1976 aprile 1 Dai provocatori ai ragazzini la violenza assume reclute sempre più inquinanti
1976 aprile 1 – Dai provocatori ai ragazzini la violenza assume reclute sempre più inquinanti
La foto che pubblichiamo è stata scattata recentemente a Monaco dopo una partita del Bayern:
idranti, scudi, manganelli, caschi, botte da orbi, torno detraggo ritenuto anti bavarese. La violenza
non è genere di largo consumo soltanto in Italia ma la constatazione non consente alcun tipo nè di
consolazione nè di alibi soprattutto perché da noi l’isteria degli stadi appare nient’altro che il
terminal naturale di un processo degenerativo nel rapporto tra il calcio e il suo pubblico.
Lasciamo pur perdere vicino episodi di guerriglia sportiva e limitiamo l’osservazione al derby Juve-
Torino di domenica scorsa. Ha non senza sollievo scritto” La Stampa:” non si sono verificati grossi
incidenti: è già un motivo di conforto dopo i timori generali della vigilia e quelli più precisi della
polizia che domenica mattina aveva notato volti di provocatori di professione nei caffè vicini allo
stadio”.
Siamo cioè costretti a non guardar tanto per il sottile e a considerarci dei fortunati se i “provocatori
di professione” se ne sono una volta tanto rimasti attorno al biliardo. Fatti gravi e squallidi ma non
tali da costituire un immediato pericolo di massa vengono dunque pressochè depenalizzati nella
coscienza popolare tanto da spostare sempre più avanti il limite di assuefazione. La violenza è un pò
come la droga: in attesa dei drammatici rigetti, ogni giorno serve a ridurre la resistenza del soggetto
e ad aumentarne la vulnerabilità.
Fatti gravi e squallidi non sono infatti mancati nemmeno a Torino. Grave è la sparatoria con i
lanciarazzi tanto che la polvere pirica nell’occhio del portiere Castellini diventa un esito persino
moderato. squallido è lo strappo con incendio della foto che, in corso Re Umberto, ricorda il punto
esatto in cui fu ucciso da un’auto Gigi Meroni, funambolico attaccante del Torino di 10 anni fa.
Corre in tutti questi gesti un marcio filo d’accidia e insensibilità; un vivere a sangue freddo come
serpenti e squali; una premeditazione molto peggiore di certe rabbie collettive, almeno genuine nel
denotare e nello straripare. Il recarsi allo stadio con la pistola, il cercare il” luogo santo” di un
Meroni provano che il male arriva di lontano, prima della partita, con un virus già ben coltivato nel
cervello e che al campo trova soltanto l’atmosfera giusta per contagiare.
È una violenza bastarda, oltranzista, volgare. In Piazza San Carlo a Torino, pochi metri più in là del
vecchio delizioso caffè Torino, un muro è stato imbrattato da una scritta larga e alta dei metri:” Juve
merda”. E proprio ieri anonimi “”, badate bene, del centravanti della Juve Anastasi hanno promesso
altri razzi finché il giocatore non sarà rimesso in squadra: Boniperti ha sporto denuncia contro
ignoti.
Qualche settimana fa a Verona mi è capitato di assistere da pochi passi al pressing di qualche decina
di persone contro l’ingresso che porta alla tribuna e agli spogliatoi. I sassi e gli insulti viaggiavano
verso le vetrate e gli agenti con la stessa bella incoscienza dei lanciatori, tutti giovanissimi e pronti
a ridursi ad agnelli non appena la mano di un carabiniere riusciva a metterne uno in corner, solo,
faccia a faccia.
Non è semplice affrontare il problema dell’isteria dato che i suoi adepti sono unanimi soltanto nel
coagularsi mentre il loro marchio d’origine va dal provocatore professionista al plagiabile
ragazzino. Ma decisiva sarà la capacità dell’ambiente di respingere il rischio dell’abitudine.
Di “mali minori” si può lentamente morire.