1974 marzo 11 Lanerossi fantastico Milan penoso

1974 marzo 11 – Lanerossi fantastico Milan penoso

Vicenza-Milan 2-1
Marcatori: 24’ Faloppa (V)
Note – Giornata tipica di fine inverno, pallido sole; terreno buono. Perego abbandona in apertura di
ripresa per contusione al ginocchio destro. Turone fuori per tendinite. Ammoniti: Macchi, Sormani e
Anquilletti. Angoli: 13-5 per il Milan. Circa quarantamila spettatori, di cui 23.762 paganti per un
incasso di lire 57.935.100.
controllo antidoping per Bigon, Chiarugi, Zignoni, Berni, Damiani e Sormani.

Milano, 10 marzo
Lanerossi fantastico! non perché abbia vinto, ma per come ha giocato. Ha vinto in gol, in palle-gol,
e, incredibile ma vero, persino come possesso d’azione. Sia pure con la morte nel cuore, il pubblico
di San Siro si è dovuto alla fine rassegnare all’applauso. E Gianni Brera un amico che ne capisce, ha
scritto sul taccuino: “Il miglior football visto quest’anno a San Siro”. L’ho ringraziato: a nome di
Puricelli beninteso.
Il vecchio Ettore, simpatico uruguagio che soltanto i biliosi non riescono a “capire”, ha dimostrato a
Farina che il “suo” Lanerossi è ben preparato atleticamente e che la panchina non soffre ancora di
arteriosclerosi come invece vorrebbero i “troppi tecnici in tribuna”.
Puricelli è andato infatti a trovare il Milan come si va ad un appuntamento galante: ottimista e con il
fiore all’occhiello. Non insomma con formazione piagnucolante ma con undici uomini usciti tutti
dalla sua intuizione. Non è la prima volta che Puricelli sbanca a San Siro dimostrando che, alla
lunga, la sua fantasia di sudamericano non è virtù di seconda mano.
Contro il Milan, Puricelli aveva infatti cambiato quasi tutto. Non più Perego libero (lo era da 5
partite) ma Ferrante, il “gigante buono” come lo chiama Puri. Non più il fringuello Spegiorin ma il
nipote di Chiarugi, Macchi, coraggioso bisonte d’area che soprattutto quando incontra di testa, mi
ricorda Facchin.
Nonostante gli sfracelli ed i “numeri” eseguiti a metà settimana contro gli austriaci di Bregenz,
Puricelli non ha ceduto al richiamo di Vendrame (tanto esotico che, in tribuna, molti colleghi
chiedevano: ma come mai non gioca?). E l’ha messo in panchina, assieme a Fontana, tirato fuori
squadra perché giudicato inadatto a marcare Rivera. Puricelli ha voluto Perego mezzala, su Rivera.
E Perego ha detto sì, pur portandosi il braccio destro a mezz’asta, con il mignolo rotto in due è
soltanto una fasciatura di garza e cerotti a proteggere le ultime due dita della mano. Confesso che,
stamattina, ero perplesso, mi sembrava un gran rischio: handicappato e scalciato un paio di volte,
Perego e resistito in campo 50 minuti, ma bisogna ammettere che, per quei 50 minuti, ha dato
ragione a Puricelli il cui ragionamento era stato questo. “Né Fontana né Perego sono gran marcatori,
ma Perego è più tecnico e sa fare gioco più rapidamente”. Dal match Rivera è uscito battuto,
impacciato, le movenze rallentate di un’ameba.
Sto parlando da un po’ della formazione del Lanerossi, perché la vittoria è nata prima a tavolino e
poi a San Siro, dove il Lanerossi non ha vinto secondo stile provinciale, cioè bulloni al vento e
contropiede da poareti, ma usando schemi migliori, più sprint, più forza nel tackle. Pensate, tanto
per dare un dettaglio, che il Lanerossi ha tenuto in mano la partita persino nei primi venti minuti, i
minuti che, quasi tradizionalmente, appartengono ai “padroni” di San Siro, in questo caso il Milan.
Un Milan misteriosamente ritornato nelle scorse settimane in odor di scudetto. Dico
misteriosamente perché ho visto invece una squadra penosa, sbrindellata come certi scugnizzi
napoletani ma non altrettanto viva, furba, opportunista.
Personalmente non credo a gli amuleti, gli spiriti, agli oroscopi, ai gatti neri ed ai cerini da spegnere
sulla terza sigaretta: ma credo ai “segni” del football, a quegli episodi che raramente restano tali e
che, minuto dietro minuto, rivelano piuttosto significato del match. Il “segno” di Milan-Lanerossi è
calato in campo dopo sei minuti appena, quando l’arbitro ha detto giustamente rigore per una
trattenuta (non vistosa ma netta) di Longoni su Bergamaschi.

