1978 giugno 16 La Germania distrutta dai “panzer” italiani
1978 giugno 16 – La Germania distrutta dai “panzer” italiani
Flohe ha quasi sicuramente chiuso i suoi mondiali, Zimmermann è zoppo, Fischer ha
perso un dente
BUENOS AIRES – Dopo giorni molto asciutti, Buenos Aires è nei tuoni e nei lampi,
buia, sepolta dalle nubi, sommersa da una pioggia oceanica che l’altra notte ha
disperso migliaia e migliaia di persone accalcate e urlanti lungo le avenide Corrientes
e Nove Luglio, in una danza da immenso villaggio indiano, con l’obelisco alla
Repubblica preso per totem. Manco a dirlo, la gente scandiva la vittoria
dell’Argentina, mica lo 0-0 dell’Italia. Anzi, da come sono andate le cose, è stato un
pareggio mesto perfino per Bearzot.
Sento dire in giro che l’Italia avrebbe dovuto attaccare con più decisione nel secondo
tempo, soprattutto durante quei cinque minuti in cui la Germania era rimasta in nove
per la contemporanea uscita di Flohe e Fischer. Non sono d’accordo, perché convinto
che sul piano agonistico tutti abbiano a quel punto fatto intero il proprio dovere. Mica
c’era il Lussemburgo di fronte ma in fin dei conti i campioni del mondo che, pur
inferiori al passato, sono sempre capaci di tutto.
Che non sia stato un match poco tirato, lo dimostra la situazione sanitaria, addirittura
disastrosa quella della Panzerdivision tedesca, uscita dal campo peggio che dalla
seconda guerra mondiale. Flohe si è strappato ed ha praticamente chiuso con il
campionato; Zimmermann si è storto una caviglia; Fischer ha avuto la bocca spaccata
da una gomitata tiratagli da Bellugi: per il colpo, un dente del centravanti ha bucato di
netto il labbro, tanto che poi il medico gli ha praticato dei punti di sutura. Lo stesso dt
tedesco, Schoen, ha accusato gli italiani di aver praticato “una violenza invisibile”,
tanto efficace quanto attenta nel non farsi cogliere dall’arbitro.
Questo per dire che non è stata affatto una partita al risparmio. Senza contare che un
dissennato forcing dell’Italia avrebbe mandato la squadra in riserva quando il
mondiale è ancora tutto da giocare, con Austria e Olanda. Visto che il bunker tedesco
era a tratti più impenetrabile del muro di Berlino, trovo semmai intelligente che
Causio e amici abbiano conservato un po’ di birra per l’avvenire. Qualcuno ha anche
dovuto ricorrere a risorse esterne per essere della partita, come Bellugi per esempio,
abbondantemente siringato di novocaina, tanto che dopo la partita risentiva
nuovamente al fastidiosissimo inguine.
L’attenzione di Bearzot è ora tutta rivolta all’Austria che Franco Carraro giustamente
avverte di non credere stesa come un tappeto e pronta a consegnarci i due punti. E
l’interrogativo di Bearzot è concentrato sul solito nome, Antognoni, che contro la
Germania ha dato l’impressione di aver fatto un passo indietro invece che un balzo in
avanti. L’imbarazzo di Bearzot lo capisco, data la qualità del giocatore, ma adesso si
rischia di ridurre l’Italia all’unica squadra del mondo che può contare su una
sostituzione invece delle due previste dal regolamento: una infatti è come non ci
fosse, prenotata qual è dalla stanchezza di Antognoni.
Fossi in Bearzot, oltre che chiedere un definitivo check-up ai medici, invertirei
almeno la staffetta, nel senso di far partire Zaccarelli e, semmai, di usare Antognoni in
seconda battuta. Come suggerisce anche la celebre staffetta “messicana”, iniziava
Mazzola (più scattante) e finiva Rivera (più intuitivo). Sarebbe più logico tenere in
panchina Antognoni quando c’è da pedalare subito sul ritmo e sfruttarlo quando la
partita richiedesse di essere caricata d’inventiva, o amministrata. Nel calcio non esiste
controprova, ma è un quiz interessante chiedersi che cosa sarebbe potuto accadere
contro la Germania avendo dall’inizio in campo uno Zaccarelli tempestivo sul passo e
pericoloso anche in zona-gol: sua la seconda rete con la Francia e gran parata del
tedesco Maier su un colpo di testa.
Il bloccare su Antognoni una sostituzione pressoché scontata (solo con l’agevole
Ungheria non ci fu) impedisce altre varianti. Poiché, dai tempi dello 0-0 con la
Jugoslavia, Buenos Aires ha miracolato i Tardelli e i Causio, i Benetti e i Bellugi, chi
ci dice per esempio che Graziani non abbia ripreso in pieno il suo standard e che non
sia utile sfruttarlo, magari a spizzichi di venti minuti, quando servisse affondare di più
il colpo?
In ogni caso, non dimentichiamo da dove eravamo partiti. Saper guardare indietro è
fondamentale nella vita per dare prospettiva e misura al presente.