1973 febbraio 27 Albertosi dice a Spinosi: “Appena passi la metà campo non capisci più nulla”
1973 febbraio 27 – Albertosi dice a Spinosi: “Appena passi la
metà campo non capisci più nulla”
Il nostro è un meraviglioso Paese, di sogni e perenni equivoci. Tutti
sono concordi nel dire che la nazionale esprime un micragnoso
campionato. Se ottiene dei risultati, lo deve soprattutto ai trucchetti
tattici. Lo stesso catenaccio è confessione di inferiorità; vale come
difesa della pagnotta per chi si sente affamato e non vuole perdere
il morso. Sarebbe dunque coerente giustificare i nostri “assi a
mezzobusto” quando, strappato l’1 a 0 a Costantinopoli, fanno
grumo piuttosto che cavalcare la tigre fino al novantesimo.
Invece no. Lasciamo minareti e moschee urlando allo scandalo.
Ricadendo dunque nella finzione, come se la nazionale del ’73
fosse uno squadrone capace di spezzare le reni a chiunque, e
senza badare a spese, cioè ai gol.
La realtà è molto diversa. In attesa di una nuova pelle, diventa
obbligatorio stare con i piedi per terra, ancorati al concreto. Ho
trovato conferma di questa valutazione dal più tipico degli italiani in
campo a Istanbul, Mazzola, fisico più ricco di nervature che di
muscoli, gioco più calcolato che aggressivo.
Mentre il jet-set scendeva su Fiumicino, Sandrino confessava:
“Avresti dovuto essere nel nostro spogliatoio tra le 2 e le 2,30! Un
silenzio da matti, una tensione che non mi capitava di osservare
da un bel pezzo. Forse fu così prima della Corea, perché non li
conoscevamo, oppure contro Israele, in Messico, perché decideva
il passaggio ai quarti di finale. Ad un certo punto, Valcareggi si è
alzato e ci ha detto: “Vi vedo belli e pronti, su, andiamo fuori”.
Aveva capito che ancora un minuto lì dentro e saremmo andati in
crisi più d’uno”.
Al di là della vernice, dei titoloni, delle liti ai caffè, questo è quanto
ci passa il convento. E mi pare estremamente onesto che a
rilevarlo sia Mazzola, non l’ultimo arruolato della ghenga azzurra.
Se lo dice lui, gli dobbiamo proprio credere. La nazionale era
terrorizzata dalla Turchia. vedendo entrare il sinistro di Anastasi in
rete, i nostri giovani leoni si sono abbracciati come vitellini
scampati al macello. Il sottosviluppato nutre la retorica: se
vinciamo scomodiamo Pindaro; se perdiamo le nostre macchine
per scrivere neniamo peggio di prefiche. Anche per questo, lo
spogliatoio della nazionale nostrana è quasi sempre un potenziale
patibolo.
Qui nasce probabilmente anche l’avarizia di troppi giocatori. Gli
scompensi sono brutali. Furino e Mazzola possono perdere un
paio di chili ad Istanbul; Spinosi e Burgnich al massimo due etti.
Attaccanti che fanno i terzini, vedi Capello, ma terzini che non
sostengono mai gli attaccanti. Per cancellare questo scandalo, un
Ct dovrebbe selezionare i modelli tatticamente più espansivi del
campionato. Non i più fossilizzati o, detto ipocritamente, i più
specializzati.
Ieri Albertosi è stato in questo senso autore di una significativa
battuta. Rientrando per il secondo tempo, avevo notato infatti che il
portiere del Cagliari passava accanto a Spinosi e gli faceva dei
segni indicandogli la linea di metà campo. Stanotte ho chiesto ad
Albertosi che cosa stesse dicendo al terzino. Risposta: “Lo stavo
sfottendo: “Sei come Martiradonna, appena passi la metà campo
non capisci più nulla!” Infatti, Spinosi era venuto su una volta
soltanto e aveva subito perduto l’azione, con un tocco fasullo”.
Gli stessi giocatori intuiscono dunque la sperequazione, tra gente
che corre quanto deve e gente che s’accampa su pochi metri
quadrati per vivacchiare l’intera partita. Il risultato è due volte
negativo: il gioco all’italiana diventa troppo scontato perché
condotto da pochi giocatori; le mezz’ali non hanno il tempo di
rifinire visto che raramente i difensori offrono ossigeno dinamico.
Perciò, pur andando con nove probabilità su dieci a Monaco, l’Italia
ci arriverà dopo anni di match che non piacciono. In attesa di
utilizzare tutte le energie, l’estetica non ci appartiene. Esportiamo
infatti un calcio “alla turca”.