1968 giugno 6 Italia e Jugoslavia in finale
1968 giugno 6 (Il Gazzettino)
Coppa Europa delle Nazioni: Urss e Inghilterra eliminate
Italia e Jugoslavia in finale
A Napoli decide la moneta – Irriconoscibili i campioni del mondo – Sabato la conclusione a
Roma
Estenuante (120’) duello senza gol con i sovietici sotto la pioggia a Napoli
Splendida prova di agonismo degli azzurri subito in dieci per un incidente a Rivera
Infortunio anche a Bercellino alla fine dei tempi regolamentari – Un palo di Domenghini
all’ultimo minuto
Urss-Italia 0-0
URSS: Psenchnikiv, Afonin, Istonin, Kaplichniy, Shesternev, Logofet, Lenev, Banishevsky,
Bisheviets, Malofeev, Evruzhikin.
ITALIA: Zoff, Burgnich, Facchetti, Ferrini, Bercellino, Castano, Domenghini, Juliano, Mazzola,
Rivera, Prati.
ARBITRO: Tschenscher; segnalinee Dienst e Zsolt.
NOTE: Al 4′ del 1. tempo infortunio a Rivera. Si procura uno stiramento alla coscia destra. A dieci
minuti dalla fine dei tempi regolamentari contusione al ginocchio e alla caviglia di Bercellino.
Angoli 16 a 4 per l’Urss. Spettatori paganti 68.000 per un incasso di 116 milioni. Le marcature:
Shesternev e Castano, liberi; Istonin e Prati; Afonin, Domenghini; Kaplichniy, Mazzola; a
centrocampo Lenev, Rivera; Logofet, Juliano; Ferrini, Bisheviets; Burgnich, Evruzhikin;
Bercellino, Banishevsky; Facchetti, Malofeev.
(DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE)
Napoli, 5 giugno
L’Italia ha giocato centosedici minuti con Gianni Rivera, il regista, spostato all’ala con la coscia
stirata. Ha giocato gli ultimi quaranta minuti, supplementari compresi, con Bercellino contuso alla
caviglia e al ginocchio e quindi costretto a lasciare il posto di stopper a Burgnich, costringendo
Domenghini a fare il terzino d’ala. L’Italia, all’ultimo minuto di questa estenuante partita, ha colpito
il palo interno alla sinistro del portiere sovietico, con una saetta invisibile di Domenghini da venti
metri: un palo che resterà sicuramente negli annali della Nazionale.
Sono le ore 20, 26′ e 10″: in questo preciso istante, mentre stiamo scrivendo le prime righe, un
boato indescrivibile rompe il silenzio che ha preceduto il sorteggio, dopo lo zero a zero finale sul
campo. Il lancio di una moneta, il fatto più irrazionale, più casuale, più assurdo sportivamente, ha
dato all’Italia passaporto per la finalissima di Coppa Europa che si giocherà sabato prossimo a
Roma. Lo stadio in questo momento è come un enorme braciere, pieno di fuochi, di fumo, di
cuscini, di petardi e di sirene.
E’ un grande risultato: il migliore della nazionale dopo trent’anni, dopo il titolo mondiale del
1938. E’ un grande risultato, anche se la vittoria l’ha data una monetina francese lanciata dall’arbitro
tedesco, un arbitro di livello mondale che ha condotto fino alla fine il match in una maniera molto
vicina alla perfezione. Dicevamo ieri che sarebbe stata accettabile una sconfitta tecnica, ma non una
sconfitta « di uomini », non cioè una manifestazione di inferiorità agonistica, atletica, soprattutto di
temperamento.
E’ proprio su questo piano che l’Italia ha meritato la vittoria. Dopo quattro minuti, un colpo di
tacco a fondo campo di Rivera, intenzionato ad evitare un calcio d’angolo, ha spostato
immediatamente la situazione a favore dell’Urss. Noi non dimentichiamo nemmeno oggi che la
squadra sovietica mancava di uomini di classe lasciati a casa e di due giocatori come Cislenko e
Kurtsilava, perduti in Cecoslovacchia. Ma la perdita di Rivera era ancora più influente. Perché?
Tecnicamente: il suo marcatore Lanev, della stessa stazza di Sherternev, diventava infatti in
progressione uno degli uomini decisivi del forcing dei russi.
Psicologicamente: non è un mistero per nessuno che a Rivera è affidato attualmente il compito
determinante di inventare l’ultimo passaggio per punte del tutto condizionate a lui, come Prati che
vive dei suoi cross, di Mazzola che è bloccatissimo al centro, di Domenghini che lavora da mezza
punta sul lato destro del campo.
