sono interrogativi di facile soluzione, ma credo che
un discorso lo si possa fare ugualmente. Non sugli uomini « in sè »: a questo punto del campionato
è assurdo e inutile star lì a far bilanci di giocatori. Non sugli schemi: perchè gli schemi di Inter e
Juve sono arcinoti, scontati. Il 7 maggio cioè, Heriberto ed Helenio si ritroveranno di fronte
conoscendosi alla perfezione, senza misteri. L’unico discorso valido per rispondere all’interrogativo
di sempre (« può la Juve vincere lo scudetto? »), è quello della « forma attuale » dei giocatori. Della
loro freschezza atletica, della loro capacità di resistenza, della loro assimilazione di stagione. Il sole,
la primavera, il caldo, le nuove condizioni climatiche: su questo piano io credo che, a questo punto,
vada spostato il discorso. Le possibilità o meno che la Juve può ancora sfruttare per tentare di
battere l’Inter io credo che risiedano tutte qua: in questa maggiore o minore freschezza e capacità di
mantenersi in forma nonostante la variazione spesso insidiosissima di stagione.

La vittoria sul Napoli, dopo un impegno infrasettimanale che doveva aver toccato il sistema
nervoso di non pochi giocatori juventini, ha dato indicazioni, non definitive, ma abbastanza
leggibili e chiare. Presi uno ad uno, e posti in prospettiva, gli uomini di Heriberto sono apparsi in
queste condizioni:

ANZOLIN: Helenio Herrera, anche recentemente in occasione di un ritiro azzurro, ha ripetuto
che Anzolin, con Sarti, è nettamente in testa alla graduatoria dei portieri italiani. Anzolin, forse non
è più nella « ideale » condizione psico-fisica di un mese fa, ma si mantiene comunque su un piano
di rendimento elevatissimo: l’unica papera recente è stata proprio contro lo Zagabria (secondo gol,
intercettato, ma non trattenuto).

GORI: il suo è il destino di Leoncini, in parte. Il terzino di Heriberto non è più in forma come
all’inizio del campionato. Le esigenze massacranti del movimiento, a tutto raggio, con frequenti e
spossanti infiltrazioni all’attacco, hanno tolto sicurezza e lucidità al terzino. Gori ha limitato la
spinta offensiva, ma è ugualmente in difficoltà. Contro Cané, per esempio, ha perso tutti i duelli.

LEONCINI: la primavera gli ha tolto ossigeno: le risorse che ancora possiede sono più di

temperamento che di freschezza. Per lui vale il discorso fatto per Gori.

BERCELLINO: sostituito da Rinero in precedenti partite, ha fatto il suo rientro domenica contro
Altafini. Una grande partita. E’ fresco, riposato, insuperabile. La « barriera» juventina assume un
significato soprattutto in lui.

CASTANO: non esiste in Italia un libero che si logori. Comunque, rendimento costante,

eccezionale dall’inizio del campionato. Durerà sicuramente fino alla fine.

SALVADORE: in forma eccezionale, condizioni atletiche splendide. Nell’ultimo collaudo,
contro… Orlando (!), sbizzarrito: marcatura, centrocampo e gol. Sarà (a cominciare da domenica,
contro… Peirò?) l’elemento più sicuro della difesa di Heriberto.

STACCHINI: non può avere problemi di tenuta o « primaverili » perchè il suo campionato è
cominciato da poco ed è destinato a finire quasi subito, se, come sembra, De Paoli potrà riprendere
in fretta. A proposito di De Paoli, al rientro, troverà probabilmente una situazione mutata: d’ora in
avanti sarà lui, De Paoli, a dover fare da spalla a Zigoni, non viceversa!

DEL SOL: in questo momento è più fresco di Chinezinho ed è forse anche più adatto, come
temperamento e spirito di « corpo », a sostenere il peso di un rush finale anti-Inter. Non è in
formissima, ma può sparare grosse partite d’urto.

ZIGONI: è al massimo del rendimento e della forma. Da solo ha dato pericolosità, gol e
profondità ad un attacco che, per raccogliere mio, era costretto a patire dieci. E’ merito
esclusivamente suo se l’assenza di De Paoli è passata inavvertita, anzi, meglio, è quasi giovata.
Heriberto gli urla molto meno ora, anche quando pecca di egoismo. Se non li fa lui i gol, chi li fa?
Heriberto? Zigoni finirà ancora in crescendo.

CHINEZINHO: non ha paura del sole, ma ha corso da ottobre a gennaio come un ossesso.
Contro il Napoli comunque si è mosso meglio che in precedenti fiacche occasioni. E’ però sempre
giù di tono.

MENICHELLI: in forma discreta. Il suo standard comunque dipende molto anche da quello di
Chinezinho, suo « lanciatore » personale. Ha già promesso una grande partita contro l’Inter. Fra un
mese.

Questa è la Juventus, la sua forma. Con Salvadore e Zigoni su limiti personali di eccellenza; con
Gori e Chinezinho in fase arrancante; con gli altri su posizioni intermedie, in ogni caso di netta
sufficienza. L’esplosione di Zigoni ha risolto nel momento critico anche molte insufficienze
dell’attacco. Come dice Sandro Salvadore: « l’Inter è più forte, più completa e più fortunata! », ma
la Juventus è « fissata », ha grinta impareggiabile e voglia matta di superare tutte le sue
insufficienze organiche. Vuole resistere a due punti dall’Inter fino al 7 maggio. Se ci riuscirà, quel
giorno, caldissimo giorno, tutto può succedere. Il Mago lo sa.

