1975 luglio 18 Perdere da signore
1975 luglio 18 – Perdere da signore
L’epica non è morta. Basta raccontare il Tour de France e siamo
tutti un po’ Omero. Basta narrare uomini e cose di questa corsa
perché il nostro diventi mestiere di poeti epici, mestiere che il
calcio ci nega disossato com’è dai morsi di troppe lire e di tanta
grettezza.
Ma l’eroe non porta la faccia di Bernard Thevenet: l’eroe resta
Eddy Merckx che, se un giorno irritava per invulnerabilità da
Achille, oggi commuove per sofferenza da Ettore. Anzi, mai come
in questo Tour corso a trent’anni l’asso belga ha lasciato tutta la
sua carta d’identità.
Sulle Alpi, nel giro di quattro chilometri, Merckx è andato in crisi e
ha perso il Tour. Le gambe gli s’impiombarono dopo una discesa
“a tomba aperta” come la chiamavano i francesi, discese a
novanta all’ora tra scarpate e roccia, dove lo spazio tra coraggio e
incoscienza resta misteriosa terra di nessuno. Quel giorno Eddy
perse il Tour nell’esatto momento in cui, come scrisse Le Figaro,
“tutti ritenevano che lo stesse definitivamente vincendo”.
Perdere è una certezza della vita. Saper perdere è una virtù.
Anche per la sconfitta Merckx ha con naturalezza scelto la sua
maniera, essere leader, primo, davanti a tutti, padrone, e proprio
allora, in quell’atteggiamento di supremazia, farsi cogliere da quel
velo che ti passa sugli occhi e ti entra nei muscoli a frenarti.
La crisi di Merckx non è mai crisi di retrovia. Mai che lo si
sorprenda a bighellonare indietro, mai che cerchi riparo dal vento
in mezzo al gruppo. Merckx deve soffrire di claustrofobia e di
agorafobia: ha l’orrore tanto dei luoghi chiusi quanto degli spazi
gremiti di gente. Teme il gregge, la folla, il gruppo; sia da vincitore
che da battuto ha bisogno di sentirsi solo nel momento che decide.
Le sue crisi non sono rinuncia di atleta normale, ma impotenza di
superman.
Il Merckx del Tour 1975 si porta dietro il pugno al fegato scagliatoli
addosso da un teppista; una crisi da svuotarti il cervello, una
caduta i cui effetti Mario Fossati ha minuziosamente descritto:
“Con il volto enfiato, con quel dolore addosso che lavora come un
tarlo (i denti hanno perso sensibilità, il sinus è perforato, il pericolo
dell’infezione può essere combattuto soltanto con applicazioni di
aerosol), Merckx non può nutrirsi come vorrebbe. Ieri ha potuto
inghiottire carne tritata al limone, con un contorno leggermente
nauseante di spaghetti scotti e un frullato di frutta”.
Abituato da molti anni a vivere da primo, Eddy sa con uguale
dignità essere secondo. Avrebbe mille alibi per tornarsene a
Bruxelles, avrebbe potuto già farlo da un paio di giorni. Ma è qui,
nel continuare a guardare a Parigi nonostante sconfitta e pathos,
che il belga si fa ancora una volta diverso, protagonista negato al
gregariato.
Questo Merckx malandato e orgoglioso, battuto ma non umiliato, è
Zanna Bianca appena uscito dalle zampe dell’orso. Questo Merckx
piegato su ogni pedalata e ciononostante sempre attento a
strappare qualche inutile secondo a “Nanard” Thevenet, non è il
corridore che ha ucciso il ciclismo degli anni ’60-’70 ma è l’uomo
della provvidenza di uno sport che, non fosse esistito Merckx,
avrebbe sbagliato tutto finendo con il credere che il tetto dei valori
era un buon gradino più sotto, almeno una spanna. Senza Merckx,
avremmo avuto molti grandi ma nessuno grandissimo.
Il titolo di questo articolo doveva essere “perdere da campione”: su
consiglio dell’amico Cibotto,
il
“campione” è diventato “signore”. Di questo infatti si tratta alla fine
di tutto: la signorilità, il rispetto del pubblico, l’onorare il proprio
ruolo e farlo perché prima del campione arriva sempre l’uomo e
proprio
lo sport si solleva
dall’arcipelago di banalità e meschinità dei giorni nostri.
Anche imbottito di calmanti per riuscire a concludere un Tour,
Eddy Merckx è una speranza.
incontrando personaggi così
letterato che ama
lo sport,