1968 maggio 14 Il campionato delle riabilitazioni
1968 maggio 14 (Il Gazzettino)
Molti protagonisti dati per superati hanno preso clamorose rivincite
Il campionato delle riabilitazioni
Rocco: dal Torino allo scudetto – Bernardini: la sua Samp non è qualunquista – Inter: i
miliardi non bastano – Campionato a 16 squadre: negativo – Vinicio: una grande lezione
Il luogo comune è segno di pigrizia mentale. Spesso ne siamo infestati: frasi fatte, senza
motivazione. Ma « le cose che accadono », la realtà, rinnega molte imprecisioni. E’ quanto è
successo con il campionato finito domenica scorsa. Ci sembra che molti luoghi comuni ne siano
usciti rotti.
Ne proponiamo qualcuno.
ROCCO E BERNARDINI — Il primo ha vinto lo scudetto con tabelle-record; il secondo ha
mantenuto in A la Sampdoria, data all’inizio quasi per spacciata. Tanto Rocco che Bernardini sono
« sessantenni ». Il secondo, dopo quello che nel ’64 fu battezzato lo « scudetto-del-doping » giocato
all’Olimpico tra Bologna e Inter, fu trattato come una vecchia cariatide: tatticamente parlando era
definito, anche quest’anno, un qualunquista (!). Se c’è una squadra che non è qualunquista, ma
programmata, individuabile, con scelte precise, è proprio la Sampdoria. Semmai il presunto difetto,
per una squadra che non voleva retrocedere, era di giocare troppo e di difendersi poco. A parte il
fatto che non esiste controprova che anche con una diversa impostazione si sarebbe salvata, resta il
dato non smentibile che la Samp si è imposta all’attenzione del pubblico e della critica con uno stile
personale.
L’altro sessantenne, Nereo Rocco è immerso nel tricolore. A Torino, in quattro anni, aveva
commesso sicuramente degli errori, ma soprattutto si era sempre sentito un « separato »
dall’ambiente e, alla distanza, era fallito: le lacune della presidenza furono grosse. Rocco
comunque, pur protestando, si era trascinato addosso un altro marchio: era invecchiato, logoro,
finito. Si calcò la mano sulla sua simpatia per… i vini veneti e piemontesi, dandolo con una vignetta
e una battuta, tra i sopravvissuti. I risultati del Milan, soprattutto la simpatia e, sul piano tecnico, la
costruzione della difesa e il ridimensionamento di Lodetti (a nostro avviso determinante), sono una
risposta che non richiede commenti. Su strade diverse, Rocco e Bernardini, hanno smentito il luogo
comune che fa coincidere una « certa età » con la perdita di mordente, di idee, delle proprie qualità
psicologiche o tecniche che siano. La « nouvelle vogue » anche nel calcio, ha ancora qualcosa da
imparare.
INTER E MILIARDI — In otto anni di Herrera, mai l’Inter ha speso tanto come prima di questo
campionato e mai ha ottenuto poco come alla fine di esso. E’ più facile, questo è chiaro, lavorare e
vincere con un parco-giocatori di 5 miliardi piuttosto che con quello congiunturale del… Lanerossi
Vicenza (tanto per fare un esempio), ma il campionato ha dimostrato anche che i miliardi non
bastano, da soli. Che ad una squadra-povera come ad una squadra-guida servono basi identiche: una
presidenza coerente, non incerta, né assente; un’organizzazione di società; un allenatore garantito e
capace: giocatori all’altezza sì, ma che non risentano di fratture e di sbandamenti, politico-
disciplinari, dell’ambiente. L’assenza o il non funzionamento di una di queste componenti contagia
negativamente il resto. E’ perciò che all’Inter non sono « bastati » i miliardi; né gli assi in De
Martino; né il biglietto da visita prestigioso di Moratti ed Herrera. Anche questo è un luogo comune
ferito a morte. Se, poi come sembra, proprio oggi potrebbe aversi la conferma della scomparsa dalla
scena interista tanto del « presidentissimo » quanto del Mago, la parabola nerazzurra assumerebbe
una discesa che preventivare il settembre scorso, cioè soltanto otto mesi fa, avrebbe suscitato
scandalo.
CAMPIONATO A 16 SQUADRE — Qui è la tomba di un luogo comune di nascita recente: le
16 squadre (si diceva) daranno un campionato spettacolare, mai deciso, con 8 squadre fino alla fine
in lotta per lo scudetto e altre 8 in lotta fino alla fine per la retrocessione. Non è accaduto nulla di
tutto ciò. Il Milan ha fatto una passeggiata: tanto passeggiata che critica e pubblico hanno per lungo
tempo aspettato che da un momento all’altro ci fosse il crollo. Le altre « grandi » hanno reso al
disotto delle possibilità. Lo ha onestamente riconosciuto anche Gianni Rivera. Lo stesso Napoli, sul
fronte « interno » ha raggiunto un traguardo di prestigio con il secondo posto, ma sul piano
generale, ha sfiorato per un mese appena l’aggancio con il Milan. Quanto al cosiddetto spettacolo,
non è stato inventato nulla. Si è formata presto la fascia del centro classifica tranquillo, ma
nemmeno a poche partite dalla conclusione, quando ormai molte squadre non avevano più nulla da
dire e molti allenatori più nulla da perdere, nemmeno allora dicevamo s’è tentato qualcosa di
avveniristico, magari un diverso sfruttamento del tanto discusso « libero », su modello…
anglosassone od orientale.
C’è stata in sostanza la conferma di una linea che dura oramai da anni e, nonostante casi
sporadici (esplosione di Prati o parziale di Anastasi prima di Savoldi), si sono segnati pochissimi
gol. Sì, nella retrocessione ci si è battuti fino all’ultimo minuto, ma questo quando mai non è
accaduto? Con un campionato più numeroso, che tenesse maggiormente in considerazione la
miracolosa abnegazione della provincia-senza-mecenati, non si sarebbe nè impoverito il cosiddetto
spettacolo nè tolta incertezza alla retrocessione. Si sarebbe invece evitato un assurdo, obeso
campionato di B e forse la simpatica Spal di Paolo Mazza avrebbe resistito. Francamente,
vorremmo che qualcuno spiegasse quali obbiettivi ha raggiunto la rivoluzione delle 16 squadre. Per
noi, nessuno.
Concludiamo con un nome, che non è né un luogo comune, né una frase fatta: Luis Vinicio, anni
36 e tre mesi. Il campionato ci ha incredibilmente regalato ancora per un anno il miracolo della sua
integrità fisica (nonostante l’anno perduto a Milano), della sua serietà morale, del suo attaccamento
alla squadra, del suo orgoglio che è prima dell’uomo che dell’atleta. I suoi gol, anche l’ultimo
violentissimo, nascono su queste premesse. E’ una lezione, ancora una lezione della « vecchia
guardia ». Sono soprattutto queste le cose che restano di un campionato concluso.