1969 novembre 9 Derby « nostalgico » per Suarez
1969 novembre 9 (Il Gazzettino)
Derby « nostalgico » per Suarez
Una squadra che vuol resistere al declino – Da Helenio a Foni a Heriberto
« Un derby molto importante perchè, perdendo, si rischia di rimanere molto tempo lontani dalla
lotta per lo scudetto ». L’ha detto Luis Suarez in una sobria intervista alla Gazzetta dello Sport. Qual
è la forza del Milan? gli è stato chiesto. « L’affiatamento, la calma, la solidità di squadra — ha
risposto Suarez — Il Milan gioca chiuso in difesa, sperando nell’abilità degli uomini di punta.
Quando la squadra gioca così è facile che pure la difesa faccia bella figura: come succedeva a noi
quando vincevamo tutto. Ora è diverso, non c’è più la compattezza di un tempo ».
Luis Suarez, classe 1935, gioca nell’Inter dal ’61. Fu Helenio Herrera a importarlo dal Barcellona
per 250 milioni. Suarez, più di ogni altro giocatore, ha funzionato da simbolo dell’« Inter di
Helenio». I lanci di 30-40 metri per Jair e Mazzola sono « storia » del football. Sulla regia di Suarez
fu costruita quasi una dottrina tattica, catenaccio e spettacolo, contropiede e gol. La rapidità
d’invenzione, il ritmo, la passionalità (spinta fino all’isteria). « Come succedeva a noi —spiega oggi
— quando vincevamo tutto. Ora è diverso, non c’è più la compattezza di un tempo ». Crepuscolare,
quasi il tono di un testamento. La nostalgia di « un’età dell’oro » perduta, di una stagione che non
potrà più riproporsi.
Suarez, a poche ore dal derby, assume la faccia patetica di un grande Club che odia la
mediocrità, il ruolo di partner. Riassume in sé le vibrazioni di un ambiente che proprio contro il
Milan ha paura, una paura ossessiva, di ritornare « piccolo », fuori del grande giro, che è un giro
spietato, dove contano soltanto lo scudetto, le Coppe, il titolo mondiale. Il calcio, come fatto
tecnico, come preparazione e medicina, come tattica e condizione mentale, lascia alla periferia
emotiva sottofondi, tradizione, tifo, arrivismo dei dirigenti, specchi del passato. Ma ci sono
momenti nei quali l’epicentro di una squadra si sposta: è proprio la « periferia » che allora si esalta e
vince i calcoli fatti alla lavagna, il meccanismo arido delle marcature l’equilibrio di un muscolo e i
residui di un ematoma. In certi momenti, e l’Inter, oggi, ne affronta uno di questi anche l’elegia di
Suarez vale un derby, lo identifica.
C’era una volta l’Inter, che costava 45 mila dollari per una partita amichevole. C’era Moratti che
regalava una « Mercedes pagoda » a Corso per una partita vinta. C’era Herrera che persino la
rigorosa Unione Sovietica invitava a Mosca per « spiegare i segreti dell’Inter ». C’era un general
manager, Italo Allodi, capace di avere al telefono in cinque minuti qualsiasi dirigente del calcio
internazionale. L’incasso di un anno poteva raggiungere i 2500 milioni. Era l’Inter per la quale
l’Italia si spezzò verticalmente in due; metà « per », metà « contro ». L’Inter prima discussa perchè
« vinceva ma non giocava », poi idolatrata come sintesi del tecnicismo-2000 applicato al foot-ball.
Per non patire il passato, come un’angustia pesante (orgoglio e denaro, premi favolosi, un fiume
di denaro con Moratti-Creso), per non restare schiacciati, Suarez e C., tutta la vecchia guardia euro-
mondiale, avrebbe dovuto finire lontana smembrata. Fuga impossibile nel professionismo. Suarez e
C. stanno ancora ad Appiano Gentile, dove ogni angolo ricorda qualcosa di « favoloso », come
Milanello per il Milan o come, un giorno, Campo Filadelfia per il « Grande Torino ». La decadenza
dell’Inter cominciò proprio con Helenio che ruppe il « giocattolo » per rifarlo, dopo una doppia
annichilente sconfitta, Lisbona e Mantova. Chiese tempo per smontare, rimettere insieme, incollare,
rifare. Ma oramai la stanchezza sfiorava anche il « presidentissimo », troppo sul set, troppo
appagato per non riscoprire il gusto legittimo del posto in tribuna con i figli accanto e le rabbie
cedute ad altri. Un’era chiudeva i battenti. Un’era discussa ma che, al di là delle frenesie, aveva
rilanciato lo sport più popolare, da qualche anno esangue.
Da Helenio a Foni, da Foni ad Heriberto. L’Inter euro-mondiale, si fa « ricordo ». I « superstiti »
hanno la fronte sempre più stempiata, e, ogni anno, rifanno la conta, sulle dita di una mano. Il
Cagliari, la nuova potenza, vergine, fresca, senza rughe, sta solo e sbandiera senza pudori le gambe
« più care del mondo », quelle di Riva, valutate al Gallia 600 milioni l’una. Se perde il derby — lo
dice Suarez — per « molto tempo » l’Inter rischia di stare lontana dallo scudetto. Lo «scudetto», una
parola fredda, brutta, dietro alla quale si nascondono le nostalgie e lo spirito di conservazione
dell’Inter di Luis Suarez, classe 1935. Il Milan è « mondiale » ed « europeo ». L’Inter non è più
nulla, per ora solo velleità. A San Siro, si giocherà pensando a questo. Un derby diverso, non un
risultato qualsiasi. Solo il pareggio, nella povertà tecnica, potrebbe allungare l’equivoco.