1976 Dicembre 15 Palle e terreno disturbano Panatta
1976 Dicembre 15 – Palle e terreno disturbano Panatta
Per merito di due Mogadon, consigliatissimi in Italia da Giorgio Dagnini, riesco a dormire e a
trovarmi sveglio alle 8 in punto. Con un Pullmino Mercedes si va con Panatta, Barazzutti,
Bertolucci e Zugarelli al circolo italiano il cui anno di fondazione, il 1941, è inciso in una lucida
targa di ottone. Scomparso il sole di ieri, tira una brezza tonificante.
Da un paio di giorni Mario Belardinelli, il direttore tecnico, sta personalmente rifinendo la squadra.
Oddio, si dice squadra tanto per dire che il “Belarda”, come lo chiamano gli amici romani, si dedica
quasi esclusivamente a Panatta. Non avendo figli propri, il tecnico sente come tali questi quattro
tennisti, ma il Panatta è qualcosa di speciale, il figlio difficile, da seguire il doppio degli altri.
Bertolucci ha un tono nervoso sempre perfetto; Barazzutti è uno che si può allenare per tre ore di
seguito senza bisogno d’altro che di qualche correzione. Panatta ha uno sguardo con il doppio
fondo: “E’ un grosso uomo – lo definisce Belardinelli – che si può improvvisamente annullare da
solo. Il suo tutto positivo diventa un tutto negativo se qualcosa, anche un particolare da nulla, non
fila per il verso giusto. Perciò gli devi stare sempre appresso, impedire che se ne vada via con la
testa”.
Quando gli chiedi il numero dei tornei cui ha partecipato quest’anno, Panatta ti risponde seccato: “A
tutti!”. Nell’ultimo mese ha fatto 150 ore contate di aereo in ogni parte del mondo. Chi lo ha seguito
da vicino sostiene che adesso sta al 50 per cento della condizione psicofisica. Anche per questo sia
Belardinelli che un abbronzatissimo Pietrangeli si dedicano soprattutto a lui.
Ai suoi tempi, Nicola Pietrangeli sosteneva con sarcasmo che il capitano non-peccatore serviva
soltanto per “asciugare la racchetta”. Ora che il capitano è proprio lui, il Nick deve avere cambiato
opinione e anzi si fa parecchio apprezzare per la comunicativa, l’allegria, il clima distensivo che ha
trasmesso alla squadra. Il contrario di Fausto Gardini che qui ricordano senza mezzi termini come
“triste e incazzoso”.
Non fosse per l’eccezione di Pietrangeli, esiste molto astio tra la vecchia e la nuova guardia del
tennis italiano. Gardini ha affermato nei giorni scorsi che oggi i giocatori “sfuggono a qualsiasi tipo
di controllo”, in pratica fanno quello che vogliono. Sirola li ha poi sfottuti sostenendo che si
comportano come tanti John Wayne, senza esserlo naturalmente. Mentre viaggiavamo in pulmino,
Panatta e Barazzutti hanno replicato a denti sollevati: “Sirola è di una presunzione infinita! Anche
se una volta giocavano soprattutto in Italia, senza tante trasferte, che cosa ha poi vinto?. Poco,
pochissimo, e quanto a Gardini è riuscito persino a fare una leggenda del match rubato a Smith (nel
1955 a Milano contro la Svezia- n.d.r.)”.
Fra le polemiche politiche che hanno preceduto la trasferta e il rigurgito di ricordi, è sperabile che il
tutto finisca con il rendere più reattivi e meglio concentrati i giocatori. Tecnicamente parlando,
l’allenamento cui ho assistito ha messo peraltro a nudo le cento sfumature del tennis.
Le palle, marca Dunlop, sono fortemente pressurizzate. Dure, “di cemento” le ha chiamate
Barazzutti aggiungendo che “non si riesce a tenerne dentro una”. Dentro il campo, beninteso, inoltre
c’è l’aria che, un pò per i 520 metri d’altitudine, un po’ per la ventilazione delle vicinissime Ande, è
secca e non oppone il freno dell’umidità. Infine, a rendere ancora più rapidi i colpi, contribuiscono i
campi molto pressati, dai rimbalzi svelti.
“Non sono questi i campi sbagliati! – osserva Belardinelli – il fatto è che quelli italiani sono senza
dubbio i più lenti d’Europa. La federazione avrà mandato mille circolari per invitare ad adeguarsi,
ma i nostri circoli hanno il problema di accontentare i clienti commendatori”.
Bertolucci si è allenato con Barazzutti, Panatta con Zugarelli. A pochi metri da Panatta si è
appostato Belardinelli e il dialogo tra i due mi pare valga la pena essere trascritto integralmente, fra
un silenzio e l’altro, durante una mezz’ora di seduta.
B – Adriano, ti raccomando, cerca di velocizzare il braccio.
P – Mannaggia, la palla scappa via.
B – E’ certo che scappa, perciò non la devi aspettare.
P – Ti arriva addosso e non riesco a controllarla.
B – Meno confidenza dai alla palla, meno sbagli
P – Queste sono proprio palle di merda!
B – Su, su , non sei mica al foro italico, qui bisogna velocizzare tutto. La differenza è soltanto
questa.
P – E’ come giocare al coperto…fuori
B – Appunto devi sensibilizzare i colpi. Accelera il braccio o almeno il movimento delle gambe.
P – Se è per il braccio non ho problemi, ma per le gambe…
B – Che c’è?
P – Mi sembra di spostare duecento chili.
B – Dai, Adriano, ecco, così va bene, muoviti, bene, hai visto?
P – Bene?! Guarda che rovescio ho messo fuori.
Panatta parla soltanto con Belardinelli: non a caso, ogni volta che si sente in crisi va a trovarlo a
Formia. Oggi ci sarà il sorteggio e venerdì comincerà la finalissima: sono queste le ultime ore che
contano; sono gli ultimi giorni che condensano mesi d’attesa. Perciò ogni gesto insegue un disegno
perfezionista: la vista sul Pacifico nella città-giardino di Vina del Mar; gli allenamenti paterni; la
dieta controllata; la buona notte alle 22.
Da domenica scorsa le mogli vivono separate dai giocatori. Prima dormivano nelle stesse stanze,
ora per conto proprio e al ristorante “El Cid” anche le tavole e gli orari di pranzo sono divisi.
“Abbiamo portato le mogli per distendere i giocatori, – ha con un occhio di satiro sorriso
Belardinelli – ma non devono distenderli troppo!”. Anche il cilicio serve a vincere una coppa Davis.