Gli alibi di Pesaola

1) Catella, presidente della Juve: « Sivori è diventato un po’ lentino, ma è sempre un grande
giocatore: ripeto, cioè, seppur ve ne fosse ancora bisogno, che la Juventus non lo ha venduto per
motivi… tecnici! ».

2) Zigoni: « Sivori ha sempre la classe che lo salva, ma oramai cammina, è fermo, finito: sì,

finito! ».

Domenica scorsa, a Torino, quando Omar Sivori scomparve a testa china dietro la porta dello

spogliatoio napoletano, l’opinione espressa dal presidente Catella e da Zigoni era l’opinione
« ufficiale » degli ambienti bianconeri nei confronti di Sivori: « sempre bravo, ma lento, in
declino ». Riportai questa opinione al cabezon. Sivori, istintivamente, fece scorrere due dita lungo
l’inguine destro: « Dopo dieci minuti, ho sentito una fitta, sempre nell’identico punto dei giorni
scorsi: mah, non so, ho paura che non guarirò più! ». E allora, perchè ha giocato Omar Sivori? Ho
fatto una rapida inchiesta.

1) Carlo Ingarami, medico del Napoli: « E’ sempre il vecchio infortunio di Sivori. Non

propriamente l’inguine, ma l’adduttore della coscia destra. Sembrava che fosse guarito
perfettamente ».

2) Bean: « Se uno non è guarito del tutto, non deve giocare! ».
3) Emoli: « Dopo pochi minuti, Omar si è fermato… ».
4) Girardo: «Sivori non doveva giocare!».
Bruno Pesaola non ha voluto nemmeno sfiorare l’argomento. Dietro la barriera che ha eretto fin
da domenica (« la peggiore partita del Napoli in questo campionato »), il problema-Sivori acquista
una dimensione parziale, non certamente decisiva. In fondo, anche Sivori è un alibi di Bruno
Pesaola. E’ vero: il ricupero fisico, i tempi del ricupero erano stati forzati; è vero: Bean, contro il
Bologna, era stato il migliore di tutti per l’apporto continuo e impressionate a centrocampo. Questo
è vero: forse Pesaola avrebbe fatto molto meglio a lasciare tutto come contro il Bologna, con Bean
in campo e Sivori in tribuna. Ma, siamo onesti, chi, contro la Juventus, avrebbe rinunciato a un
Sivori oltretutto autoconvinto di essere perfettamente guarito e di non correre nessun rischio…
inguinale? Nove tecnici su dieci avrebbero sottoscritto la scelta del Petisso. Sivori, l’anno scorso, fu
l’uomo-squadra, il trascinatore del Napoli del miracolo: è molto difficile per chi gli è stato vicino in
quella estemporanea avventura cominciare a pensare che la grande vedette abbia imboccato
irrimediabilmente il viale del tramonto. Il « rischio » di Pesaola si spiega anche così.
C’era Achille Lauro in tribuna. Durante questo campionato, il leggendario «comandante » era
arrivato al massimo a Roma, al seguito della squadra. Questa volta, trovandosi a Genova per affari…
navali, si era trasferito a Torino. In tribuna, alla sua destra, aveva Antonio Corcione. Achille Lauro,
uscì dallo stadio alla fine del primo tempo, per recarsi all’aeroporto, secondo un orario impostogli
da una intensissima routine sportivo-industriale. Se ne andò quindi quando Juve e Napoli erano
ancora sul pari. Ma so che ad Antonio Corcione continuava a sussurrare: « Chilli là (quelli della
Juve, n.d.r.), corrono più dei nostri! I nostri sono imbambolati! ». Era ancora zero a zero:
figuriamoci dopo. Con Lauro in tribuna; con premi-partita tipo-Inter; con un ritiro settimanale
speciale, il Napoli ha fallito ancora una volta il bersaglio. Ricordo che, dopo la sconfitta subita con
il Milan a San Siro, Bruno Pesaola, all’Hotel Rosa di Milano, mi disse : « Mi bastava un pareggio:
con qualche partita facile, e poi battendo il Bologna, io in aprile andavo a Torino a giocarmi con la
Juve il secondo posto! ». A Pesaola, nonostante la sconfitta con il Milan, era riuscita ugualmente
l’operazione: a Torino, domenica, il Napoli si giocava il secondo posto, esattamente com’era nei
piani. Solo che nelle condizioni in cui il Napoli si è presentato contro la Juve, era follia, umorismo,
farsa poter soltanto pensare di strappare il primato alla Juventus. « Chilli » infatti che dovevano

funzionare da elementi di forza del Napoli si sono trasformati in altrettanti karakiri, in alibi per la
sconfitta del Petisso.

1) Micelli : doveva essere il terzino d’attacco per una partita d’attacco. Non ha funzionato nè da

terzino di difesa, nè da terzino d’attacco.

2) Bianchi: rientrava al posto di Girardo che contro il Bologna aveva marcato Haller. In lotta
muscolare con Leoncini per quasi tutta la partita, Bianchi ha dato l’ennesima dimostrazione che il
più bel affare concluso dal Brescia in tutta la sua storia è la sopravvalutazione di questo mediano in
fase di imbrocchimento. Chi se la prende con Juliano, non ha capito nulla.

3) Orlando: non è stato spalla di José, nè paracarro, nè specchietto, nulla.
Micelli, Bianchi, Orlando, più l’inguine di Sivori e un tono molle generale, un’assenza lampante
di agonismo. Il Napoli che « doveva vincere » a Torino è stato questo. Ora non rimane a Pesaola
che il terzo posto: per gli uomini che ha sempre avuto a disposizione solo un pazzo poteva
chiedergli di più.