1978 giugno 24 Bettega, Mister Mundial

1978 giugno 24 – Bettega, Mister Mundial
IL PERSONAGGIO DI GIORGIO LAGO

BUENOS AIRES – In tribuna il giorno della partita con l’Olanda, G.B. Fabbri rimase
impressionato dal calo fisico di Roberto Bettega nel secondo tempo: “Io avrei
sostituito lui, non Causio”. Bearzot spiegò le difficoltà con il “corpo a corpo” degli
olandesi e, quanto a Bettega, aggiunse: “Non era stanco, ha ricevuto troppi colpi”.
Ventotto anni, atleta di mole (pesa 80 chili, è alto un metro e 85), Bettega è
l’attaccante italiano oggi più completo: per esperienza, disciplina, gioco aereo, abilità
acrobatica, capacità di giocare in tutte le parti del campo. Il suo curriculum in area di
rigore è tra i migliori del mondiale: due gol, tre traverse, il clamoroso salvataggio dei
tedeschi sulla linea di porta, l’autorete degli olandesi, tutte situazioni firmate da
Bettega. I cui limiti sono il tiro e la resistenza alla fatica, quest’ultima forse la ragione
di alcune palle-gol perdute.
Padre di due figli, ora in vacanza con la moglie Emanuela ad Alassio, Bettega nasce
in una modesta e laboriosa famiglia della periferia industriale di Torino. Di sangue
veneto e piemontese, costruisce la sua personalità all’ombra dello stile-Fiat, misurato,
senza eccessi, anche se un incontro televisivo con Gianni Brera dimostrò che lo stile
non coincide con l’assenza di temperamento, messo duramente alla prova anche da
una malattia deprimente per un calciatore, quale può essere un’infezione polmonare.
Quando uscirà dai campi da gioco, Bettega non farà l’allenatore, poiché detesta le
lunghe assenze da casa. Più probabile che Boniperti ne faccia il Sandro Mazzola della
Juve, a conferma delle qualità di leader presenti in Bettega. “Ma non sono un
padrino, né con la Juve, né con la Nazionale”, ribatte quasi giudicando una colpa da
evitare l’importanza d’essere qualcuno.
Un qualcuno che ha meritato, con il titolo di Mister Mundial, la copertina del Time,
settimanale ritenuto una sorta di termometro della popolarità. Persino frivola come
quella garantitagli da un’inchiesta svolta tra le telespettatrici di Buenos Aires, Madrid
e altre capitali: è risultato che delle 16 finaliste l’Italia ha i giocatori più attraenti e che
spetta senza discussione a Bettega, el blanco, il titolo di “Galan del Mundial ’78”, il
personaggio più galante e simpatico al pubblico femminile.
“Eppure – dice Bettega – non credo di essere la rivelazione di questo campionato:
semmai, lo è stata la squadra”.
A suo tempo criticatissima da tutti, me compreso, anche perché priva di Rossi…
“Io ho trovato crudeli certe critiche perché danno del “brocco” a qualche giocatore.
Ad un certo punto, non ho più letto i giornali”.
– L’Argentina vi ha miracolati…
“Il clima freddo ha funzionato come un elettrochoc. Ma c’è stato dell’altro: il buon
senso di Bearzot e, posso dirlo?, lo spirito del blocco-Juve. Qui siamo in nove, molto
uniti. Dopo la Germania mi ha chiamato Boniperti e voleva farmi un cicchetto per il
gol sbagliato: non siamo un clan della Nazionale, ma il nostro club ha un suo stile”.
– Anche gli altri si sono comportati benissimo, come Graziani.
“La sua maturità mi ha colpito. Ha accettato il ruolo di riserva di Rossi da
professionista”.
– Hai dovuto far rapidamente coppia con Rossi?
“Usciamo dallo stesso vivaio io e Rossi, s’impara lo stesso linguaggio. È stato detto
che lo lasciamo troppo solo ma, a parte il fatto che non giochiamo contro il Foggia o
il Pescara, non mi pare che Rossi sia stato abbandonato. Solo che è l’unico al quale
chiediamo di non retrocedere in difesa, proprio per averlo al massimo come
contropiedista”.

- Quale ritieni sia stata la tua partita migliore?
“Con l’Ungheria, anche se la più bella per la squadra è quella con la Francia”.
– L’attimo peggiore del Mondiale?
“Il gol della Francia, dopo mezzo minuto, il giorno dell’esordio. “Che jella”, mi sono
detto, ma poi c’è stata l’impennata d’orgoglio”.
– Il momento più ambiguo?
“Prima della partita con l’Argentina, con interminabili discussioni sull’atteggiamento
più conveniente. C’era da scegliere tra riserve e titolari, tra perdere e andare a
Rosario o tentare di vincere e restare a Buenos Aires. C’era la politica, lo ammetto,
una scelta non facile… Alla fine abbiamo optato per il risultato migliore e credo sia
stata la scelta più giusta anche se adesso, soprattutto dopo la sconfitta con l’Olanda,
ci si rimprovera di aver sprecato inutili energie. Senno di poi…”.
– Ora che siete tra i primi quattro del mondo, che bilancio personale e tecnico puoi
fare?
“La mia più bella esperienza da professionista. E, anche, il passaggio ad una nuova
mentalità di gioco. Per esempio, abbiamo dominato i tedeschi, maestri del calcio
atletico, e per quasi un’ora abbiamo avuto in mano gli olandesi…”.
Roberto Bettega abbassa gli occhi, con un sorriso sdrucito.
A ripensare a quei magici 50 minuti, gli cresce un altro capello bianco. Uno degli
ultimi, oramai.