1979 ottobre 29 L’Inter ha stroncato il Milan
1979 ottobre 29 – L’Inter ha stroncato il Milan / Uno spettatore
ucciso a Roma
MILANO – Da ieri hanno battezzato San Siro “Stadio Giuseppe
Meazza” ma, con tutto il rispetto per l’ex balilla nerazzurro degli
anni ’30, io continuerò a chiamarlo San Siro. Certi stadi sono
animati quanto persone, il loro cemento è come attraversato da
misteriosi capillari, carichi di sudori, trofei, imprecazioni e alleluja.
Alle persone non si può cambiar nome, nemmeno per
commemorarne altre.
Del resto ha provveduto il derby a onorare Meazza come si
conveniva. Ha vinto l’Inter, ha vinto nettamente, ha vinto con due
carezze di Evaristo Beccalossi, ventiduenne lombardo che ha
saputo usare il destro come avrebbe gradito proprio Meazza: lieve,
al volo, spiazzante, il tipo di esecuzione che riduce i portieri alla
stregua di testimoni impotenti.
Il derby soffriva di due handicap: nel Milan l’assenza di Bigon che,
con i tempi che corrono nel dopo-Rivera, fa la figura di un Galileo
degli schemi; nell’Inter la presenza muscolarmente tossica del
ferreo mercoledì di Coppa con il Borussia.
Nonostante ciò, il derby è stata partita di grande valore atletico,
soprattutto perché il lungo raptus agonistico è miracolosamente
sopravvissuto a condizioni ambientali tra le peggiori. I teloni di
plastica tolti via mezzora prima, hanno sicuramente impedito il
“tutti a casa” per impraticabilità di campo, ma non hanno evitato
l’impaludamento del terreno sotto una pioggia cocciuta e fitta per
almeno metà match, il pallone andava pescato a strascico e
portato su con rabbiosa tenacia, meglio se in possesso di giocatori
agili (come Beccalossi e i fratelli Baresi), peggio se affidato a
gente rigida (come Maldera o Buriani).
E, paradossalmente, in un derby di nerbo i gol sono figli della
tecnica, colpi di sole usciti da un ambiente che, ahimè, si sta
degradando sul piano sportivo. Anni fa una dolce canzone di
Memo Remigi diceva: “Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a
Milano”. Oggi il leitmotiv andrebbe riadattato a San Siro, dove il
cosiddetto “amore” per il football, anzi la passione, appare davvero
“stranissimo”.
Nonostante un migliaio di addetti al servizio d’ordine e nonostante
il caro-prezzi dei biglietti, la gente arriva allo stadio già stressata,
incazzata dura con tutto e con tutti. Dello spettacolo non ha più
percezione, bastandole il tumulto. Gli ultras di ogni colore fanno il
bello e il cattivissimo tempo, negando a chiunque la sensazione
dell’hobby innocente.
Candelotti lacrimogeni gettati dalla gradinata hanno per almeno un
quarto d’ora sepolto San Siro in una nebbia artificiale e sgradevole.
Con perverso masochismo, s’inventa l’inquinamento dove non c’è
o, la cronaca del derby romano fa testo, si uccide con un
lanciarazzi per bastarda leggerezza.
Trasteverino, la faccia carica di certi ragazzi di borgata pasoliniani,
Bruno Giordano ha così psicanalizzato
il calcio di massa
all’italiana: “E’ un divertimento volgare? No, è un orgasmo
collettivo. Quando esci dallo stadio, ti accendi la tua sigaretta,
come dopo l’amore, e sei soddisfatto come allora, se hai vinto”.
Se hai vinto, sta tutta qui la verità. Conta il risultato, non lo
spettacolo, perché in quello è sempre contenuta una dose di
sopraffazione, un istinto di violenza. Ieri, a San Siro, la curva del
tifo milanista ha perso e, al secondo gol di Beccalossi, ha fatto il
vuoto, scagliando su tutti quanto si poteva scagliare.
Questa spessa pellicola d’intolleranza rende opaco anche il
mestiere di testimoni, tanto da farci per lunghi attimi scordare
persino le realtà così pacifiche del campionato: l’Inter da scudetto,
il Milan sbattuto a distanza, il calcio piemontese per niente arreso
e
fastidioso dovere statistico di
liberatosi dal
un’imbattibilità quasi innaturale.
Non rimane che godere per intero il presente e lasciare il passato
al passato, come il giovane romantico Werther.
Già ieri è passato.
il Perugia