1980 luglio 21 Un’Olimpiade gigante anche nella chimica
1980 luglio 21 – Un’Olimpiade gigante anche nella chimica
Dall’inviato
MOSCA – La parola «boycott» è di origine irlandese, come Lord Killanin, e stava a
significare una protesta contro tasse esose. Ma non è questo né il primo né l’ultimo né
tanto meno il solo dei problemi dell’Olimpiade contemporanea, galassia dello sport.
Quella di Roma nel 1960, ancora umana, costò 17 miliardi. D’accordo, qualcuno ci
rubacchiò qualcosa sopra ma non c’erano inflazione e petrodollari: la lira era una cosa
seria e fu premiata come moneta dell’anno. Anche l’Italia che stava passando dai
campi di grano alle fabbriche d’auto poteva permettersi il lusso di ospitare la festa.
Da allora nei bilanci è arrivato Mazinga. Cifre folli, spropositi, salassi. Nel ’72 i
tedeschi andarono abbastanza sul liscio perché il marco è sicuro quanto un lingotto
d’oro. Nel ’76 il Canada rischiò la crisi finanziaria nelle provincia francofona di
Montreal e non riuscì nemmeno a completare la costruzione dello stadio olimpico.
Ora tocca all’URSS e fra quattro anni, salvo ritorsioni dell’Est, agli USA.
L’Olimpiade si rifugia nel ventre delle due superpotenze perché soltanto queste
reggono ormai l’urto delle spese. Per organizzarla non si tratta più di fare
investimenti; occorre battere moneta.
Il quinto piano quinquennale dell’URSS prevedeva per la città di Mosca l’equivalente
in rubli di 20 mila miliardi di lire, sia pure al cambio ufficiale, che è assai artificioso.
In ogni caso, mentre le fonti ufficiali parlano di una spesa per l’Olimpiade di solo
550 miliardi, le valutazioni occidentali più prudenti fanno l’ipotesi di dieci volte
tanto, 5000-6000 miliardi.
La colossale differenza trova una spiegazione abbastanza ragionevole. I russi si
riferiscono alle spese vive, intendendo l’Olimpiade in senso strettissimo, di impianto
sportivo e di organizzazione. Non mettono in cento il fatto di aver lavorato a tempo
pieno sulla città di Mosca per renderla, usando il temine di Killanin, «vetrina» dei
Giochi. Dal nuovo aeroporto agli intonaci di San Basilio, dagli alberghi alle
telecomunicazioni, dai palazzi risistemati ai nuovi condomini, dai trasporti al
rifornimento, Mosca ha realizzato una mobilitazione di massa impensabile per
un’altra città di otto milioni di abitanti.
L’Olimpiade è un gigante ai limiti dell’ingovernabilità. Le specialità sono 24 e la
prossima volta si sa già che aumenteranno. Le medaglie da assegnare sono 444. Non
ci fosse il boicottaggio, sarebbero stati presenti il record di 125-130 Paesi, 13 mila
persone al villaggio, 7500 giornalisti. L’innaturale rapporto tra atleti e giornalisti, di
quasi uno a uno!, ha fatto insorgere Killenin contro la televisione, colpevole – afferma
il Lord – di trasformare l’Olimpiade «in un gigantesco show».
Gli impianti sono sempre più decentrati e distanti, facendo perdere ai Giochi un
minimo di unità e raccoglimento, riscontrabili soltanto il giorno dell’inaugurazione e
della chiusura. Prevalendo il plurispettacolo sull’armonia, facendosi tra i Paesi
sempre più «politico» il risultato del medagliere, l’exploit rischia anche la nevrosi, il
vincere mette in tomba il partecipare, a prezzo anche del doping.
Sono un trucco le scommesse del calcio, sono un trucco gli anabolizzanti dell’atletica:
tre lanciatori di peso jugoslavi sono stati squalificati l’altro giorno. E basta guardare
in faccia certe ginnaste di 14 anni per capire che qualcosa di importante è stato
innaturalmente bloccato nel loro sviluppo: gli occhi non corrispondono ai corpi, gli
sguardi sono sfasati, è come se teste di 14 anni fossero state attaccate su bambine di
8-9 anni. L’ultima autentica donna vista volteggiare a un’Olimpiade fu in Messico
Vera Caslavska, bella, bionda, simpatica, con il suo seno e le sue cosce, con un corpo
piacevole, non ancora vittima di assalti ormonali e di diete da lager. Già con la
Korbut e e con la Comaneci, si era entrati nell’era della sofisticazione femminile.
Il prof. Beckett, padre dell’antidoping, avverte che soltanto fra un paio d’anni gli
strumenti tecnici di dissuasione saranno efficaci: con i mezzi d’oggi – ha ammesso –
filtrano ancora attraverso i nostri setacci il testosterone e i corticosterodi.
Fatta la conta dei pericoli politici, organizzativi, finanziari, culturali e chimici, è già
un miracolo che l’Olimpiade sia ancora in piedi. Non avrà per caso avuto ragione quel
matto di De Coubertin a ritenerla «eterna»?