1974 dicembre 12 La Juve passa senza barricate
1974 dicembre 12 – La Juve “passa” senza barricate
Ajax – Juve 2 – 1
Marcatori: 15’ Blankenburg, 71’ Damiani su rigore, 90’ G. Muehren.
La Juve ha perduto all’ultimo minuto ma passa ai quarti di finale di Coppa Uefa grazie ai gol segnati
in trasferta: gol che, a parità di reti (2 a 2 in totale), vale per il regolamento il doppio. L’Ajax del dopo
Cruyff è stato eliminato sul campo e in condizioni atmosferiche fatte apposta per i vichinghi. Stasera
ad Amsterdam faceva infatti un freddo boia, tirava un vento trasversale sul campo e, fino alle 6 del
pomeriggio, aveva nevicato. Su un campo fatto apposta per stroncare il ritmo, la Juve non ha sofferto
eccessivamente. L’Ajax aveva riposato domenica scorsa in campionato, la Juve aveva giocato un
faticoso derby: che abbia perso questo match all’ultimissimo istante dimostra di una condizione fisica
molto buona.
C’è stata subito una sorpresa nella formazione degli olandesi: mancava Hulshoff, che è un po’ il
padrone della loro area di rigore. Il barbuto gigante dell’Ajax, soprattutto quando gioca in casa, sa
difendere e anche attaccare: sui cross alti colpisce magistralmente di testa e possiede un gran destro.
L’Ajax ne ha dovuto fare all’ultimo momento a meno. Per rimediare in qualche maniera a questa
perduta “force de frappe”, ci ha pensato a sganciarsi il tedesco Blankenburg, un battitore libero che
di solito si distingue, non dico per la fissità del ruolo, che in Olanda non esiste, ma per una rigidità
superiore alle abitudini di Hulshoff.
Strano ma vero è stato proprio Blankenburg ad andare per primo in gol virgola dopo un quarto d’ora.
La Juve si stava difendendo, ma si stava difendendo bene. In 20’ Zoff non aveva dovuto parare che
un cross tranciante di Krol. E la Juve ha subito l’1 a 0 da fermo, nemmeno per ingenuità, ma più che
altro per fatalità. Il calcio di punizione, da una ventina di metri, leggermente sulla sinistra di Zoff, ha
infatti superato la barriera e picchiato sullo stinco di un difensore della Juve già piazzatissimo sulla
traiettoria, Zoff è stato tagliato fuori nettamente e preso in contropiede. Per Blankenburg è stato un
gioco da ragazzi toccare dentro di piatto destro, a porta vuota. Il rapido vantaggio dell’Ajax non sta
però a dimostrare una premeditata passività della Juve. Già nei primi minuti, il contropiede
bianconero avevo portato Altafini ad una conclusione di testa e Bettega a uno smarcamento molto
buono a 16 metri dal portiere.
Nonostante sia privo dei loro celeberrimi assi emigrati in Spagna e di Hulshoff, l’Ajax gioca secondo
schemi imparati a memoria. In questo senso, ci sono momenti di una bellezza tattica da fare impazzire.
In possesso di palla, si stringono tutti verso Zoff, con triangoli dettati di prima. Quando il pallone
passa alla Juve, fanno retromarcia sincrona, preparati come sono da fondisti. E quando i
centrocampisti della Juve hanno un attimo, ma dico soltanto un attimo di esitazione, scattano tutti in
avanti, che paiono un branco di lupi, per mettere in off-side le punte. Il loro non è insomma un calcio
mai improvvisato, ma la modulazione su un tema che fa parte ormai del loro costume predatorio.
La Juve, anzi Boniperti, è stato d’altra parte di parola. Aveva promesso che non avrebbe fatto le
barricate, alle quali è oltretutto negata date le caratteristiche di almeno nove giocatori su undici. La
squadra si è disposta in pratica con due punte, Altafini al centro e Damiani sulla destra. Bettega ha
tenuto una posizione di centravanti arretrato, come suole fare Anastasi. Il senso della posizione
Bettega l’ha sempre avuto, solo che le sue rifiniture per Damiani e Altafini sono state troppe volte
pressapochiste. Tra l’altro il vecchio Josè nato vicino a Rio de Janeiro è rimasto intirizzito per almeno
una mezz’ora e ha fatto una fatica bestiale a proporsi per i servizi che venivano dargli “out”.
Nonostante queste difficoltà a concludere la manovra, la Juve ha tenuto gioco sempre con maggiore
franchezza e autorità dopo l’1 a 0. Non ha mai sbracato in difesa tanto da rischiare il 2 a 0 che sarebbe
stata la mazzata finale, ma ha sempre più spostato il gioco in avanti, con una avanzata impercettibile.
Significativo il fatto che dopo l’1 a 0, gli olandesi abbiano perduto il controllo delle operazioni per
almeno una ventina di minuti. Significativo anche che il libero della Juve, Scirea, abbia imitato il suo
collega Blankenburg andando (era il 39’) a tentare personalmente l’1 a 1. Su cross bellissimo di
Causio, Dusbaba ha avuto troppa fretta di anticipare Altafini ed ha servito una palla-gol maestosa sul
dischetto del rigore a Scirea: da quella posizione, in quasi assoluta tranquillità, Scirea avrebbe potuto
far gol in almeno due o tre modi. Forse l’ansia del… troppo facile lo ha tradito, e il tocco se n’è uscito
alto! L’Ajax deve aver capito in questi ultimi minuti del primo tempo che la Juve non sarebbe stata il
materasso difensivo che forse si aspettava.
