1969 febbraio 4 I dirigenti pensano alla «C»

1969 febbraio 4 (Il Gazzettino)

Inchiesta: la verità sulla crisi del Padova

I dirigenti pensano alla « C »?

Il numero degli spettatori e la solitudine di Rosa – Un passivo di gestione « ineliminabile » –
Cardin difende la politica della presidenza, unica alternativa al fallimento finanziario – Il
programma per il ‘70
Solo giocatori dalla Serie C in giù – Un intervento di Zanatelli

(DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE)
Padova, 3 febbraio
3.593 spettatori paganti hanno visto il Padova battere il Como: un colpo di reni in classifica che
vale come l’uranio. Ma nessuno ha visto Humberto Rosa nello spogliatoio: se ne era andato, con i
nervi a pezzi, a piangere, da solo, perchè nessuna Spa riuscirà mai a « burocratizzare » il dramma
sportivo. Un allenatore professionista che piange come un bambino e 3.593 paganti per la squadra
che si gioca il campionato contro un quasi-grande (20 punti) come il Como. La crisi del Padova è
fotografata. Una vittoria non la cancella. La crisi continua, perchè ha radici lunghe. La retrocessione
è ancora vicina. E se H. Rosa la dribblerà, sarà l’ultimo dribbling, cioè l’ultima lezione. Non solo per
il Padova, ma anche per altri Club a livello provinciale, in particolare veneto.

La presidenza Lovato-Cardin sotto accusa: campagne acquisti sbagliate, politica incoerente,
conduzione un anno « allo sperpero » ed uno « da ricupero debiti ». Ma è colpa di Lovato-Cardin
come persone fisiche, nome e cognome? E’ questione di capacità personali limitate? L’inchiesta
comincia, qui.

Cardin parla con una penna biro in mano. Prende il nostro block notes e scrive costi, cifre,
entrate. Non è un fumista; l’azienda-calcio è azienda con bilancio. Le squadre, anche quando la
gente non se ne accorge, nascono qui, in mezzo alle cifre. Chiedete a Giovanni Borghi qual è stato il
suo miglior investimento nel football: Anastasi, acquistato in Sicilia per 42 milioni, rivenduto alla
Fiat-Juventus per 660. Chiedete a Angelo Moratti la stessa cosa: Mazzola e Facchetti dal vivaio,
anche Suarez ammortizzato in sette anni, ma Nielsen (tanto per fare un nome) deficit in tutti i sensi.
Cardin, il Padova, non c’entra con questi nomi, a certe quote, ma i problemi sono sono gli stessi, i
mezzi finanziari no.

— L’Appiani 20.000 posti li fa tranquillo, non vi bastano gli incassi?
Cardin fa una smorfia di raccapriccio: « Padova è la città più città del Veneto, è una città vera, ha
avuto la squadra in Serie A per sette anni, ma non ha ‘mentalità’. Parliamoci chiaro: da noi gli
incassi non risolvono nulla! Verona fa 340, Modena 230, Mantova 200: lo sa cosa faceva il Padova
degli anni d’oro, quando era al terzo posto in A? Tanto per capirci 225 milioni all’anno! Gli altri li
fanno anche senza anni d’oro ».

A Cardin, su questo punto, dà perfettamente ragione Franco Manni, ex segretario del Padova ora
all’Inter. Ieri a Milano ci diceva: « Le abbiamo tentate tutte: non c’è niente da fare, che tu vada bene
o male, alla fine, a Padova, erano i soliti 130-140 milioni d’incasso ». Milioni che sono tutt’altro che
netti, perchè, detratto tutto (Stato ecc. ecc.), puoi calcolare vero « incasso » soltanto il 50 per cento:
se fai 140 sono 70 nelle casse della Società.

Cardin ci fa il bilancio del Padova, mette tutto, proprio tutto, anche il costo del calzolaio, del
sapone, degli slip: « Lei faccia tutti i conti possibili e immaginabili, paghi al minimo il custode,
l’impiegato, i medici; dia i premi federali, tenga gli stipendi bassi: la gestione è quella che è, non si
scappa, ogni anno il Padova costa 170 milioni di gestione! Tolga gli incassi: ogni anno c’è un
passivo matematico di 100 milioni. Questa è la verità ». (Ci sembrava si sentire le parole di Manni).
— Ma allora, se c’è questa matematica mazzata annuale, perchè andate al Gallia a cercare vecchi

dromedari invece di girare per i vivai o di puntare di più sul vostro?

« Il Lanerossi ha un contributo…industriale di 70 milioni all’anno, cioè 700 in dieci anni, ci
basterebbe quasi! Guardi, quando prendemmo in mano la Società, dopo Pollazzi, c’erano 250
milioni di debiti; facemmo uno sforzo, una campagna acquisti che ci costò 200 milioni; con il solito
100 di gestione ci trovammo alla fine becchi e bastonati perchè oltre a trovarci con mezzo miliardo
di deficit non riuscimmo ad andare in A e ci accusarono di non aver voluto andarci!!!».

