1978 agosto 4 Delfino di se stesso

1978 agosto 4 – Delfino di se stesso

“Osservo, osservo continuamente”: così spiega la sua arte Eduardo De Filippo.
Potrebbe essere il segreto anche di Franco Carraro, definiti in tempi successivi prima
delfino di Artemio Franchi poi di Giulio Onesti e in realtà delfino di se stesso,
personaggio che dai suoi ispiratori molto ha assimilato ma per costruire una originale
e precocissima figura di dirigente di carriera: a 23 anni presidente dello sci nautico, a
27 del Milan, a 37 della Federcalcio, a 39 scarsi del Coni.
Padovano, milanese di adozione, domiciliato a Roma, Franco Carraro è figlio di
Luigi, che fu grande commerciante tessile e bonario presidente del Milan,
personaggio d’altri tempi, un’autentica potenza nel settore, i cui assegni valevano
quanto moneta stampata e il cui prestigio era tanto fuori discussione che nessuna
importante asta di tessuti iniziava senza l’arrivo del “commenda”.
Anche se la ditta rimane ramificata a Padova, Treviso, Mantova, Salerno, Franco
Carraro non ha ereditato né il senso del commercio né lo spirito di pioniere, più
vocato all’amministrazione. Il puntiglio tutto veneto del padre lo ha trasferito alla vita
pubblica, di dirigente sportivo che nell’ambiente passa per “un politico”, non soltanto
perché si dichiara socialista. Piuttosto, per l’abitudine nel comporre i contrasti, nello
smussare il rapporto confidenziale e pragmatico che evita gli spigoli e gli echi delle
cose messe frettolosamente in piazza.
È qui che il suo istinto di dirigente si è affinato, con Franchi e Onesti, molto diversi
ma fratelli siamesi nel muoversi a completo agio nel magma dello sport, dove non
puoi sopravvivere da trentennali dittatori se non possiedi una ghiandola specialissima
che secerne il siero del potere, l’abitudine al potere, la felicità del potere.
Carraro non agisce mai a casaccio ed è anzi a lui tipico il consultarsi con gli esperti.
Forse per tale ragione, e perché crede nel contatto personale, è stato l’uomo del calcio
più disposto a capire a ad approfondire le istanze del sindacalista Campana. A rischio,
beninteso, di allargare ulteriormente le distanze da dirigenti di società ottusi e
demagoghi per i quali tutto ciò che sa di sindacato puzza di diavolo.
Allevato nell’atmosfera efficientista e manageriale del boom economico, in particolare
della ricca borghesia lombarda, Carraro nutre scarsissima simpatia per il parastato e la
sua burocratizzazione: è perciò curioso destino che gli tocchi oggi stesso di presiedere
un ente di quel tipo, il Coni, dove persino lo sport sta rischiando di diventare una
“pratica” con numero di protocollo e mezze maniche alle scrivanie.
“Piuttosto che chiuderci in noi stessi e rischiare l’asfissia – è un suo chiodo fisso – è
meglio aprirci al dialogo con l’industria, con il sindacato, con i politici”. A questo
dialogo Carraro sacrifica tutto, senza la minima perplessità. E lo dimostrò
recentemente quando si dimise dalla Lega professionisti per protestare contro i 2.612
milioni destinati da Farina alla metà di Paolo Rossi. Farina aveva soprattutto il torto di
rovinargli la piazza con il ministro delle finanze proprio nel momento in cui il calcio
italiano batteva cassa e altro per mille problemi economici. Carraro doveva prendere
le distanze dalle “follie” per restare credibile nei confronti del potere politico: fu
l’unico movente delle dimissioni, il dialogo con il mondo extra-sportivo.
La prudenza di Carraro non nasconde debolezza di carattere. Le sue conferenze-
stampa o interviste sono tanto cortesi quanto ferme, e non si sottraggono ad alcuna
replica o provocazione. Carraro non verrà a dirti mai l’entità dei premi-partita della
nazionale, ma è capace di momenti di rilassata sincerità, come a Buenos Aires durante
il Mondiale quando, nello spiegare le incertezze sulla formazione da opporre
all’Argentina, disse: “Onestamente non eravamo preparati a ritrovarci così ben

piazzati! Alla partenza dall’Italia non avevano nemmeno pensato ad un’ipotesi tanto
favorevole”.
La poltrona del Coni è scomoda e, dopo la sentenza del tribunale contro i dirigenti
“eterni”, Franco Carraro rischia di chiudere a 45 anni la sua carriera, per mancanza di
cariche migliori. Rischio per la verità assai esile perché, conoscendo il personaggio,
avrà già ottenuto dai suoi esperti la garanzia che le leggi esistono per essere
modificate.