1980 giugno 13 L’Italia si presenta ed è subito 0-0
In panchina: Urria, Urruti, Olmo, Santillana.
In panchina: Bordon, Bellugi, Zaccarelli, Altobelli.
1980 giugno 13 – L’Italia si presenta ed è subito 0-0
EUROPEI ’80 / La Spagna ci ha costretti a rivelare i nostri limiti specialmente a
controcampo: Benetti non è bastato
Italia-Spagna 0-0
ITALIA: Zoz, Gentile, Cabrini (58′ Benetti), Oriali, Collovati, Scirea, Causio,
Tardelli, Graziani, Antognoni, Bettega.
SPAGNA: Arconada, Tendillo, Gordillo, Zamora, Migueli, Alesanco, Dani (54′
Juanito), Saura, Satrustegui, Asensi, Quini.
ARBITRO: Palotai (Ungheria)
NOTE: terreno in perfette condizioni, serata caldo-afosa. Calci d’angolo 6-5 per la
Spagna. Spettatori paganti 46.816, incasso 432.103.500.
MILANO – Inghilterra, Belgio, Italia, Spagna: tutti con un punto nella classifica del
girone! Hanno pareggiato tutti e, forse per inconsapevole omaggio al calcio
all’italiana, gli azzurri non hanno fatto gol. Zero a zero, il risultato che non piace a
nessuno, nemmeno a Bearzot.
Fino ad oggi è un europeo di modesti valori e non vorrei che le quattro partite in
dodici giorni previste per una presunta finalista contribuissero a condizionare le prime
rattrappite esibizioni. Anche perché, dopo una primavera da lapponi, d’improvviso è
arrivato il sole, sudaticcio e quasi dimenticato.
Vedremo domenica come andrà a finire, nel secondo bilancio parziale. Intanto, questa
Italia ha fatto discreta pena, soprattutto nel chiudere l’azione. Priva dei lampi di
Causio, priva dei triangoli di Paolino Rossi, priva di mezzali se non grandi almeno
capaci di aprire largo e di far crossare per Bettega-Graziani, la squadra è riuscita a
ingigantire persino una modesta Spagna.
Non è un disastro ma l’Europeo è cominciato male. Come? Lo raccontiamo, da
quando sono entrate in campo le squadre.
Pochissimo pubblico a Roma e Napoli, poco a Torino, non da tutto esaurito a Milano:
non so se dipenda dalla tv in diretta o dalle recenti nausee scandalistiche, sta di fatto
che questi Europei non sono certamente un affare per l’Uefa e regalano il disagio di
una cornice a tratti dopolavoristica. Anche San Siro, nonostante il battesimo azzurro,
mostra squarci vuoti. E, ahimè, qualche segno di maleducazione.
Uno striscione reca un insulto di sterco rivolto alla Lega, colpevole di aver retrocesso
in B il Milan. Qualche fumogeno colorato, insulti alla Juve, che è il nerbo della
squadra di Bearzot. Tutto ciò sotto il manipolo incombente degli ultras rossoneri che,
con una fumarola, disturbano Zoff, inquieto, gli occhi tesi verso la gradinata
superiore. Il pubblico milanese, questo sì milanese sul serio, ospitale e cosmopolita,
urla «Fuori!Fuori!». E arriva la polizia, caschi e manganelli, tra gli applausi. È il
primo caso di maggioranza non silenziosa contro il teppismo.
Ultras a sedere e si gioca. Una partita all’inizio cauta, guardinga, anche afosa.
All’inizio sembrano in campo ventidue spie, tutti lì a guardarsi, a controllarsi, a
strozzarsi in gola per ogni pallone.
Ritmo apparentemente languido, in realtà stressato per almeno una decina di minuti,
fino a quando il centravanti basco Satrustegui mette in gol rabbioso da otto metri,
imparabile. Fortuna che il guardalinee sta lì, bello, sicuro e preciso, a indicare il
fuorigioco, che esiste davvero, così annullando l’esito di un lancio molto bello di
Migueli e di un tocco assai opportuno di Alesanco. Lo stesso centravanti finge poi,
gomito a gomito con Collovati, di essere vittima di uno spostamento da rigore, ma
nemmeno stavolta attacca. L’arbitro è sovranamente equanime tra il paese che
organizza gli europei (l’Italia) e il paese che organizzerà il Mundial ’82 (Spagna).
Certo, l’Italia soffre impaccio, rotto soltanto da qualche affondo furente come quello
di Oriali, destro fuori di poco. La Spagna fa un gioco corto, molto compatto, ha l’aria
di faticare meno nel chiudere triangoli mica male verso Zoff.
