1974 marzo 18 Giù dal paradiso
1974 marzo 18 – Giù dal paradiso
Inter – Lazio 3 – 1
Marcatori: 5’ Fedele (I), 33’ Oriali (I), 50’ Garlaschelli (L), 69’ Mariani (I)
Note: giornata di primavera inoltrata, sole caldo; terreno duro, Mariani esce per distorsione alla
caviglia sinistra. Botta anche a Scala che al rietro negli spogliatoi si accorge di essere ferito ad un
piede. Angoli 4 a 4. Circa 75.000 spettatori di cui 53.407 paganti, per un incasso di 190.506.500 lire.
Controllo antidoping per Fedele, Bertini, Mazzola, Re Cecconi, Inselvini e Facco.
Milano 17 marzo
Il migliore in campo è stato Pulici, portiere della Lazio. Questo spilungone ha dato l’impressione di
aver un fatto personale con Boninsegna. Il centravanti dell’Inter, aveva la faccia cupa e tempestosa
di un Marlon Brando edizione “fronte del porto”: in tribuna, con un primaverile gabardine, era seduto
Valcareggi e, dunque, verso lui stava rivolto un occhio, almeno uno, di Boninsegna. Ma non c’è stato
verso: Pulici ha inventato contorsioni da circo, togliendo a Boninsegna quattro, dico quattro! gol fatti.
Il voto per il portiere della Lazio è 10 con questa premessa, e dopo un 3 a 1, potrei anche firmare e
smetterla di scrivere.
L’Inter non ha vinto: ha dominato. La Lazio è abituata a partire in accelerazione, per una ventina di
minuti: coglie il risultato e lo difende in contropiede. A San Siro, questa operazione non l’ha potuta
nemmeno tentare, perché l’Inter ci ha messo 5 minuti esatti ad andare in gol. Nel giro di una
mezz’oretta era 2 a 0. La Lazio ha fatto 2 a 1 sull’unica autentica palla-gol costruita in 90 minuti. Ma,
alla fine, è arrivato Sandrino Mazzola, “un tocco di classe in più”, aveva detto ieri Enea Masiero; e il
match ha trovato la conclusione più razionale, un risultato che non sorprende.
Tra Inter e Lazio sono corse due spanne di differenza: come se l’Inter fosse la “grande Inter” d’altri
giorni e come se la Lazio fosse appena sbucata fuori dalla serie B. dopo l’uragano di interviste, le
profezie di Lenzini e colossali pompaggi, la Lazio è sembrata un po’ la rana di Esopo: prima gonfiata,
poi sventrata.
Ieri sera, e tanto per tenere fede al suo litigioso temperamento, la Lazio aveva sfiorato la rissa per
decidere la formazione: Chinaglia chiedeva il fantasioso D’Amico come spalla; Wilson pretendeva
Inselvini, centrocampista da mulattiere, buono per coprire, cioè per pareggiare. Il clima nevrotico è
continuato a San Siro.
Quelli della Lazio possono ancora vincere lo scudetto: di sicuro però non l’hanno ancora vinto.
Eppure, paiono tanti padreterni, tutti campioni del mondo. Nonostante schemi teoricamente
“collettivi”, la Lazio è una parrocchia di individualisti nati. Se Nanni sbaglia un tocco, Wilson lo
spedisce subito a quel paese. Se non gli arriva un cross disegnato da Raffaello, Chinaglia si
infastidisce come certe pruriginose soprano incapaci di reggere gli esigenti loggioni. Chinaglia è
arrivato al punto di rifiutare strette di mano (a Bertini) e di buttare in out il pallone con cui riprendeva
la partita dopo il 3 a 1. Il centravanti ha ottenuto così un unico risultato: farsi inseguire, ad ogni
pallone giocato, dagli ululati del pubblico, come certe raffiche di vento nelle gole appenniniche.
La Lazio non ha fatto gioco ma, soprattutto, non ha “potuto” farlo. In questo, sono perfettamente
d’accordo con Valcareggi, visto in tribuna centrale durante l’intervallo. Il Ct era stupito dell’Inter:
“fortissima” ha detto e, sia pure involontariamente, si è fatto scappare un nome: “Bertini” uno dei
suoi bistrattati “messicani”.