Il fatto che Rivera sia rimasto in campo e che abbia toccato qualche palla, non sposta di un
millimetro il discorso. Rivera, per poter resistere fine alla fine, ha dovuto evitare con cura
minuziosa ogni scatto ogni spostamento brusco, ogni contrasto: una sola di queste eventualità
avrebbe potuto trasformare infatti lo stiramento in strappo, e quindi il rendimento al venti per cento
in una assoluta immobilità. Quando ci si sta avviando a tempi supplementari, Bercellino, preso in
mezzo tra Banshevsky e Zoff è rimasto con una caviglia distorta e un ginocchio contuso. Valcareggi
si è portato le mani ai capelli. Trenta minuti dei supplementari con lo stopper nell’impossibilità di
marcare, in mezzo a una difesa che in più d’una occasione, soprattutto nel primo tempo, aveva dato
grossi sbandamenti nella coppia centrate Castano-Bercellino.
Tutta la partita dell’Italia è stata condizionata da questi due infortuni. Ma la squadra non ha
subito, si e battuta al massimo delle possibilità atletiche, sotto questo aspetto è oggi non criticabile.
Non sappiamo che sensazione ne abbiano tratta i milioni di italiani che hanno visto il match in tv,
ma nessuno di noi, nessuno degli spettatori presenti a Napoli può onestamente imbastire processi
per lo zero a zero sul campo. Nemmeno Mazzola, il Mazzola super-marcato, il Mazzola di cristallo
in mezzo a vasi d’acciaio come sono Shesternev e Kaplichniy, è a nostro avviso imputabile. Non è
una novità che Mazzola non possiede da un pezzo i riflessi, lo scatto, la fantasia sensazionale degli
anni scorsi. Forse ha dato troppo sull’altare del contropiede herreriano, e non riesce, come nell’Inter
del resto, ad essere il goleador che la nazionale aspetta. Ma, e noi continuiamo a ripeterci e a battere
su questo tasto, nemmeno Mazzola è imputabile sul piano della combattività.
E’ questo il punto a nostro avviso più importante della tattica delle marcature del gioco in sé.
Abbiamo visto per anni la nostra nazionale prostrarsi tremebonda in ogni incontro fuorché nelle
amichevoli che non contano nulla. Abbiamo ancora nelle orecchie le risate del pubblico inglese ai
mondiali. Siamo passati per abatini, per frustrati, per razzialmente inferiori. Oggi no: se si tratti di
un capitolo isolato lo controlleremo presto. Ma a noi francamente è sembrato che oggi la nazionale
si sia fatta rispettare, proprio su quel piano che ci aveva visti sempre battuti.
E’ una finale morale prima che sportiva, quella conquistata a Napoli. L’Urss, pur senza quattro
titolari, è la squadra ammirevole che ci è sempre piaciuta e che abbiamo sempre ammirato. Forte,
imbattibile nei contrasti sull’uomo, potente, preparata. Ha trovato un terreno che le ha dato una
mano: per tutto il primo tempo è piovuto fitto e per tutta la partita il terreno si è mantenuto pesante.
Ma non è riuscita a sfruttare né il regalo del clima, il più vicino possibile alle sue speranze, né
l’indubbio vantaggio numerico. Non è riuscita perchè la pesantezza della sua manovra si fa sentire
soprattutto in area di rigore: la zona-gol dove ha mostrato di possedere una punta pericolosissima
soltanto in Bisheviets che, sullo scatto, bruciava il più lento Ferrini, perfetto comunque come
condizione, anche se costretto in ruolo non suo. Non riuscendo a superare la ragnatela che copriva
Bercellino e Castano la Urss si è buttata tutta sul gioco largo, fatto di cross. E qui, l’uomo decisivo è
stato Zoff che ha sbagliato due uscite soltanto, ma che, per quei due errori isolati, si è superato in
almeno dieci occasioni di estrema pericolosità.
Jakuschin, già dai primissimi minuti, i quattro cioè con Rivera non ancora infortunato, aveva già
tatto vedere la tattica dell’Urss: non tre, non due, ma quattro punte. La sera precedente, all’Hotel
Royal, avevamo avuto uno scambio di battute con Valcareggi. Il tecnico sosteneva che Malafeev
avrebbe giocato mediano: noi, ricordando la coppia del doppio centravanti Malafeev Banishevsky
nella formazione che batté l’Italia ai mondiali, sostenevamo che Malafeev avrebbe giocato punta.