Lo stesso Geels, dipinto come l’unico vero goleador di ruolo di questo Ajax fine ‘74, andava
spessissimo nelle retrovie a cercarsi il pallone e a difendere. Anche quando perdeva, la Juve è stata
in sostanza sempre dignitosa. Su un ritmo mai molle, in condizioni ambientali che non erano di sicuro
fatte apposta per un brasiliano come Altafini e per i molti “uomini del sud” della Juve: da Longobucco
a Furino, da Causio a Cuccureddu, al tripolino Gentile!
Il peggior momento, anzi l’unico veramente tempestoso, la Juve lo ha scoperto nei primi minuti del
secondo tempo, quando l’Ajax ha dato un’accelerata dalle sue per tentar di chiudere in fretta il
risultato. In una decina di minuti, Zoff si è trovato in grande difficoltà: ha fermato Geels per i capelli
e ha subito un palo, alla propria destra, da Mulder. Il pallone, estremamente viscido, e il vento questa
volta contrario, hanno fatto oltretutto perdere un paio di volte presa al portierone di Mariano del
Friuli: i salvataggi, una volta di Furino a una spanna dal palo, sono stati da mezzo infarto.
Ma il forcing dell’Ajax non è durato a lungo e quanto forse lo stesso Boniperti teneva. Come nel
primo tempo, la Juve “è uscita fuori”, per usare le espressioni di Bernardini, e ha cominciato a far
gioco con nerbo ma senza sprecare. Ricordando lo sciagurato secondo tempo della Nazionale a
Rotterdam contro l’Olanda, balzava agli occhi soprattutto una differenza: allora, i nostri difensori
calciavano via alla disperata che sembravano tanti dopolavoristi; questa sera i terzini della Juve
disimpegnavano con grande “savoir faire”.
Il fondamentale gol in trasferta della Juve è arrivato su rigore, ma nessuno deve scordare che in fondo
anche l’Ajax era andato in vantaggio su un’azione da fermo, per calcio di punizione, fra l’altro storpiata
molto casualmente.
Il rigore non è stato regalato dall’ottimo arbitro francese. Su un contropiede, dopo che Altafini non
era riuscito a dribblare il portiere in uscita, il pallone era andato a Causio che, senza pensarci un
attimo, aveva tentato il pallonetto verso la porta ancora vuota. Un metro dentro l’area, un olandese ha
alzato il braccio e ha intercettato clamorosamente. Non c’erano dubbi sul rigore e non ne hanno avuti
nemmeno i giocatori su chi doveva batterlo: Damiani, che ormai è il rigorista della Juve. Damiani
aveva segnato con uno splendido gol di testa a Torino nell’andata, ha messo dentro con abilità il
rigore. Dagli undici metri sembra tutto facile, ma non in queste circostanze, quando tutta una Coppa,
quando il prestigio di una partita dipendono dal saper dominare i nervi. Damiani ha fatto una rincorsa
lenta ed è stato ancora più lento a battere in gol: ha aspettato che il portiere si sbilanciasse sulla destra
e l’ha infilato con un rasoterra quasi centrale, che sembrava non entrare mai in rete.
In questo momento, erano passati un’ora e 11 minuti di partita, la Juve passava praticamente il turno.
Per evitare l’eliminazione, l’Ajax avrebbe dovuto infatti segnare due gol in una ventina di minuti.
Troppi per una squadra che manovra sempre secondo buoni schemi, ma che possiede i suoi migliori
giocatori dalla metà campo in giù, non più dalla metà campo in su come ai tempi di Cruyff.
Nell’esatto momento in cui Damiani metteva dentro l’uno a uno, s’è scatenata una bufera dantesca sul
campo. Scendeva acqua di straforo, il vento era sempre più forte, il freddo pure. L’Ajax è sembrato
smarrito, La Juve ha sentito che il match era ormai deciso.
Ha amministrato il gioco, mandando fra l’altro Cuccureddu al posto di Damiani, un po’ distrutto dalle
decine di scatti su un fondo difficile. Che l’Ajax sia una squadra di rango lo dimostra il fatto che,
nonostante la situazione ormai segnata, non ha rinunciato al gioco e ha cercato almeno la vittoria di
prestigio. Una vittoria che è arrivata con una sassata tremenda di Gerry Muehren, una ventina di metri
a mezza altezza alla sinistra di Zoff. In quella stessa porta.
Il passaggio ai quarti di finale di Coppa Uefa non è servito tanto alla presunta rivincita sull’Ajax, che
aveva battuto la Juve nella finale di Coppa Campioni a Belgrado: troppe cose sono cambiate da quella
finale, troppi giocatori, perché si possano fare probanti confronti. Piuttosto, questo passaggio di
Coppa vale per la Juve e vale anche, o almeno dovrebbe valere, per il calcio italiano in generale. La
Juve, infatti, ha interrotto quel senso di impotenza che da troppo tempo sembra paralizzare gli italiani
quando vengono a contatto con il calcio olandese. Non è affatto casuale che questa specie di
“liberazione” venga da una squadra che, più di ogni altra in Italia, ha cercato questa estate di disfarsi
delle schematizzazioni tattiche, della fossilizzazione dei ruoli, del tabù difensivo. Certo, per ottenere
questo risultato, la Juve ha anche subito, si è anche stretta per dei momenti tutta addosso a Zoff. Ma
l’ha sempre fatto tentando di giocare football, football difensivo, come premessa per uscire fuori. Lo
stesso Scirea, costantemente davanti ai terzini nel secondo tempo, è stato il simbolo di questo tentativo
di rinnovare il futuro. Anche una coppetta Uefa può dunque finalmente servire e servire molto.