1979 maggio 7 Uno scudetto diverso
1979 maggio 7 – Uno scudetto diverso
Il decimo del Milan non è uno scudetto come gli altri,
assomigliando di più ad una saga. Nel farne la storia i più adatti
sarebbero gli autori di Radici o di Uccelli di rovo, romanzi di largo
respiro, la vita come cumulo di generazioni che si tramutano e si
tramandano.
Lo scudetto ’79 del Milan non è reazionario, perché i suoi schemi
non riportano indietro. Ma è uno scudetto conservatore, prima di
tutto merito di una élite che viene da lontano, da anni incarnata
nella tradizione del Milan.
E’ infatti soprattutto lo scudetto di Albertosi e Rivera, di Bigon e
Maldera, esuli di rovinose sconfitte e di imperterrite attese,
esemplari di una classe non poche volte data per sommersa e
sempre capace di riemergere a dispetto di anagrafe e corrosione.
Il nuovo del Milan, i Chiodi e i Novellino, è parso accessorio.
Questo è lo scudetto di una generazione che si spegne, una
generazione che vince senza avere più avvenire. Qui sta il pathos,
qui sta anche lo scetticismo. Fino all’altro ieri, nessuno voleva in
fondo credere allo scudetto del Milan perché equivaleva ad
ammettere che il tempo del calcio italiano si era fermato. Cinque
anni fa, ha ricordato Sergio Campana, tutta Italia era convinta di
essersi “finalmente” liberata del “peso” di Rivera: oggi, a 36 anni,
Rivera è l’unico mito di un’Italia senza miti.
A vincere con questo Milan retrodatato non è stato un tecnico di
grido, un prodotto di moda, un propinatore di parole d’ordine. Niels
Liedholm, “Nesse” per gli amici svedesi, è il “barone” reduce da
languori romani, produttore di vino che pare attraversare il calcio
con l’inafferrabile sorriso di certi personaggi di Ingmar Bergman,
non più capace di fedi beote e sempre tentato, alla stregua di uno
Scopigno d’altri tempi, di leggere il calcio attraverso l’ironia.
E’ anche lo scudetto di questo Liedholm, campione che nel
dopoguerra degli importanti stranieri giocò nel Milan fino a 39 anni,
esattamente come Albertosi! Non poteva essere che lui, Liedholm,
il più tagliato a spremere dai Bigon, Rivera, Albertosi, le più riposte
cellule di talento naturale.
E’ il Milan dei nonni. Nonni è parola tenera, buona. Essere nonno è
guardare la vita dalla spalliera del ponte e poter rivisitare le cose
dall’alto, con grande proporzione. Ma nell’Ucraina occidentale
nonno significa “diavolo”, la dolcezza lascia il posto alla tentazione.
Nel caso del Milan, i due significati si miscelano: i nonni del Milan,
da Liedholm a Rivera, da Albertosi a Bigon, sono anche una
diabolica rivincita, uno sfottò, uno stregante sguardo a chi li
gratificò di frettolosi epitaffi.
A tale sarcastico Milan manca soltanto una persona: Nereo Rocco,
come se una punta della stella del decimo scudetto risultasse
spenta. Il Milan senza data, il Milan delle 500 partite di Rivera, il
Milan dei decennali sogni infranti, era anche il Milan dei suoi
“muli”. Sulla panchina di San Siro sono stati in molti, ieri, a
intravvedere un fantasma dai chiari occhi viennesi e dall’accento
triestino.