Malafeev si è schierato all’ala destra e per tutta la partita è stato marcato da Facchetti. Questa
impostazione sommatasi alla superiorità numerica, ha provocato il forcing dell’Urss e costretto
l’Italia a giocare in contropiede, con un Prati isolato, ma pericolosissimo e capace di inventare e con
il suo dribbling lento il momento del tiro. Agli esteti non è piaciuta questa partita, a noi sì,
Disordinata ma bella. Violenta ma corretta in definitiva. Incertissima, con un’Italia handicappata ma
che sapeva mordere. Il secondo tempo poi è stato addirittura forsennato. Un’azione da una parte e
dall’altra. E, nei supplementari, nessuno è crollato con i crampi. Segno che i ventidue uomini
avevano preparazione e ancora energie da consumare. Non è piaciuta agli esteti, a noi sì, ripetiamo.
Lo diciamo con il riassunto telegrafico dei quattro tempi:
Primo tempo. Un sinistro a fil di palo di Prati e una rovesciata acrobatica; una mano in area di
Bercellino (non vista ma involontaria); un’uscita strepitosa di Zoff su Bisheviets; un’altra parata su
quasi-autorete di Ferrini in spaccata. Ancora un tiro di Prati. Una Urss che attacca in massa, l’Italia
choccata che commette strani errori di intesa tra Castano e Bercellino, tra Mazzola e Prati. Il
pubblico, sotto la pioggia, pur esso parzialmente choccato e pieno di paura. Un’Italia monca, ma
non abbattuta.
Secondo tempo. Subito una palla-gol sprecata da Banishevsky su stupenda azione da destra di
Bisheviets, ma dal 7′ al 15′, tre azioni-gol dell’Italia, con un’uscita suicida del portiere sovietico su
Rivera e due pali scorticati da Mazzola di sinistro e da Prati di testa. Un secondo tempo assordante,
straordinario, eccitante, con un pubblico che aveva chiuso gli ombrelli e diventava veramente il
protagonista numero uno come temeva il dt. Jakuschin. E’ un rombo continuo che fischia tutto dei
russi e esalta anche le cose minime degli azzurri. I giornalisti sovietici in tribuna accanto a noi, non
credono alle proprie orecchie. Ci fanno capire che lo stadio Lenin di Mosca, contro l’Ungheria, il
maximum del loro tifo, era roba da ridere in confronto. Gli ultimi 15′ sono pieni di stanchezza per
gli azzurri, Lenev, il marcatore dello inesistente Rivera, imperversa ma si va ai tempi
supplementari.
La mezz’ora supplementare. Trenta minuti pieni di tensione, di controllo sospettoso, di giuoco di
nervi. Un attimo di surplace può valere la finale. C’è Evruzhikin che fugge sempre all’improvvisato
terzino – Domenghini, e sfiora anche il gol. Ma è Domenghini negli ultimi 60″ che conquista con
un palo tremendo il diritto sportivo, nonostante il dominio territoriale dei russi, al rimbalzo della
moneta che vale le una finale.
L’hanno conquistata tutti questa finale, agonisticamente. Ma sul piano tecnico, la nostra
graduatoria è questa: splendidi Zoff, Domenghini, Prati, Ferrini, Burgnich, Facchetti, Juliano.
Buono alla distanza ma non perfetto Castano. Incerto Bercellino, insufficiente Mazzola, non
giudicabile Rivera. E’ la finalissima dunque. E in questo momento di grande soddisfazione, non si
può fare a meno di pensare con preoccupazione alla stanchezza accumulata in questi esaltanti 120′ e
a quei due infortuni. In nessun caso Roma sarà facile. Ma ciò che è stato raggiunto, diciamolo oggi,
è già lui grosso successo.
I protagonisti
Soltanto Mazzola ha deluso – Conferma di Bischeviets, miglior attaccante sovietico
ITALIANI
ZOFF — Una calma sensazionale. Rare incertezze. Un munto di riferimento per gli italiani
soprattutto negli incertissimi minuti del primo tempo. Ha fatto uscite, sempre in presa, nelle quali
abbiamo ammirato soprattutto il coraggio, perchè c’era sempre un sovietico che caricava.
BURGNICH — Terzino per ottanta minuti sul velocissimo Evruzhikin, un’ala sinistra che sui
quindici metri può lasciare surplace chiunque, ha preso le misure alla distanza, in netto crescendo.
Nei tempi supplementari ha giocato stopper su Banishevsky e non gli ha fatto toccare palla.
FACCHETTI — Sempre in zona nel primo tempo durante il forcing dei sovietici che passavano
quasi sempre il suo settore di campo. Nel secondo tempo, durante il periodo di reazione azzurra, si è
trasformato spesso in ala sinistra. Partita perfetta.
FERRINI — Per molti ha fallito la prova. Noi non siamo d’accordo, tenendo conto che le quattro
punte presentate dall’Urss lo hanno costretto a fare non il mediano, ma lo stopper puro su Bisheviets
che era l’uomo sempre più pericoloso e spesso più avanzato.
