1973 giugno 15 I gol: tunnel di Anastasi a Moore sinistro di Capello
l’Inghilterra: non era mai accaduto
1973 giugno 15 – I gol: tunnel di Anastasi a Moore sinistro di
Capello (in fuori gioco)
L’Italia ha battuto
in
quarant’anni di rapporti diplomatici tra le due Federcalcio. E’ una
data memorabile: poiché i monumenti sono passati di moda, la
cerimonia sarà celebrata da
“Rischiatutto” attraverso una
immancabile domanda di Mike Bongiorno. Scherzi a parte, e
nonostante la perdurante simpatia arbitrale per il “giubileo”
nostrano, questo è un risultato importante. Il 2-0 al Brasile mi
aveva lasciato abbondantemente perplesso. Questo 2-0 no: una
vittoria lineare e sacrosanta.
Ci fosse stato il Gigi Riva di Roma nella maglia di questo Pulici,
tanto per non far nomi, l’Italia avrebbe tranquillamente restituito un
celebre 4-0 agli ex leoni di Elisabetta. Pulici ha finito la partita con
venti minuti di anticipo, scannato al piede da Hughes, provocatore
e scarpone. Ma Puliciclone, come lo battezza uno striscione dei
fedelissimi del Torino, non era mai riuscito ad innestare la marcia
da gol, nemmeno prima, a stinchi intatti.
Cominciare parlando di Riva, cioè di uno che non c’era in campo,
dà subito la misura di questo tipo di risultato. Non ricordo Zoff
chiamato a una vera parata. Ma, due a zero a parte, ricordo invece
un delizioso incrocio dei pali colpito da Rivera su punizione tagliata
d’interno destro, e almeno quattro solide palle-gol per l’Italia. Alla
fine, gli inglesi erano talmente groggy che i nostri denigrati stilisti si
sono perfino concessi il lusso di melinare gli avversari. A quel
punto, il “Welcome England” non era più un benvenuto ma uno
sfottente “prendi e porta a casa”.
Faceva un caldo bestiale, non tanto per i 30 gradi, quanto per il
tasso d’umidità. I giornalisti inglesi lo hanno definito intollerabile
per i loro giocatori, cercando di dare un taglio meteorologico alla
sconfitta. Il caldo mica può essere negato, ma basta a spiegare
soltanto una percentuale del match. Non a caso, l’amico Brian
Glandville dettava in tribuna: “Vittoria meritata”.
L’altro giorno Valcareggi aveva lasciato un messaggio tattico
paradossale: “Dobbiamo giocare contro gli inglesi esattamente
come contro i brasiliani”, come se tra le due patrie del football
mondiale non ci stesse di mezzo un oceano. Stasera, il Ct. mostra
di aver avuto incredibilmente ragione: nel senso che gli inglesi
hanno giocato quasi come i brasiliani!
Quando diciamo calcio all’inglese pensiamo a un tipo di gioco
battente, dagli schemi lunghi e dalla grande potenza atletica.
“Attento ai cross”, avevano per esempio raccomandato a Zoff.
Beh, non c’è stato riscontro a questa tradizione. L’Inghilterra ’72 è
tutta manovrata. Il passaggio più lungo non supera i dieci metri. I
cross delle ali non sono più frequenti che in una qualsiasi squadra
della nostra Italia orfana di ali pure. Non si vedono lanci profondi o
aperture “alla Bobby Charlton”: questi inglesi preferiscono il
triangolo, un gioco portato più che lanciato. Lo stesso Currie,
erede di Charlton, possiede un gran palleggio ma lo sfrutta in
dialoghi sempre molto serrati.
Torino ha visto dunque un’Inghilterra diversa. Anche l’Italia è
apparsa da ciò un po’ sbigottita, soprattutto nel primo tempo.
Aspettava di essere aggredita e si è invece impegolata in una
ragnatela fitta. Soltanto dopo una mezz’ora, l’Italia ha cominciato a
uscir fuori, sia pure su corridoi troppo spesso bui.
Scrivevo stamattina che la nazionale cercava una regia collettiva
nella fusione di Rivera e Mazzola. L’intenzione non è finita nel
cassetto dei sogni: anzi, è stato proprio questo dialogo la cosa
migliore e più futuribile di un afoso pomeriggio. Mazzola sembra
essersi lavato il cervello, uscito forse da un equivoco che lo teneva
in esilio quasi volontario all’ala destra. Mazzola non si è
formalizzato sui millimetri. Ha giocato a tutto campo, legato
ripetutamente con Rivera, servito a Pulici una palla-gol che
sembrava portare anzi la firma del suo eterno alter ego. Non
abbiamo visto un Rivera mezzala e un Mazzola furiere, ma due
veri costruttori di gioco, una coppia di mezzali. Il nerbo che non
possiedono per nascita glielo hanno servito Benetti, Burgnich, lo
stesso Capello e tutto il pacchetto piazzato davanti a Zoff.
I gol dell’Italia sono stati d’altra parte ancora “difficili”. Per l’1-0,
Pulici ha calciato goffo sul portiere che ha lasciato la presa: felino
per natura, Anastasi ha graffiato via il destro, sopra il portiere e tra
le gambe di Bobby Moore, sulla linea di porta! per il 2-0, Pulici ha
toccato a Capello: il suo sinistro ha rovesciato le dita di Shilton ma,
a prima vista, mi è sembrato che capello stesse chiaramente in
offside.
Se, un po’ come a Roma, l’Italia non è riuscita a chiudere con
nitore lo schema da gol, la ragione non va però cercata a
centrocampo ma nel sotto-rendimento degli attaccanti di ruolo. A
Roma, uscito Riva, Pulici e Chinaglia non emersero dalla
mediocrità; qui a Torino, senza Riva, Anastasi ha giocato tre volte
il
lancio sempre
meglio di Chinaglia ma non ha avuto nemmeno lui una spalla di
stoffa in Pulici.
Martellati dal pubblico, Mazzola e soprattutto Rivera si sentivano
urlare da una curva “Lancia Pulici”, dall’altra curva “La-n-cia
Anastasi”. Pur di accontentare il tifo, Rivera e Mazzola hanno più
di una volta sprecato azione per tentare corridoi astrusi verso i due
scattisti di Torino e Juve. Due scattisti che, ognuno con una
propria morfologia, aspettano
in stato di
agitazione, finte a destra e a sinistra, da ubriacare i difensori
avversari ma anche chi, come Rivera e Mazzola, dovevano
decidere in due secondi quale direzione dare al servizio.
Pulici poi gioca come se la maglia gli scottasse addosso, con
l’ossessione di dover far gol: già duro da sempre nel contatto con il
pallone, finisce così per aggiungere ulteriore rigidità. Non mi
sembra perciò casuale che, uscito lui ed entrato Causio, l’Italia sia
cresciuta di tono. In quel momento, l’attacco aveva cinque pesi
leggeri su cinque e quattro stilisti su cinque (Anastasi stilista non
è)! Nonostante tenesse in faccia i padri fondatori del calcio atletico,
l’Italia chiudeva il match con saggezza quasi antica, dimostrando
che i complessi d’inferiorità sono un tabù da cancellare.
Con Pulici scopriamo un problema che sembrava superato. Con
Rivera e Mazzola intuiamo una nuova frontiera. Ma se lasciassimo
nella pattumiera quell’antico tabù, questa partita sarebbe sul serio
memorabile. Da monumento, nella storia del nostro hobby
quotidiano.