Come tutte le squadre di scarsa fantasia, e invece tatticamente schematiche, la Lazio ha sofferto
tremendamente le marcature dell’Inter. Di molto buon senso ed ex-mediano tatticamente sensibile,
Masier ha pensato prima di tutto al “cervello” altrui, cioè a Frustalupi. Gli ha dedicato Oriali: e Oriali
non l’ha mollato un momento, come si può fare con un Netzer. Quando in possesso di azione,
Frustalupi non ha perciò potuto far altro che stoppare, fermarsi, alzare la testa, fare surplace e toccare
lateralmente: la manovra della Lazio è affogata in una paralizzante lentezza.
Tutto gioco telefonatissimo, sbadigliante, anche perché i due podisti laterali, Nanni e Re Cecconi,
non erano trattati meglio: Bedin per Re Cecconi e soprattutto Bertini per Nanni erano zavorre da
fermare un bufalo. Nanni è finito tanto ciuco, che Maestrelli l’ha abbandonato nello spogliatoio,
sostituendolo dopo cinquantacinque minuti con D’Amico, mentre Re Cecconi, sotto la biondissima
Zazzera portava guance colme di rossore, più di certe timide protagoniste di Liala. Longobardo
stanchissimo, Re Cecconi è raramente riuscito a raccogliere sul corridoio buono la spenta diagonale
di Frustalupi.
Se è stata insomma una Lazio al 50 per cento, bisogna tener sacrosanto conto di “questa” Inter. Un
Inter che ha espresso valori individuali assai alti. Esemplare in questo senso l’antitesi tra Facchetti e
Chinaglia. La scorsa estate, Helenio Herrera aveva detto: “Prima o poi farò di Facchetti uno stopper
per abituarlo poi a fare il libero”. Masiero ha dato retta al Mago e ha timbrato Chinaglia con Facchetti.
Il centravanti si è fatto notare per tre cose: le scarpette a strisce rossi e i raptus di chi rimugina fra sé
sfracelli soltanto platonici. Per il resto, zero. Boninsegna ha inventato quattro palle-gol che con un
portiere “normale”, sarebbero stati quattro gol; Chinaglia zero, nemmeno una.
Fosse riducibile a persona, l’Inter sarebbe da sberle in faccia. Sì, perché è grottesco che in un
campionato dai valori tanto sparpagliati l’Inter sia sta sera a cinque punti da “questa” Lazio.
L’Inter possiede il capocannoniere, tre “nazionali” stabili, buona riserve, podisti in soprannumero, un
sacco di varianti: allora, che cosa le mancherebbe se non fosse a volte scocciata, a volte scioperante,
a volte lunatica, a volte interessata, a volte frantumata in conventicole da Basso Impero? Minimo
minimo, dovrebbe essere sempre zona-scudetto: e starci, magari perderlo, ma starci sempre fino agli
ultimi novanta minuti.
Contro la Lazio, un’Inter senza camorre e con un Mazzola con ottantamila sguardi pronti a fucilarlo,
ha vinto facilmente. Tre gol fatti e otto palle-gol lineari: il suo portiere, Vieri, ha parato una volta
soltanto. Non solo: proprio l’Inter ha messo in crisi la reputazione di Wilson, neo-azzurro molto
bisognoso di lavacri di umiltà. Wilson ha perso in elevazione con Bedin! Infilato di scatto da
Facchetti, ha inseguito con movenze da pinguino: e, in area, ha lasciato a Oriali il tocco del 2 a 0.
Raccontare questa partita non è possibile perché non è mai stata un racconto, con una trama da
incuriosire. No, più che altro un monologo. La Lazio ha sempre sofferto l’iniziativa altrui. Quando
ha sperato, con il 2 a 1 “all’ungherese” di Garlaschelli, non ha retto dialogo per più di un quarto d’ora.
In un momento in cui il match si stava caramellando a centrocampo. Sandrino è partito dritto in slalom
da metà campo, e con quelle gambette secche di stambecco e la fronte alta di chi può correre
guardando. Il gol di Mariani è “suo”, scattato, inventato e rifinito: pittore che allunga una pennellata
sulla tela e il quadro esiste già.
Valcareggi, in quel momento, non stava più a San Siro. Si sentiva già a Monaco, con la tuta della
patria azzurra: “Se Mazzola e Rivera mi servissero due azioni così a testa, per partita…”. Il fischio
dell’arbitro l’ha svegliato, quando il vecchio Ct stava sognando. Inter – Lazio è servita soprattutto
alla…Juve, ma anche a lui, Ferruccio nostro.