— Allora avete detto basta e vi siete disinteressati della A?
« Due anni fa siamo giunti ad un bivio: o tenere in piedi la forzatura o tentare di salvarci
riducendo il deficit. Abbiamo scelto la seconda perchè era inammissibile tirare avanti: andavamo
dritti al miliardo! I programmi nostri si bloccarono proprio lì ».

— Ma c’era opposizione, non tutti erano d’accordo.
« Caro amico, eravamo in cinque dirigenti, due volevano continuare a forzare per andare in A.
D’accordo abbiamo detto Lovato ed io: fate quel programma, ma realizzatelo voi. Invece volevano
che fossimo noi gli esecutori: eh no, signori! Troppo comodo! Così abbiamo fatto il programma
inverso: ci siamo salvati per miracolo e abbiamo scalato il deficit ».

— Ma i miracoli si possono ripetere? Questo è il punto, signor Cardin.
« Questa estate abbiamo ripetuto lo stesso programma al risparmio vendendo i Morelli,
Quintavalle, Rimbano ecc., ma, non ci sembrava di star peggio dell’anno scorso. E Rosa appoggiò
onestamente la nostra politica ».

— Una politica che, alla resa dei conti, sfiora quasi la… C!
« Tutti parlano, parlano, ma nessuno ci dà una mano, questa è la verità. E qualcuno una mano ce
la darebbe ma per spingerci nella fossa! E non faccio nomi. In banca, per le fideiussioni, non
conoscono nemmeno l’indirizzo dell’AC Padova; conoscono solo nomi e cognomi, Lovato e
Cardin; bisogna firmare assegni, assegni veri, non bubbole ».

— Un giorno tentaste la politica di potenza, da due anni quella del risanamento sul filo del

rasoio. E adesso? Se non vi salvate?

« Il programma è già stato fatto e prevede anche la C! Cioè varrà in ogni caso, sia che ci
salviamo come credo e spero, sia che retrocediamo. Programma: grandi cifre no, 70-80 milioni per
prendere 5 giocatori dalla C e una decina dalle serie inferiori. Poi curare di più il vivaio nostro. E’
una svolta, anche se, cifre alla mano non c’è da stare allegri: alla fine del campionato ’69-70, tra i
200 milioni di ora, i soliti 100 a fine gestione e gli per gli acquisti, saremo sempre sui 400 milioni di
deficit! ».

— Ma perchè, dal momento che gira e rigira il deficit non è sparito, ma la squadra puzza di C,

questo programma-svolta non lo avete applicato prima, gli anni scorsi?

Cardin alza la tesa del cappello: « il senno di poi… », sussurra e ci saluta. Ha l’aria dell’imputato,
ma non del colpevole. Il problema economico del Padova è il problema di molte società che non
hanno mecenati a fondo perduto, né contributi, né abbinamenti pubblicitari. Ma che non hanno
saputo anche evitare il trauma, il pericolo di bancarotta, impostando già da anni una nuova politica
« provinciale », perché il Padova, anche se ha avuto Rocco Nereo, è provincia.

Gli errori sono stati: 1) aver mantenuto un equivoco di fondo, tra possibilità finanziarie e
operazione Serie A; 2) aver ritardato la « svolta », come la chiama Cardin, nonostante il campanello
d’allarme di una salvezza « miracolosa », fino ad essere costretti a fare un programma che prevede
la C.

Levato-Cardin hanno l’alibi ambientale di una città che non ha smesso di respirare il mito del

« grande Padova ». Ci sarà chi li butterebbe fuori dai piedi, ma c’è anche tra gli « oppositori» chi
offre fair play e comprensione: « Sono cambiati i tempi — ci ha detto il ragionier Silvio Zanatelli
che fu braccio destro di Pollazzi prima del cambio della guardia — ma i problemi di una Società di
provincia sono sempre ardui. Sarebbe facile e gratuito criticare su ciò che si poteva e si doveva fare
di meglio. Me le realtà è questa: i dirigenti sono uomini e sbagliano, però rischiano di persona,
finanziariamente e per il resto, si sacrificano. Ed errori ne sono stati compiuti da tutti in tutti i tempi.
Discutiamone invece, e diamo una mano, ognuno secondo le proprie possibilità. Al dirigente dicono
« ma chi te l’ha fatto fare? » Con queste battute non si risolve nulla.

Okay, il discorso vale soprattutto per chi sta ad aspettare che passi il cadavere del tecnico. Per il
pubblico che non c’è, per i giocatori beat. E Rosa Humberto? Venti giorni a diede le dimissioni. E’
pronto a darle ancora. Perché? Cosa c’è sotto? Lo vedremo nella prossima puntata. L’inchiesta
infatti continua.