1980 giugno 14 Questo calcio è un mistero tra il buffo, lo sporco e il vitale
1980 giugno 14 – Questo calcio è un mistero tra il buffo lo sporco e il vitale
MILANO – Gli europei hanno finora fatto piangere e non per colpa dei candelotti
lacrimogeni sparati a Torino! Gli stanchi reduci dell’eccitante Maggio 1968 ricordano
benissimo che per difendere gli occhi dal bruciore basta annusare un mezzo limone
sotto il naso; più difficile rifarsi la vista dal brutto calcio.
C’è chi fa la predica al pubblico italiano perché diserta gli stadi dell’Europeo. La cosa
è un po’ grottesca, come di quel personaggio comunista che alla tv se l’è presa con gli
elettori, colpevoli di non aver votato come a lui sarebbe piaciuto. Il pubblico va anche
aiutato, e di grazia che cosa è stato fatto?
C’è la televisione in diretta e oramai soltanto i ritardatari della cultura non si avvedono
che il colore, il replay, la poltrona e il canone fisso sono l’approdo del grande
spettacolo sportivo, di massa e sponsorizzato.
Aggiungete i prezzi dei biglietti: 3.500 i popolari, 15 mila i distinti, 30 mila le tribune,
più il 5% di diritti d’agenzia. Non sono pochi tenendo conto che lo spettatore-medio
italiano non è cosmopolita. Si scanna per il proprio campanile e rimane refrattario
all’esperanto. Tra lui e il multinazione cresce una fitta siepe provinciale.
Nessuno pare poi ricordare che il calcio italiano viene da tre mesi di sfascio. Tre mesi
dedicati alle istruttorie, tanto da far arrivare gli Europei all’ultimo istante, quasi di
contrabbando, come il sole di giugno. Il distacco del pubblico era talmente
prevedibile che tempo fa avevo proposto di sbaraccare e di trasferire i campionati in
Germania.
Ma è tutto l’ambiente a risultare fasullo, immemore o fariseo. Si chiede al pubblico un
fair-play che la società civile ignora fuori dagli stadi. Si chiede alla gente di vedere
nella Nazionale la «Patria» e quest’ultimo è sostantivo da noi quasi desueto, rimasto
nel vocabolario del solo Sandro Pertini. Si continua nell’equivoco di credere che lo
stadio possa cambiare d’acchito l’uomo, alle 19 è Tizio e alle 20.30 dovrebbe
diventare Caio. Ieri sera a mezzanotte, fuori dai cancelli di San Siro c’erano più
carabinieri che ultras mentre per il vertice europeo di Venezia circolano in laguna più
agenti segreti che piccioni. Sono diverse le combinazioni della paura, non la molecola
della paura.
Gli italiani fischiano la Nazionale, sono apolidi in Italia, fanno già fatica a
riconoscersi nella Regione, figuriamoci nello Stato e, a volte, persino il Comune cede
alla Contrada. Fischiano la nazionale, ieri a San Siro come ovunque da due anni,
persino a Udine che non fece eccezione nemmeno in omaggio al Ct friulano. La
fischiano perché è una Nazionale buona per il regista Castellani, un sogno azzurro nel
cassetto. Il cassetto argentino, dove riuscì quarta al mondo per merito di qualche
sontuoso primo tempo. Il tempo degli agili, non quello dei resistenti.
Ma è legittima tanta autoflagellazione, quasi rimproverando al pubblico di essere
imputato e non vittima di un Europeo almeno per ora di mezza tacca? Si sta
esagerando, anche perché gli spettatori altrui non è che vadano allo stadio in
doppiopetto e con il galateo di monsignor Della Casa avvolto nella bandiera.
A Torino migliaia di inglesi hanno prima reciso i fiori delle aiuole del centrocittà e
poi se ne sono andati allo stadio tanto imbirrati che, a controllare i loro fiati con il
teste del palloncino, non sarebbe bastato un dirigibile per smaltirli. A Liverpool per i
Beatles, a Trafalgar Square per un meeting «No Nuke» anti-atomico o a Torino per
urlare «England», menano che è un piacere.
«Lo sai? – mi raccontava ieri Gualtiero Zanetti – sono almeno mille i teppisti inglesi
diffidati dai loro tribunali di frequentare gli stadi in Inghilterra: ogni sabato, all’ora
della partita, debbono presentarsi al posto di polizia e firmare. Beh, quei mille stanno
tutti qui da noi, a Torino!». La battuta non è poi paradossale come può sembrare e
rende benissimo la situazione di alcuni gruppi di «animals» che prima fanno strage di
petunie nel… giardino d’Europa e poi s’avviano alle gradinate come al ring.
Serve la pazienza dei forti, il setaccio della prevenzione, e isolarli nel senso che, se
proprio ci tengono, si picchino perlomeno tra di loro. È una pazienza ospitale e anche
interessata perché le migliaia di tedeschi, inglesi e olandesi arrivati per gli Europei ’80
fanno robustamente parte dei 20 milioni di stranieri attesi quest’anno in Italia con il
compito di pareggiare, portando 8 mila miliardi in monete serie, il nostro deficit
petrolifero nella bilancia commerciale dei pagamenti. Per un sacco di marchi, sterline
e fiorini, val la pena di subire il sacco delle petunie.
Drammatizzare è vizio sdolcinato. Sempre meglio, fra l’altro, le gradinate mezze
vuote e un po’ di bastonate nel mucchio che il concorso in truffa. Il calcio mondiale è
rarefatto negli assi; il calcio europeo viene imbruttito dal podismo; il calcio italiano ha
un occhio pesto dall’azzardo, fa il materasso nelle coppe quanto turchi e
lussemburghesi, possiede una Nazionale di estri più che di schemi. Non siamo al
meglio che fu tra gli anni ’60 e’70; né al peggio che toccò tra gli anni ’50 e ’60. Fate la
media: è l’oggi.
Questo calcio è un mistero tra il buffo, lo sporco e il vitale. Forse ha bisogno di
tagliare l’aria con qualcosa che gli restituisca il divertimento. Persino la recente
maratona elettorale della televisione è ricorsa a intervalli con comiche di Charlot,
Stanlio-Ollio e Sordi per rompere la scocciatura delle proiezioni. Urge un gol di
Bettega per far ridere la tetra pipa di Bearzot.
Nel frattempo, lasciamo in pace il pubblico assenteista anche perché, vista la qualità
delle prime quattro partite europee, hanno finora avuto ragione gli assenti. E se fosse
una prova di intelligenza degli italiani?