BERCELLINO — Il centro-mediano della Juve è fortissimo se può stare in area, ma tirato fuori
dal centravanti, come ha fatto Banishevsky, scade. E accusa la fatica. Al 20′ del secondo tempo lo
abbiamo visto sfinito, piegarsi in due. Anche l’incidente lo ha subito con una caduta scoordinata.
Meglio Guarneri.
CASTANO — Ha cominciato molto male. Non c’era e quando c’era sbagliava il disimpegno,
anche banalmente. Nel secondo tempo e nei supplementari è salito comunque di tono ed è finito sul
livello normale.
DOMENGHINI — Se ci fosse un voto gli daremmo 10. Non per il palo, è chiaro, ma perchè, con
una pulizia ed un ordine che gli credevamo sconosciuti, ha fatto l’ala, la mezz’ala, in sostanza anche
il vice-Rivera.
JULIANO — La miglior partita azzurra, di quelle che contano. Un lavoro immenso: non gli si
può chiedere l’invenzione o il tiro che non possiede. Ma come centrocampista puro è stato preciso
più del solito è ferreo nel mantenere un’intelligente posizione di copertura.
MAZZOLA — Incensurabile nello impegno. Mediocre come centravanti, anche tenendo conto
della doppia marcatura e dell’assenza del cervello Rivera. Lo diciamo perchè nelle tre palle buone
che ha avuto a disposizione, non si è visto il Mazzola che conosciamo.
RIVERA — Non giudicabile. A Roma lo sostituirà De Sisti o Lodetti?
PRATI — Tiro, fiuto del gol, e non solo quello. Non deve più fare esperienza internazionale. Il
giocatore c’è in pieno. Fisicamente è un po’ calato alla distanza.
SOVIETICI
PSHENCHNIKOV – Non ha dovuto parare tiri molto impegnativi, ma in tre uscite ha dimostrato
di essere il migliore dei portieri sovietici costretti a giocare con l’ombra di Jascin alle spalle. Il palo
lo ha salvato da un tiro imparabile.
AFONIN — Contro Domenghini è stato portato spesso fuori zona, proprio dove il giocatore ex-
mediano preferisce giocare. Ha stile ed esperienza. Un po’ lento, si faceva infilare qualche volta in
contro-corsa.
ISTONIN — Aveva l’uomo più pericoloso da marcare, la punta più punta, cioè Prati. E’ piccolo:
è intervenuto spesso in acrobazia, si è salvato dignitosamente.
KAPLICHNIY — Ha marcato Mazzola, anticipandolo spesso in spaccata, e intimidendolo
anche. Lo ha caricato brutto un paio di volte. Fortissimo di testa, ma forse il più grezzo dei giocatori
sovietici.
SHESTERNEV — Una montagna muscolare che sta soprattutto in zona di centro, alle spalle
dello stopper. Ma è, nonostante la mole, agile, insuperabile di testa e nei tackles. Un grande libero,
un grande giocatore.
LOGOFET — Non è Kurtzilava che è stato bloccato da debilitanti cure al cortisone. Ha
intercettato su Juliano, senza però mai superare una mediocre linearità. Ha confermato i propri
limiti come nell’ultima deludente partita in Cecoslovacchia.
LENEV — Non aveva avversario, cioè Rivera e quindi ha avuto una libertà d’azione enorme.
Scarsamente dotato di fantasia e di agilità, ha portato spesso azioni aggressive, ma concluse male
alla fine.
BANISHEVSKY — Ha uno stile arrabbiato, un’andatura a testa bassa, sempre ingobbito. Ai
mondiali fece impazzire Rosato, oggi ha messo in evidenza tutte le lacune dinamiche di Bercellino.
Ha difettato comunque, nel tiro in porta, spesso scoordinato, spesso fuori misura.
BISCHEVIETS — Dicevamo ieri che può giocare tranquillamente in un grosso club italiano. Lo
ha confermato. La punta più pericolosa in tutti i sensi. Ha fatto impazzire Ferrini. Durante i quattro
tempi regolamentari tutte le occasioni-gol dell’Urss passavano per lui.
MALOFEEV — Ha giocato quasi costantemente all’ala destra di ruolo. E’ mobile, tecnico, ma
Pacchetti lo sovrastava di venti centimetri sull’allungo. Perciò è stato costretto a ricuperi sempre più
frequenti sul terzino azzurro. Ha tentato una sola volta il tiro: gli manca decisione.
EVRUZHIKIN — Un’ ala piccola, veloce, con uno scatto rabbioso. Superava Burgnich che però
rientrava con tutta la atta grande esperienza. Evruzhikin ha azioni da folletto, ma anche lui non
possiede tiro.