Fradicia nelle magli quasi sudasse temperature tropicali, l’Italia pare più pronta
all’allungo, allo scatto, che tuttavia obbliga a ricuperi penosi. Soprattutto i terzini non
appoggiano lungo gli out per i cross. La prima volta (è il 23′) che accade, Gentile
catapulta di testa la prima palla-gol, su esemplare lancio di Antognoni, una
rinascimentale battuta.
Gli spagnoli non fanno nulla di eccezionale, ma sono più attenti. Senza il pied-à-terre
d’area di rigore azzurra che sarebbe stato Paolo Rossi, lo schema dell’Italia dovrebbe
farsi meno centrale e più battente dai corridoi laterali, tale insomma da servire o la
testina di Bettega (miglior goleador del nostro campionato) o di Graziani (che è pur
sempre attaccante da 14-15 gol già fatti in maglia azzurra).
L’Italia accelera a tratti, non gioca; va dentro al singolare; è per ora un po’ monca
sull’ultimo approdo offensivo. Qualche fischio, peraltro stonato, segnala il malessere
del collettivo.
Lo zero a zero del primo tempo è modesto e l’Italia si rifugia spesso in tackles poco
ortodossi appena fuori area. Preferisce disporsi in barricata da fermo, piuttosto che
rischiare in area, anche perché i due stangoni spagnoli, il centravanti e Quini, si
muovono bene tra un Collovati che mette qualche brivido e uno Scirea per niente
tranquillo.
A un minuto e mezzo dall’intervallo, un episodio importante. Spagna melinante e
presa sulla tre quarti in contropiede da Bettega, che smarca Graziani. Il vuoto e il
portiere. Graziani entra in area, accenna a dribblare il portiere, ci riesce e quando
s’avvia a battere, il piede di Quini (se non erro…) lo stoppa giusto sul piede di
appoggio. A me sembra rigore e, accanto in tribuna, trovo subito un illustre spettatore,
Nils Liedholm, pienamente d’accordo: «Ma il gol degli spagnoli non era in
fuorigioco», obietta lo svedese con un severo sorriso da settimo sigillo.
Non è una gran partita e del resto chi è senza peccato scagli la prima pietra. In questi
Europei non si è ancora visto un match degno. Qualche prodezza, qualche tentativo e
basta, sia da inglesi, tedeschi che olandesi.
Il secondo tempo è più veemente, bene inteso senza sfracelli. A rischiare di più è
almeno all’inizio l’Italia, così sbiadita sulla metà campo da metter paura.
I tremendi portatori di palle abbassano cabeza e vanno a incagliarsi nel primo
incontrista spagnolo pronto ad attenderli a piè fermo, come assuefatti matadores.
Bearzot non può che sperare nel gesto individuale.
Il che quasi riesce a Bob Bettega dopo un’ora di partita, quando Juanito ha sostituito
Dani e Benetti Cabrini. Ci vogliono tre spagnoli in cordata difensiva per evitare sui
16-17 metri il destro-gol di Bettega, che lavora il pallone con l’accanimento di un
arrotino senza riuscire a tirarne fuori l’ultima lama.
Al 64′, una mezzaluna di Tardelli (d’interno sinistro) quasi coglie l’incrocio. È questo
il momento più passabile dell’Italia che in retrovia soffre la velocità di Juanito: non a
caso Gentile gli lascia il copyright sulla caviglia. Un livido blu, pressappoco uguale al
colpo di… Bettega ad Asensi, che accarezza con una smorfia il ginocchio. Ogni tanto
a Bettega scappano questi strani raptus, più sconnessi che proditori in senso schietto.
È il momento della ramazza e l’Italia, per evitare il gol, non va per il sottile. Tardelli
(al 70′) «dimentica» Zamora che viaggia come un treno con destinazione – Zoff.
Collovati non può che stendere l’avversario, brutalmente: la patria è salva, soprattutto
un attimo dopo quando il destro-punizione di Juanito (esecuzione tagliata, molto
bella) rimbomba sotto la traversa, ricade sulla linea di porta e regala a San Siro un
tormentone generale.
È un’Italia già vista, che purtroppo conosciamo, capace di questi pantani. E non a caso
Bearzot ha chiesto soccorso a Benetti, mettendolo a fare il doppio… libero in retrovia.
Mica è ricorso ad un Altobelli, invocato naturalmente dalla gradinata interista come
attaccante in più.
Finisce con la Spagna che spinge in attacco e la gente che urla «fuori» a Causio. Gli
ultras prendono fiato e sventolano una bandiera spagnola, l’unica.
È il simbolo di uno zero a zero brutto e del livore che il calcio italiano si porta dietro.
Alla palestra del Foro Italico a Roma si sta aprendo il processo penale per le
scommesse: lo zero a zero non è una colpa ma non aiuta a far scordare.
Le riserve, come Pruzzo e i fratelli Baresi, lasciano la tribuna centrale in anticipo: se
si sono scocciati loro, figuriamoci gli altri.