In porta del Lanerossi mica c’era Bardin, a letto con la febbre alta. Ci stava sul faro, dinoccolato, gli
occhi felini, la carnagione di mulatto ed i ricci di tunisino. Sul dischetto è andato Rivera, con l’aria
distaccata di chi sorseggia un digestivo. Non ha fintato. È andato dritto, toccando d’interno destro,
rasoterra, non forte. Sulfaro ha tenuto i tacchi sulla linea allungandosi verso destra: ha intercettato a
due mani e quasi quasi riusciva a bloccare! Rivera non poteva allargare le braccia visto che l’errore
era… suo: abbassato il capo, contrito.
Da quel momento, è andato in programmazione il Lanerossi. Rivera ha fatto pure il terzino ma non
bastava più perché questi pazzoidi di provincia andavano giù verso Vecchi come se la porta del
Milan fosse l’albero della cuccagna. Nelle sagre di paese, unto e sdrucciolo ma alla fine possibile da
scalare. E in cima, è arrivato dopo 25 minuti di collettiva arrampicata, Faloppa di Oderzo, biondo,
mancino dalla nascita, una faccia quasi sconosciuta al sorriso. Angelo superbenedetto, Sormani ha
scaraventato un calcio di punizione in area; Sabbadini ha rimesso corto: Faloppa ha stoppato,
affittato Benetti (che, quando beve una finta è un tronco che s’abbatte), e ha limitato il suo gran
sinistro, con il collo del piede ben curvo, per un tiro teso, veloce, sul palo sinistro di Vecchi, troppo
corto ahimè per allungare le dita.
Il Lanerossi vince uno a zero. Beh, dite voi, adesso il Milan avrà tentato eccetera eccetera. Macché!
il Milan ha quasi difeso l’1-0. Non è una battuta, ma si è visto proprio allora perché Nereo Rocco,
più pragmatista di Confucio, se ne sia andato a Trieste. “Adesso – dicevano a Milano – il Milan
rischia di vincere lo scudetto proprio senza lui, senza Rocco”.
E Nereo tranquillo a Trieste, con i nipoti, le gite in Istria, il Pinot e lunghi pisoli fino alle 17 di ogni
pomeriggio. Rocco aveva capito il Milan ovviamente più di noi: oggi lo sappiamo che il “paron”
avrà sbagliato nel passato, ma non ad anticipare la realtà.
Con un piede zeppo di novocaina (una contusione sulla quale Volpato ha pizzicato, tanto per
gradire, dopo una ventina di secondi…), Chiarugi rantolava su ogni pallone, poveraccio, faceva
persino tenerezza. Bigon non è più non dico parente ma nemmeno a fine dell’anguilla di un tempo:
il pubblico l’ha poi preso di traverso e, al minimo errore, lo spaventa con bordate di “fuori! fuori!”.
Quando a Benetti, ha sterrato un paio di volte il prato: a vederlo così imbrocchito e scocciato non si
riesce proprio a capire come possa conservare il ruolo di nazionale, nemmeno come vassallo di
Rivera, smunto pure lui quanto un San Luigi Gonzaga.
Contro un Milan così, il Lanerossi difendeva robusto, disimpegnava con Bernardis, appoggiava con
Longoni è lo stesso Volpato, tentava raids da eresia tattica (persino con lo stopper Berni!) e trovava
sempre Sormani a tenere gioco, come chioccia e i suoi pulcini. Sormani stoppava, piantava i bulloni
a terra, dimenava le reni, finendo quasi sempre con l’inciucchire Maldera: con estrema bravura,
Sormani ha conquistato almeno quindici calci di punizione a favore. La sua ammoina serviva a
lanciare sullo scatto un Damiani eccezionale anche in difesa o, in elevazione, Macchi. Lo schema
funzionava tanto perfettamente che, nel secondo tempo, il Lanerossi ha sfiorato quattro volte, e
nettamente, il 2-0. Una volta con Turone sostituitosi in porta, di testa, a Vecchi.
Il Milan ha pareggiato dopo un’ora a tre minuti di partita soltanto perché, su corner, Sulfaro ha
commesso l’unico errore di un pomeriggio perfetto: non è infatti uscito sulla parabola di Chiarugi, e
Sabadini ha potuto schiacciare in rete, dall’alto verso il basso, nella porta vuota.
Che l’1-1 non fosse però gioco ma caso, l’ha dimostrato proprio il Lanerossi: subito dopo. Invece di
rannicchiarsi a tremare nel cantuccio, la squadra è ripartita per vincere, roba da matti! Sormani da a
Damiani, sotto la tribuna, a metacampo.
La più vera ala d’Italia sbrodola lo stop ma parte subito in scatto, come un fendente, dall’esterno
verso il centro, tra Turone-Biasiolo e Maldera. Arrivando da sinistra a 17 metri dal limite-area,
Damiani batte il destro che ha e che troppo raramente usa: è un tiro con lo schiocco, che bacia il
palo, alla destra di Vecchi. Uno slalom da stringergli la mano a questo nostro Garrincha di
Lombardia ripudiato dall’Inter e adottato dal Veneto. Sul 2-1 ricordo un paio di simulazioni in area:
di Chiarugi e di Bigon. Quando una grande squadra come il Milan è costretta a fingere per segnare
significa proprio che, da oggi, potrai vincere soltanto perché “è stata grande”.

Lo dico con tristezza: tristezza sulla quale si posa il 2-1 del Lanerossi. La primavera è già arrivata:
comunque vada a finire, grazie vecchio Ettore Puricelli di Montevideo.